GOALChi l'ha detto che si diventa famosi soltanto vincendo trofei? Davide Moscardelli insegna che per entrare nel cuore di tifosi e appassionati, a volte, possono bastare tecnica, carisma e... una barba d'altri tempi.
Uno sfizio che lo rende celebre insieme a piedi d'alta scuola, con cui fino a 40 anni delizia platee trasformandosi in idolo per look, invenzioni, tiri a giro e rovesciate.
"La storia della barba è iniziata per gioco e anche perché non avevo voglia di farmela - svela a 'Gianlucadimarzio.com' - Ricordo che l’ultimo periodo al Chievo avevo fatto una sorta di scommessa con me stesso, visto che si era appena aperta la possibilità di andare al Bologna a gennaio: se la trattativa si fosse chiusa l’avrei tagliata".
Moscardelli in Emilia ci va, ma i suoi fedelissimi lo rivogliono barbuto e - tra messaggi, post e appelli rivolti al diretto interessato - a momenti smuovono mondi.
"Alla fine me la sono fatta ricrescere: tutti contenti: i tifosi, mia moglie e i miei figli".
Riavvolgiamo il nastro. Mosca nasce in Belgio ma di belga non ha nulla, perchè si forma a Roma: la famiglia era finita a Mons per via del lavoro del papà - un membro dell'aeronautica militare capitato in missione lì - ed è nella Capitale che sboccia la vocazione per scarpini e pallone.
"Quando ci siamo trasferiti a Roma non avevo nemmeno un anno - precisa a 'Forza Bologna' - Ho comunque in simpatia la Nazionale belga. E anche sui social, mi presento con la frase: 'Born in Belgium, made in Italy'".
Maccarese e Guidonia gli forniscono le ali per spiccare il volo verso i professionisti, con prima tappa in C2 alla Sangiovannese dove con una media di un goal ogni 2 partite strega la Triestina e si guadagna la Serie B, terreno fertile per svariate stagioni.
Rimini, Cesena, Piacenza: i timbri si susseguono, ma ciò che rapisce l'occhio sono le traiettorie disegnate da Moscardelli. Grande, grosso, ambidestro, capacità acrobatiche e piedi fatati. Se poi ci aggiungi anche il capello lungo, non notarlo diventa impossibile.
Ne sa qualcosa il Chievo, che nell'estate 2010 gli corona il sogno di una vita: giocare in Serie A. Mosca la accarezza a 30 anni per volere di Stefano Pioli, un autentico mentore, che lo aveva smussato e ci aveva scommesso a Piacenza.
"Siamo due persone vere, che si dicono le cose in faccia e che si rispettano l'uno con l'altro - spiega a 'TMWmagazine' - Il resto viene da sé. Quando abbiamo lavorato insieme, poi, abbiamo sempre raggiunto gli obiettivi prefissati".
L'eden delle emozioni il 29 agosto 2010, col goal all'esordio in A in un Chievo-Catania: i sacrifici di sempre, sono racchiusi in quella sfera scagliata nella porta del 'Bentegodi'.
"Neanche io credevo di partire così forte, nemmeno credevo di giocare - il suo racconto al 'Corriere dello Sport' - Quando la palla è entrata ho pensato a quanto tempo avevo dovuto aspettare per un’emozione simile. Mi è scappata anche una lacrima. Bellissimo".
"Come mai sono arrivato in Serie A così tardi? Sapevo che era l’ultima estate in cui potevo sperare. Per fortuna è successo. E’ stato un lampo. Il Piacenza vendeva e il Chievo cercava un attaccante. Tre giorni dopo ho firmato".
Un momento troppo importante per non essere incluso nel tatuaggio, disegnato sul braccio, raffigurante i momenti chiave della sua vita.
"C’è un rosario che rappresenta mia madre, che è molto religiosa; una pergamena aeronautica, per mio padre e mio fratello, che sono militari; mia moglie; la data del mio debutto in A; un dado, che è il mio soprannome; un boccale di birra, perché quella guai se manca; la bandiera dell’Italia e quella del Belgio".
A Chievo lo soprannominano 'Bat(t)igol'.
"E' stata una goliardata di qualche tifoso che sapeva che Batistuta era il mio idolo, un attaccante che ho sempre ammirato- l'aneddoto in un'esclusiva a 'Goal' - Poi la somiglianza dettata dai capelli lunghi e dal pizzetto ha fatto tutto il resto".
L'avventura nel massimo campionato, dopo l'avvio super, man mano però si affievolisce: dopo il Chievo nel 2013 c'è il Bologna (guarda caso con Pioli in panchina), la destinazione 'motivo' della barba divenuta virale e oggetto di siparietti social tra bottiglie aperte e simpatiche gag con la moglie Guendalina.
"Mio figlio mi ha sempre visto così - sottolinea a 'Repubblica' - Dovessi tagliarla ho paura, non mi riconoscerebbe".
Un'eccezione, quando ancora indossava gli scarpini, Mosca comunque l'avrebbe fatta e la rivela alla 'Gazzetta dello Sport'.
"La raserei solo per giocare una partita con la maglia della Roma".
Già, perchè parliamo di cuore e sangue giallorossi.
"Con quella maglia all'Olimpico faccio quello che vi pare - assicura a 'Il Tempo' - anche un'amichevole o un derby del cuore...".
"Quando la Roma conquistò lo Scudetto nel 2001 ero al Guidonia e stavamo per vincere il Torneo d’Eccellenza - confida a 'Gazzetta.it' - Quel giorno giocavo alle 11 di mattina, quindi perfetto, perché finita la partita mio padre mi ha portato allo stadio, ho visto Roma-Parma con gli amici e ho vissuto al meglio quella giornata. La festa al Circo Massimo me la sono fatta dalle 9 di mattina alla fine dell’evento".

Una fede testimoniata anche dal tattoo in onore di Daniele De Rossi, per anni avversario ma allo stesso tempo beniamino di Moscardelli.
"Con lui ho un rapporto normale, non lo conosco benissimo, ma sa che stima ho nei suoi confronti, sa che sono romanista come lui e quelle poche volte che ci siamo incontrati abbiamo avuto sempre affetto reciproco. Il tatuaggio l’ho fatto quando non gli hanno rinnovato il contratto con la Roma, era una idea che avevo da molto. So che gli ha fatto piacere, anche se mi ha dato del matto".
Bologna dicevamo, dove da Gilardino eredita la numero 10 che fu di Roby Baggio e Beppe Signori e intanto taglia i capelli ("Era una vita che avevo il codino, ho pensato fosse arrivato il momento di cambiare"). Pochi lampi, qualche minuto da portiere contro l'Atalanta, tanta panchina e un divorzio a fine contratto che a 34 primavere lo riporta in C. Avventura a tinte - 'toh' - giallorosse: non quelle della Roma bensì del Lecce, raggiungendo un'altra figura amata dai calciofili italiani come Fabrizio Miccoli.
In due stagioni la missione di riportare i salentini in cadetteria - al netto del feeling nato coi tifosi e di 28 goal realizzati in 68 partite - non gli riesce, col conseguente addio che porta Moscardelli a spendere gli ultimi spiccioli di carriera in Toscana: Arezzo prima (dove nel 2017/2018 salva gli amaranto nonostante 13 punti di penalizzazione), Pisa poi (con cui torna in B).
Fascia da capitano in entrambi i casi e panni del leader, facendo leva sull'esperienza e quei piedi capaci ancora di regalare goal pesanti e magie a dispetto di una carta d'identità non più invidiabile.
"La mia rete più bella? Una segnata nella stagione 2000/2001 nel Guidonia - afferma a 'Sky' -non esiste un video, ma solo un articolo di giornale che ho tenuto nel mio portafogli".
A 40 anni Mosca capisce che è il momento di fermarsi, scendere dal treno dei sogni e pensare a una nuova vita: nell'estate 2020 si sfila gli scarpini pur senza salutare il Pisa, diventando collaboratore del tecnico D'Angelo per una stagione.
"Il virus ha aiutato la scelta, ma l’avevo già fatta da tempo - confessa a 'TMW' - Ricominciare a quest'età, magari andando chissà dove e allontanandomi di nuovo dalla famiglia, non era una strada praticabile".
"Certo, smettere di giocare non è facile: ho avuto la fortuna di rimanere integro fino ai 40, ma ho colto questa possibilità. Alla fine ho cambiato solamente spogliatoio ed abiti di allenamento. Cosa farò da grande? Vediamo come andrà quest'anno, poi prenderò le mie decisioni".
Al termine della scorsa annata l'accordo non è stato prolungato e, da settembre, Moscardelli ha sposato la 'Totti Sporting Club' dandosi al Calcio a 8 con l'ex capitano della Roma nonchè idolo. La favola continua.




