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Dario Dubois, il calciatore metallaro: volto dipinto in campo e attacco al potere

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Spulciando il regolamento del calcio, relativamente ad obblighi e limitazioni dei giocatori, non c'è niente relativamente alla pratica di dipingersi il volto. Anche davanti all'utopistica eventualità in cui tutti i ventidue in campo decidano di lasciarsi andare ad un attacco d'arte su vasta scala, i numeri sulle maglie permetterebbero al direttore di gara di identificare ognuno durante la gara e tramite personale conoscenza o documento di identità prima della stessa. Un vuoto normativo a cui in Argentina, negli anni 2000, hanno provato a porre rimedio. Il peccato originale, e anche unico? Dario Dubois, in campo con il corpse-paint. Truccato di bianco e nero, sulla scia dei gruppi metal proliferati nel Nord Europa nel decennio '80 dello scorso secolo.

A Dubois il calcio piaceva. Ma non adorava giocare a calcio. Sembra essere un controsenso e per certi sensi può sembrarlo. Semplicemente, dando spazio alle spiegazioni, il nativo di Buenos Aires era interessato alla sfida che portava giocare a pallone, all'adrenalina dello sforzo fisico durante gli allenamenti e alla foga durante le gare. Avesse avuto un altro fisico, fosse venuto al mondo in altre parti del globo, forse si sarebbe dato al football americano o alla boxe. Invece, a Villegas ha avuto modo di incontrare solamente la sfera rotolante, entrando in essa per provare a sfuggire ad una situazione economica disastrosa, come ammetterà più volte, e al quartiere in cui vivrà gran parte della sua vita. E dove troverà la sua morte.

BLACK METAL E CORPSE-PAINT: RIVOLUZIONE

Dubois, nato nel 1970, capirà in poco tempo di avere un'unica grande passione: la musica. L'Argentina sembra un altro mondo rispetto all'America e all'Inghilterra, da cui arrivano le più grandi band globali. Quando Dario è adolescente, si avvicina al genere di gran lunga meno amato dai calciatori: il metal. E' rapito dalla rabbia dei testi, dalla volontà di attaccare il potere o semplicemente di colpire lo status quo. Spazia tra derivazioni, dall'hair tanto in voga negli anni '80 all'heavy.

Generi che spesso, ma non in maniera continua, hanno sperimentato anche i Kiss, band newyorkese tra le più influenti nel panorama musicale. La particolarità di Gene Simmons, Paul Stanley e del resto della band? Quella di dipingersi il volto di bianco e nero. La maggior parte dei membri usa trucchi prevalentemente fumettistici: da gatto, da volpe, da uomo dello spazio. Ognuno di loro assume l'identità di un personaggio, spesso 'positivo'. Simmons, invece, si discosta diventando The Demon, sulla scia di altri grandi interpreti del passato, passati alla storia per aver utilizzato il trucco facciale in maniera orrorifica: su tutti Alice Cooper.

Negli anni '90 Dubois, militante nelle serie inferiori argentine e in particolare sotto la bandiera del Midland, club del quartiere Libertad di Buenos Aires, si ispira ai Kiss e ai loro predecessori, decidendo di dipingersi il volto di bianco e nero per scendere in campo e far paura agli avversari. Del resto nulla lo vieta: trova la soluzione per unire la musica con il lavoro con cui rimedia la maggior parte del suo mai certo stipendio.

L'ispirazione del trucco è inizialmente quella dei Kiss, ma ad un livello più generale, capace di spiegare anche l'idea - effettivamente reale - che possa effettivamente terrorizzare gli avversari insieme alla foga dei suoi contrasti, Dubois guarda alla seconda ondata del genere più estremo: il black metal. Diffusosi in Norvegia tra fine anni '80 e inizio '90 grazie a gruppi come Mayhem, Immortal e la one-man band Burzum, ha ancora oggi come caratteristica maggiormente riconosciuta il dipingersi il volto di bianco e nero in stile cadaverico: per l'appunto, il corpse-paint.

Dubois Burzum PSGoal

Dubois, in ogni intervista radiofonica, televisiva o apparsa sui quotidiani argentini, non avrà mai paura di distaccarsi dal black metal, che negli anni '90 e 2000 verrà demonizzato dai media occidentali per gli eventi verificatisi in Norvegia: alcuni esponenti del genere, vedi Varg Vikernes (mente dietro il già citato gruppo Burzum), si resero protagonisti di numerosi crimini, tra cui i noti incendi delle chiese cristiane locali e l'uccisione di Øystein 'Euronymous' Aarseth, tra gli iniziatori del genere.

Quando Dubois comincia ad ascoltare musicassette e cd dei gruppi black metal non è interessato ai testi, prettamente satanici. Del resto la barriera linguistica è enorme, ma lo screaming dei cantanti, le urla e il loro aspetto aprono un mondo interessante da sfruttare, così da scendere in campo e terrorizzare gli avversari:

"Ho cominciato a dipingermi il volto dieci anni fa. L'ho fatto perché ascolto il black metal marcio, di quello che ti spacca la testa. Mi dipingo, esco a combattere per ammazzare i miei rivali".

Le dichiarazioni di Dubois a Olé fecero scalpore in Argentina. Alcuni erano realmente convinti che il buon Dario volesse veramente uccirede i propri avversari. Voleva solo spaventarli. Era un ragazzo che si guadagnava da vivere con il calcio, ma che allo stesso tempo vendeva abiti hippie e incensi al mercato di Villegas come ambulante. Un buono a cui piacevano le sonorità del metal più duro e quei due colori cadaverici che mettevano paura alla classe agiata norvegese prima e al resto del mondo poi.

Dubois riuscirà nel suo intento. Quello di mettere in difficoltà i suoi avversari, a differenza dei compagni di squadra:

"Loro si divertono, ma alcuni dei miei avversari si spaventano veramente. Sono un pagliaccio che si dipinge il volto e che morirebbe per la maglia. Mi dà energia. Cosa dice la mia famiglia? Niente, sanno che sono pazzo da dieci anni".

Dario Dubois non ha una predilezione per River Plate o Boca Juniors. Guarda al suo piccolo mondo e in particolare tifa in maniera fanatica per il Midland, la squadra con cui gioca. E' talmente innamorato del suo club che si dice disposto a smetterla col trucco davanti ad eventuali problemi. Non sarà l'unica della sua carriera, che lo porterà a vestire anche le casacche di Yupanqui, Lugano, Deportivo Riestra, Laferrere, Cañuelas e Victoriano Arenas. Nessuna, però, sarà mai come il suo Midland. Qui deciderà di truccarsi per la prima volta, in occasione della sfida contro i rivali dell'Argentino de Merlo.

Prima dell'intervento da parte del presidente federale Grondona, che vieterà al ragazzo dai lunghi capelli ricci - a volte neri, a volte color platino - di continuare nella sua prassi truccante (motivando tale scelta come un possibile danno di immagine per il calcio argentino, mah), Dario Dubois continuerà a dipingersi per ulteriori tredici gare.

Nella leggendaria intervista radiofonica a En Una Baldos del 2007, racconterà l'arte del trucco prima di quelle famose quattordici partite. In una di queste userà come 'camerino' lo spogliatoio dell'arbitro:

"Avevo pochi secondi per dipingermi la faccia, tra il riscaldamento e l'inizio della gara. Mi truccavo sempre in maniera diversa, ma sempre in bianco e nero, trucchi satanici come quelli delle band che ascoltavo. Erano molto belli e non andavano via durante le partite, appartenevano alla persona che stavo frequentando all'epoca, un travestito. Sì, mi piacciono gli omosessuali, i travestiti, le donne. Mi piace dirlo, visto che l'ambiente del calcio è machista, maschilista, fascista, disgustoso. Ci vogliono tutti con i capelli corti, ben vestiti e ordinati. Invece io ascoltavo metal satanico finlandese e norvegese, trasandato, con le borchie. Era pazzesco, ma venivano a vedermi i canali televisivi, dal più famoso al più piccolo. Fino a mille persone".

Già con la già citata intervista a Olé del 1998, Dubois venne accerchiato. La federazione argentina darà vita ad una legge particolare fatta su misura per evitare il trucco in campo, mentre il presidente del Midland, Rodolfo Marchioni, metterà alla porta il ragazzo. Colpevole di aver messo in ridicolo il club, neanche lontanamente però davanti ad una copertura mediatica così elevata. Che non raggiungerà più:

"Semplicemente non può andare avanti, ha fatto il pagliaccio nell'ultimo mese e mezzo".

Dubois, supportato da diversi addetti ai lavori, si difenderà evidenziando come Marchioni fosse geloso dell'attenzione ricevuta. Peccato, considerando come Dario spiegasse di essere stato rassicurato dai dirigenti dal poter continuare così, senza il minimo problema, davanti ad un rendimento positivo. Mai ridotto, eppure spazzato via dalla patina che il calcio conservatore e purista deve conservare. Spettacolo oltre lo sport.

LA LOTTA AL POTERE E LA CARRIERA MUSICALE

Del resto Dubois non beve, non fuma, non si droga: uno sportivo perfetto da questo punto di vista, ma per nulla interessato a concentrarsi sul calcio sette giorni su sette. L'unica cosa che conta è guadagnare per reinvestire i soldi nella musica, nelle sue tre band: i Tributo Rock, tribute band formata da calciatori creata in onore dei connazionali Vox Dei, i Corre Guachin, che suonano elettronica derivante dal folk colombiano, e un'altra tribute band per suonare le canzoni dei Reef, band funk rock britannica. Di black metal nulla di nulla, per evidenziare ancora una volta come al calciatore argentino piacciano solo trucchi e ritmo. Non i loro testi, spesso scritti da compositori omofobi e xenofobi. L'esatto contrario del pensiero duboisiano.

A El Loco non è mai piaciuto il potere, e attirata su di sé l'attenzione ha sempre scelto di attaccare i piani alti del calcio argentino e i suoi rappresentanti. Denunciò di essere stato fermato da un dirigente avversario, che chiese a Dubois di combinare un match. La risposta fu uno sputo e la definizione di "topo bastardo".Denunciava la corruzione e si faceva beffe di chi rivoltava lo sport, rendendolo sporco.

Dario DuboisYoutube/Goal

Uno dei più famosi episodi che riguardano Dubois vede proprio il denaro come protagonista. In una delle gare giocate nel 2001, dopo aver abbandonato il trucco sul volto, venne espulso dall'arbitro Juan Carlos Romero: insieme al secondo cartellino giallo, il direttore di gara tolse dalla tasca un altro pezzo di carta, per errore. 100 pesos. Il più veloce ad accorgersene fu proprio il difensore, che raccolse la banconota e senza guardare niente e nessuno sfrecciò verso gli spogliatoi. Accusò il fischietto di aver ricevuto quella somma come tangente per arbitrare a favore del club Excursionistas, avversario del Midland quel giorno. Pensò di tenerseli come compensazione per il rosso, ma dovette ripensarci per evitare venti giornate di squalifica.

Si burla di tutti, nemici o amici che dovrebbero essere tali. Come lo sponsor del Lugano, nel 1995: lo stipendio promesso non è arrivato e Dubois non ha intenzione di perdere tempo. Vuole coprire la pubblicità sulla casacca con il nastro isolante nero, ma l'ha dimenticato. Niente paura. In aiuto c'è il fango sul terreno di gioco, che funge benissimo da copertura. Su una maglia arancione, ancor di più.

Ogni settimana la Federazione argentina è furiosa per come tutto l'inquadrato sistema del calcio locale viene deriso da Dubois, sempre più idolo tra terza e quarta serie. L'obiettivo di Dario? Aveva bisogno di giocare almeno fino ai 40 anni per poter continuare a divertirsi nei locali di musica live come tecnico del suono e musicista. Quando ne ha 34, però, il numero sei è costretto a dire basta per un infortunio ai legamenti che non riesce a curare:

"Mi hanno mandato in tutti gli ospedali pubblici di Avellaneda. E lì non sai chi ti tocca. Avevo bisogno di uno specialista".

Non poteva permetterselo: né il suo club del 2004, il Victoriano, né la federazione argentina lo aiutarono economicamente. La relazione con l'AFA era peggiorata due anni prima, dopo che Dubois aveva attaccato duramente i vertici in seguito ad una partita con il Liniers, in cui aveva perso i sensi ed era stato trasportato in ospedale con ferite alla testa e un'emorragia all'orecchio destro:

"Sono tutti un branco di topi. Per fortuna sto bene, ma sono quasi morto in campo e loro non hanno fatto nulla per aiutarmi. Ringrazio queste grandi istituzioni per non esserci state quando ne avevo bisogno".

Dubois è costretto ad abbandonare il calcio, lavorando nei locali di Isindro Casanova, quartiere di Buenos Aires, come fonico. Spesso ottiene qualche ingaggio per serate live con i suoi tre gruppi. Un post carriera un po' diverso rispetto a quanto, nei suoi sogni più felici, si aspettava. Non avrebbe avuto problemi a guadagnarsi da vivere in altri modi per inseguire la musica, ma alla fine ha passato gli ultimi anni della sua vita proprio grazie alle note.

DUBOIS MUORE A 37 ANNI

Già, gli ultimi anni. Dubois viene assassinato. E' intento a tornare a casa con la sua compagna, quando è vittima di un'aggressione: secondo la versione ufficiale i malviventi fermano Dario con l'intenzione di rubare bicicletta, zaino e cellulare, sparandogli ad una gamba e allo stomaco davanti al tentativo di difesa dell'ex calciatore. Secondo le voci del quartiere e dei parenti, invece, i due aggressori lo cercarono con l'intenzione di ucciderlo dopo una lite con un pezzo grosso dei dintorni, mascherando il tutto da 'semplice' rapina.

Il mondo della musica underground si stringe attorno all'icona del quartiere. La speranza però verrà meno quando Dario Dubois, dopo quindici giorni di sofferenze, morirà prematuramente all'Hospital Paroissien. A soli 37 anni. Il calcio argentino passerà rapidamente oltre, non quello musicale: nasceranno tribute band, come il Dario Dubois Duo, saranno organizzate messe e concerti di tributo per ricordarlo e diverse riviste, come il Rolling Stone edizione panamense, dedicheranno lunghi articoli alla sua epica storia.

Del resto Dubois non ha mai avuto paura di esporsi contro un mondo del calcio lontanissimo dalle sue idee. Quelle da giullare addetto alla caduta dei potenti. Sportivo, artista e rivoluzionario. Indossava gli occhiali da sole in panchina, parlava con la mente aperta. Prima della sua morte era in procinto di cominciare un lavoro come fonico per gli Attaque 77, punk rock band argentina. Il calcio gli aveva voltato le spalle, ma ormai non serviva più al suo sostentamento. Del resto era sempre stato un modo per continuare a suonare e rimanere nel suo ambiente musicale cittadino, praticamente privo di pregiudizi.

Il suo vecchio black metal era lontano più di un decennio, da cui aveva sempre attinto solamente rabbia e corpse-paint, distaccandosi da tematiche e carattere prettamente conservatori. Era stato allontanato dal calcio, sbattuto fuori dalla sua sincerità.

Tra tutti, e non è facile dirlo, probabilmente il racconto che più trasmette l'autenticità di El Loco è quello di Miguel 'Perico' Falco, batterista della tribute band Tributo Rock, di cui Dubois era bassista e seconda voce, e compagno di squadra del compianto difensore argentino sotto la bandiera del Midland:

"Ebbe l'idea di formare una band. Ci abbiamo pensato e alla fine ci siamo incontrati nel suo appartamento a Ciudad Evita. Abbiamo provato a casa di mia madre e poi in molti altri posti, e quando la band ha iniziato a suonare bene, molto bene, è successo quello che è successo a Dario. Una volta dovevamo esibirci ma eravamo in ritardo dopo un allenamento. Siamo saliti sul palco e ha iniziato a suonare con i pantaloncini, i calzettoni e gli scarpini. Un boss, lascia perdere. Noi che lo conoscevamo ne abbiamo goduto appieno".

Che peccato non aver potuto condividere il mondo con Dario Dubois più a lungo.

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