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Domenico Morfeo InterGetty

Un "10" come pochi: Domenico Morfeo, genio e sregolatezza al comando

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"Il miglior talento che io abbia mai visto è stato sicuramente Domenico Morfeo. Dava del tu al pallone con disarmante naturalezza. Ma il talento devi coltivarlo giorno per giorno, con il sacrificio, il lavoro, l’allenamento, gli esercizi eseguiti una, dieci, cinquanta volte".

Parole di Mino Favini, indimenticato dirigente e talent scout dell'Atalanta, che nell'ultima intervista concessa - al 'Corriere dello Sport' - prima di morire nell'aprile del 2019, elogiò in questo modo Domenico Morfeo. Ed in effetti nelle parole di Favini c'è racchiusa tutta la carriera dell'ex fantasista, come non si potrebbe fare meglio. Parliamo di un dirigente che dagli inizi degli anni '90 fino al 2015 ha fatto crescere il settore giovanile dell'Atalanta fino a renderlo uno dei più floridi del mondo. Di talenti ne ha visti passare...

Domenico Morfeo era un classico numero "10", in tutto e per tutto. Baricentro basso, tecnica fuori dal comune, colpi di classe che lasciavano di stucco e tanta incostanza. Ci si metteva esattamente un attimo ad innamorarsi del suo stile di gioco, perché quelle giocate non potevano lasciare indifferente proprio nessun amante del calcio.

Domenico MorfeoGetty

Ed infatti nella sua carriera, che per antonomasia è quella di un talento mai esploso del tutto, ha sempre incontrato squadre ed allenatori pronti a dargli una chance. Perché quel talento prima o poi doveva esplodere. Cresciuto nel settore giovanile dell'Atalanta, ha avuto le sue occasioni anche con Milan e Inter, puntualmente deludendo però le aspettative.

Nella Primavera dell'Atalanta trovò Cesare Prandelli in panchina, dal 1993 al 1997, forse l'allenatore che più di ogni altro ha creduto in lui. Sotto quella gestione tecnica regalò un Torneo di Viareggio alla Dea, con tanto di aneddoto raccontato tempo dopo ai microfoni di 'Sky Sport'. Una storia che fa capire tutto il genio del personaggio.

"Io quella finale del Viareggio non dovevo nemmeno giocarla, avevo una forte distorsione al piede. Avevo disputato un gran torneo e non potevo saltare proprio la partita decisiva. Prandelli mi disse, immagino per gioco, di salire in pinetina e di provare a centrare un albero con il pallone. Dovevo colpirlo per almeno tre volte consecutive. Solo così mi avrebbe fatto giocare. E alla fine ce l'ho fatta. Non sono stato schierato tra i titolari, però il mio momento di gloria l'ho avuto a partita in corso".

Era questo Domenico Morfeo: uno che per sua stessa ammissione, in un'intervista al 'Corriere di Bergamo' del 2012, confessò di avere una vita tutt'altro che ordinata fuori dal campo.

"Nessun grande casino, quello no, però non ho mai rispettato troppo le regole, ho ricevuto qualche espulsione di troppo. Se c'era da bere un bicchiere di vino o fumare una sigaretta non mi tiravo indietro. E, magari, qualche battibecco con i mister che non sopportavo. Tipo con Di Carlo. Un mezzo allenatore che quando è approdato a Parma - dopo un buon campionato - voleva fare il fenomeno. È arrivato da me e mi ha intimato di cercarmi squadra, guadagnavo troppo. Mi mise fuori rosa, poi a stagione in corso fu costretto a chiamarmi in causa e io feci bene, ma non mi ringraziò mai".

Prendere o lasciare, e come sempre gente del genere divide: o lo ami e lo accetti, o non lo vuoi proprio avere nella tua squadra uno come Domenico Morfeo. Dopo le ottime cose fatte vedere con l'Atalanta, fu la Fiorentina a puntare su di lui. Una delle sue migliori stagioni in carriera fu proprio quella del 1997/98. Ma anche in questo caso, ricordando il passato, Morfeo tempo dopo ricordò così quella parentesi alla Fiorentina, non senza veleno verso un giocatore ed un episodio in particolare.

"Potevo ambire alla Nazionale, prima che arrivasse Edmundo. Sono venuto a sapere, col tempo, che subito dopo una partita vinta a San Siro contro il Milan, gli osservatori azzurri mi stavano seguendo. Ma nel mio momento migliore arrivò il brasiliano e doveva giocare. Così fui relegato in panchina..."

Tanto rammarico e tanta rabbia nelle sue parole. La sua carriera in Nazionale infatti non vide mai la luce: la sua esperienza con l'Italia si fermò solo alla formazione Under 21. Uno spreco davvero incredibile...

Morfeo comunque continuò ad avere parecchi estimatori. Uno di questi fu Moratti, che nel 2002 lo portò all'Inter. Sembrava il grande balzo decisivo della sua carriera, ma provate ad indovinare come terminò.

Qualche colpo di genio in campo, qualche atteggiamento supponente e superficiale. Solo un goal in quella Serie A, ma si tolse la soddisfazione del primo e unico goal della sua carriera in Champions League, in un 4-1 contro il Newcastle.

La goccia che fece traboccare il vaso con l'Inter fu una lite con Emre Belozoglu in una partita contro il Bayer Leverkusen di Champions League. Morfeo voleva calciare un rigore a tutti i costi, tolse la palla dalle mani del turco e sbagliò il tiro dagli undici metri. Da quel momento Hector Cuper lo fece giocare sempre meno e l'Inter lo mandò al Parma, prima in prestito e poi a titolo definitivo.

A Parma trovò finalmente un po' di pace, che gli mancava dai tempi di Bergamo. Restò con i crociati dal 2003 al 2008 ed i tifosi lo ricordano soprattutto per gli assist deliziosi consegnati a Gilardino in quegli anni. Poi finì la sua carriera nella squadra della sua città, il San Benedetto dei Marsi.

Ma cosa fa adesso Domenico Morfeo? Con il calcio ha chiuso in modo definitivo già dal momento successivo all'annuncio dell'addio. Adesso 'Harry Potter' (così veniva soprannominato ai tempi dell'Inter, ed è tutto un programma) è un imprenditore. Ha aperto un centro commerciale ad Avezzano nel 2015, si chiama "Ten", guarda caso... Successivamente ha aperto anche un ristorante-pizzeria a Parma, "Dolce Vita", che gestisce insieme alla sua famiglia, ed ora ha un negozio di abbigliamento, specializzato nelle t-shirt.

Una cosa è certa: poche altre volte in Italia abbiamo ammirato, seppur a sprazzi, talento cristallino come quello di Domenico Morfeo.

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