
Immaginate di essere Gattuso nel 2004/2005 e non avere il posto assicurato in squadra, 38 gare su 38, 48 su 48 comprese le gare di Coppa Italia e Champions League. Immaginate di essere Ambrosini, Pirlo, Brocchi, Seedorf e di dover fare i conti con la stessa situazione all'interno di un Milan talmente pregno di scelte e possibilità da essere sicuro di non totalizzare il 100% delle partite stagionali. Un bel problema per i record, un positivo pensiero continuo su chi far giocare per Carlo Ancelotti. Immaginate poi di essere un talento francese di origine indiana, che ha fatto faville con il Lione e si è guadagnato una chiamata dalla squadra rossonera. Immaginate di essere Vikash Dhorasoo in un centrocampo così.
La stora di Dhorasoo al Milan è sempre stata quella di un grande giocatore al posto giusto ma non al momento giusto, in tanti sensi. Aveva classe, tecnica, qualità e dribbling che l'avrebbero fatto brillare da titolare in qualsiasi squadra di Serie A e nella maggior parte di quelle europee, ma doveva fare i conti con l'essere l'ultimo arrivato in mezzo a delle stelle di prima grandezza.
Spezzoni sul centro-sinistra, sul centro-destra, sulla trequarti quando un altro interno, mastro Rui Costa, aveva bisogno di riposare. Si darà da fare per il Diavolo, giocherà in campionato e in Champions League dando il massimo in ogni occasione creatali da Ancelotti, scavata nella roccia di una squadra intoccabile o quasi.
Dhorasoo farà i conti con un mondo magico come il Milan, fatto di campioni eterni, capitati però nel vortice della gara più assurdamente incredibile di sempre, in senso negativo per i meneghini, in positivo per il Liverpool. Non giocherà la finale di Champions League a Istanbul, in cui le troppe certezze della squadra di Ancelotti verranno spazzate via nella ripresa, in una storia stranota in cui Dudek sarà incubo ed eroe, a seconda di come si legga la storia di quell'evento non irripetibile, ma eccezione che conferma la regola.
Nel 2004/2005 Dhorasoo giocherà venti gare che lo renderanno meteora, e non flop. Si farà volere bene dai tifosi del Milan, anche senza segnare reti o incidere più di tanto, ma non sarà neanche una grande speranza dei tifosi non mantenuta. Le qualità le mette in mostra, ma si ritrova nel momento sbagliato anche in generale, perchè una vittoria a Istanbul l'avrebbe in qualunque caso consegnato alla storia rossonera, relegato invece ad essere un 32enne chiuso da colleghi coetanei dalla fama e dalla sicurezza in campo italiano più alti, tanto da lasciarlo quasi sempre da parte.
GettyGiocava spesso sul centro-destra quando Ancelotti gli dava una chance, ma nella vita lontana dal calcio verde, non aveva dubbi su che parte stare. Durante la sua carriera, sin dai primi passi, e una volta appesi gli scarpini al chiodo, Dhorasoo è sempre voluto rimanere a sinistra, cercando di aiutare i più deboli, combattendo contro multinazionali e poteri forti. Anche per questo al Milan la situazione non era delle migliori, altro punto per far capire come il ragazzo francese che tradiva chiaramente origini indiane, come fosse un'entità particolare in quella squadra fotonica seconda a Istanbul.
Il presidente del Milan era Berlusconi, non proprio delle stesse idee di Dhorasoo, come raccontato dallo stesso Vikash nel 2020 a Sportweek:
"Galliani sapeva e mi lasciava tranquillo. Mi fecero solo capire che leggere la Repubblica davanti a tutti magari non era ben visto. Kaladze era affascinato dal successo di Berlusconi. Sheva voleva già all'epoca fare qualcosa per il suo paese. Al Milan parlavo spesso di politica con Costacurta, persona di centrodestra ma umanista, elegante.
"Berlusconi rappresenta tutto ciò che combatto. Lui ha sfruttato il calcio per arricchirsi, io ho giocato a calcio per spirito collettivo. Il passaggio però simboleggia anche il mio impegno politico: mi batto per gli altri. E contrariamente a Berlusconi non mi pongo come un modello da imitare, ma sollecito i cittadini a lottare per i diritti insieme a me. La politica non deve essere l'esclusiva di pochi".
Prima e dopo il periodo in maglia Milan, Dhorasoo ha usato il tempo libero per studiare, imparare, mettersi al servizio della comunità. E' un uomo del calcio popolare, e non si vede assolutamente nel pallone attuale. Ha deciso così di fare ciò a cui ha sempre puntato, ovvero la politica. Difficilmente anche davanti ad un pallone più sport e meno business sarebbe rimasto in tale pianeta, viste le sue mille idee su come migliorare innanzitutto, la sua patria.
Si è candito come sindaco di Parigi con il partito La France insoumise, La Francia ribelle. Un nome, un programma, visto che Dhorasoo non è mai voluto scendere a compromessi lontano dal pallone. Ed è proprio da qui che è iniziata la sua idea di poter dare una mano alla capitale:
"Il sindaco del municipio locale voleva togliere un campetto su richiesta di abitanti agiati che non gradivano la presenza di ragazzi di origine araba e africana. Così abbiamo raccolto undicimila firme contro le loro mille e alla fine il campetto è rimasto lì. Vengo da un quartiere popolare di Le Havre, ho origini indiane e conosco le discriminazioni".
GettyDhorasoo è però consapevole di essere un uomo di sinistra in un calcio dominato dai soldi. Se ne rende conto e non fugge a quanto conquistato. Il punto, però, è che i milioni sono un modo per aiutare chi non può neanche sognarli:
"Sono ricco, non subisco più discriminazioni perché i soldi mi hanno 'sbiancato', ma ho fatto mia la frase della scrittrice e attivista Toni Morisson che diceva 'la libertà serve a liberare qualcun altro'. Ormai per vivere a Parigi devi essere ricco. Voglio restituire Parigi a tutti i parigini".
Per diventare candidato sindaco con La France insoumise, il ribelle Dhorasoo ha messo mano a quanto ottenuto negli anni tra Milan, Lione e sì PSG, prima dell'arrivo del fondo arabo che ha reso realmente capace di tutto la squadra più importante di Parigi e ormai, dell'intera nazione. Si è dato da fare anche con il poker, divenendo giocatore semiprofessionista al tavolo, nuovamente verde. Stavolta seduto su tal colore, invece che leggiadro sopra di esso.
Se nel Milan si sentiva a suo agio a metà, in politica e nel poker Dhorasoo può essere sé stesso. Tenace, riflessivo, attivo su più fronti e multitasking. Già, perché dopo il pallone non è mai rimasto fermo e il solo diventare un punto di riferimento nel gioco di carte francese e nella scena politica di sinistra di Parigi - che non ha però portato all'elezione, vista la conferma di Anne Hidalgo per un secondo mandato e dunque la mancata possibilità di annullare le Olimpiadi parigine in programma nel 2024 - Dhorasoo si è anche dato da fare in radio e con la penna in mano, sempre dicendo la sua, senza fronzoli o limitazioni, denunciando i problemi dell'attuale Francia e le possibili soluzioni.
Non ha mai affrontato un periodo della sua vita in maniera scialba, si è rimboccato le maniche consapevole della gavetta fatta, ma soprattutto delle origini povere a cui ha sempre guardato con positività tale, di quella essenziale a renderlo un punto di riferimento e punto di inizio per chi, adesso, ha bisogno di una mano, per emergere, per sopravvivere, per vedere rispettati i diritti essenziali.
Il calcio è stato il modo per raggiungere tale status, un lavoro come un altro, che lo ha reso però in grado di supportare e cambiare la vita di alcuni, di tanti, di molti. Ci prova, ci tenta. Non rimane con le mani in mano. Non lo ha mai fatto, nemmeno al Milan. Chiuso sì, incatenato no.
