Le due parate nella ripresa valgono, da sole, trequarti di finale: forse anche di più. Forse è anche per questo motivo che, una volta presa in mano la Conference League, non voleva più mollarla, preso in braccio dagli altri portoghesi della Roma.
Ci sta: insieme a Nicolò Zaniolo, Rui Patricio è l'uomo simbolo del successo giallorosso in Europa contro il Feyenoord, e in qualche modo ha riscritto la sua stagione.
Lui, arrivato con la pesante etichetta di "portiere d'esperienza", vincente in ambito internazionale (gli Europei con il Portogallo, nel 2016, ne sono la dimostrazione) e presto finito nel solito tritacarne in cui finiscono, spesso, i portieri per una o due prestazioni non troppo convincenti.
Ci sta: è il ruolo dell'estremo difensore che, a volte, ti spedisce dritto dritto in copertina, non sempre per meriti. Ti assumi le giuste responsabilità, indossi i guantoni e scendi di nuovo in campo.
"Non mi piace parlare a livello individuale, tutti siamo stati insieme in campo e anche chi è rimasto fuori ha dato il suo contributo. Nessuno è stato più importante di qualcun altro", spiega a Sky Sport, al termine del match di Tirana.
Non sminuisce le sue parate, ma esalta il collettivo, da vero leader: in qualche modo, però, l'ha decisa. Probabilmente lo sa, come sa che a volerlo, in estate, è stato José Mourinho, la guida di un gruppo diventato famiglia.
"Ci ha aiutato tantissimo con la sua esperienza: è stato uno degli elementi più importanti per la vittoria del trofeo. Abbiamo fatto un percorso lungo per questa finale. E' una vittoria differente: è stata un'impresa".
Vola, Rui Patricio, parando le critiche e riscrivendo la sua stagione: dai dubbi alla vittoria della Conference League. E' tutta un'altra storia.




