Luciano Moggi, ogni volta che ci ripensa, si lascia andare a un sorriso amaro e a un sospiro. Marcelo Salas cade dalle nuvole ogni volta che gli ricordano quell'episodio. Cristiano Ronaldo, lui, probabilmente non ne ha mai saputo nulla. Oppure l'ha rimosso dalla memoria. Dopo tanti anni, del resto, è normale. Anche se non dovrebbe esserlo. Perché rappresenta la prima, vera sliding door della carriera del portoghese. Quel bivio che ti conduce a destra e non a sinistra. A Manchester e non a Torino. Con tutto ciò che ne conseguirà.
Nel 2018, la Juventus ha preso veramente Cristiano Ronaldo. Il colpo del secolo, lo hanno definito. Anche se a scoppio ritardato. Perché Ronaldo era destinato alla Juve già 16 anni prima, sul finire del 2002, altra epoca, altra dirigenza, altro calcio. Solo che qualcuno si era messo di mezzo perché l'affare non andasse a buon fine. Salas, appunto. Uno scambio ideato, organizzato, quasi definito con lo Sporting, che ai tempi era la squadra di Ronaldo. E poi naufragato proprio sul più bello per il rifiuto del cileno a trasferirsi a Lisbona. Salas avrebbe lasciato la Juve qualche mese più tardi, ma per tornare al River Plate.
“Irrompe anche la Juventus su Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, il gioiellino dello Sporting Lisbona – scrive la 'Gazzetta dello Sport' del 30 novembre 2002 – Fedele alla politica di accaparramento dei migliori giovani soprattutto italiani, ma anche stranieri, Luciano Moggi ha messo gli occhi sul 17enne attaccante portoghese. Una seconda punta di gran fisico (184 centimetri d'altezza per 75 chilogrammi di peso) dotata però anche di ottima tecnica. Sulle tracce del Ronaldo europeo (compirà 18 anni solo il prossimo 5 febbraio), c'è da tempo anche l'Inter, uno dei primi club ad accorgersi di questo straordinario talento, avendolo ammirato (seppur per pochi minuti) nella gara d'andata del turno preliminare di Champions League. I vertici di mercato nerazzurri hanno già avuto dei contatti con il club portoghese”.
Il primo a notare il giovanissimo Ronaldo è Gianni Di Marzio. Che non è solo il papà di Gianluca, ma soprattutto un ex allenatore e dirigente di lungo corso del pallone italiano. All'inizio dei Duemila fa l'osservatore per la Juve. Non è l'unico, ma di calcio ne sa. E così viene spedito a Lisbona da Franco Ceravolo, il capo degli scout di Madama. Ma non per guardare da vicino il futuro CR7. Non subito, almeno. L'obiettivo numero uno di Di Marzio e della Juve si chiama Ricardo Quaresma, che anni dopo in Italia ci arriverà, ma per giocare con l'Inter.
Getty ImagesLa partita è Sporting-Belenenses, 20 ottobre 2002. Quaresma ha 19 anni, Cristiano 17. Quest'ultimo è reduce dalla sua prima doppietta da professionista, segnata un paio di settimane prima al Moreirense. Il suo nome inizia già a circolare nell'ambiente. E anche Di Marzio non può fare a meno di notarne movimenti e personalità. Certo, le distrazioni non mancano. Sulle tribune c'è una signora che urla come un'ossessa appena Ronaldo tocca palla. Dopo un attimo di smarrimento, lo scout capisce che si tratta di Dolores, la madre. Si avvicina a lei, la saluta, si presenta. E le lascia un biglietto da visita. Perché ha già capito di dover spostare le attenzioni da Quaresma a suo figlio.
“Gli misi subito gli occhi addosso – racconta Di Marzio nel libro “I segreti dell'osservatore di calcio” di Jean-Christophe Cataliotti – Giocava sulla sinistra, rientrava sul destro, fisicamente era forte, aveva giocate strabilianti, saltava bene l’uomo, la fase difensiva la faceva, si sacrificava per la squadra. Lo portammo a Torino per fare le visite mediche. L’affare saltò (sottolineo che io non ero colui che doveva chiudere le operazioni, ma colui che doveva segnalare i giocatori, quello era il mio compito e non andavo oltre) tra Sporting Lisbona e Juventus perché nell’affare la Juve voleva dare dentro Salas più una manciata di milioncini, ma Salas non accettò quel trasferimento”.
Per la Juve è uno smacco. Anche perché Salas, in quelle settimane, viene trattato alla stregua di un pacco postale. Non è più il letale centravanti del Cile che in Francia saltava sulle spalle di Fabio Cannavaro. Non è più il Matador che alla Lazio segnava e s'inginocchiava, segnava e s'inginocchiava, senza sosta. È un giocatore che, quando lo vedi in campo, fatichi a riconoscerlo. Non tanto per colpa sua, a dire il vero, quanto per un destino che ha deciso di ostacolarne i sogni di gloria.
Alla Juve, Salas è arrivato poco più di un anno prima. L'estate del 2001 è stata una delle più movimentate di quegli anni. Il Milan si è affidato a Fatih Terim, a Rui Costa e a Pippo Inzaghi. L'Inter ha risposto con Hector Cuper, l'uomo delle pacche sul petto e delle finali di Champions. La Roma, campione in carica, si è regalata Antonio Cassano. E la Juve ha ceduto Zinedine Zidane al Real Madrid. Un apparente controsenso, per chi avrebbe dovuto risalire la china di un sesto e due secondi posti. Ma con 150 miliardi di lire in più in cassa, la triade Moggi-Giraudo-Bettega ha ricostruito la squadra. E così, ecco Buffon, Nedved, Thuram. E Salas. Lo voleva anche il Real Madrid, ma se l'è aggiudicato la Juve. È arrivato dalla Lazio, in cambio di 25 miliardi più Darko Kovacevic, per aggiungere dinamite a un attacco formato da Del Piero e Trezeguet.
Il problema è che nulla è mai girato per il verso giusto. Salas si è presentato trasformando il rigore decisivo che, alla terza giornata, ha vinto la resistenza del Chievo, in vantaggio 2-0 a Torino prima di accettare la realtà di un bruciante 2-3. Ma è stato un lampo nel buio. Poche settimane più tardi, ecco la svolta. Doppia. Il 14 ottobre del 2001 la Juventus stava conducendo per 3-0 sul Torino. Ma i granata si sono riportati incredibilmente in quota, trovando prima il 3-1 e poi il 3-2. E, poco dopo l'ingresso di Salas, anche il 3-3. All'86' i bianconeri si sono visti concedere un rigore per una trattenuta di Delli Carri su Tudor. E il Matador lo ha sparato alle stelle. Colpa di una buca scavata a tradimento proprio sul dischetto da Riccardo Maspero, mentre tutti erano intenti a protestare e disperarsi. Una marachella di cui nessuno si è accorto. Nemmeno il cileno.
“Schiumavamo di rabbia. Eravamo neri – ha raccontato ai tempi Maspero, come riportato il giorno dopo da 'La Stampa' – In quei casi o fai la rissa o ti inventi qualcosa. Allora sono andato sul dischetto del rigore e ho cominciato a scavare, prima con la punta e poi con i tacchetti, una buca. Due volte ci sono passato sopra con il sinistro e due volte con il destro. Nessuno se n'è accorto, nemmeno i miei compagni, nemmeno Bucci che era alle prese con le proteste contro Borriello. C'era ancora tempo, vedevo che le proteste si dilungavano e che soprattutto nessuno era vicino al dischetto e allora ho deciso di farmi un altro giro per continuare il mio "scavo". A quel punto ho usato la punta con più forza proprio per creare una vera e propria buca che avrebbe potuto mettere in difficoltà Salas. Trovo strano però, essendo lui uno specialista dei tiri dal dischetto, che non si sia accorto del mio "lavoro" e che abbia posato il pallone come se niente fosse. Durante il mio secondo tentativo mi ha visto Tacchinardi, mi ha invitato ad andare via. Gli ho risposto "va bene me ne vado", ma a quel punto il giochetto era fatto”.
Quel pomeriggio domenicale si è aperta la prima crepa nel rapporto tra Salas e la Juventus. E quel che ne restava si è sgretolato sei giorni dopo, il 20 ottobre del 2001. Ironia della sorte, un anno prima del viaggio portoghese di Di Marzio. La Juve ha confermato il proprio stato di forma precario pareggiando senza reti a Bologna. Il cileno, ancora una volta, è entrato a un quarto d'ora dalla fine. Ma poco dopo ha appoggiato male una gamba a terra, provocando una torsione innaturale del ginocchio destro. È uscito in barella e tra le lacrime. E qualche ora dopo si è sentito riferire una diagnosi impietosa: distorsione al ginocchio con lesione del legamento crociato anteriore. Sei mesi di stop, stagione già conclusa.
Getty ImagesIl matrimonio tra Salas e la Juventus, in pratica, si è concluso lì. Perché l'ex laziale il campo l'ha rivisto, ma solo per modo di dire. Nella stagione successiva, Marcello Lippi ha tentato di recuperarne fiducia e condizione, ma ben presto ha iniziato a tenerlo sempre meno in considerazione. Qualche presenza in campionato, qualche comparsa in Champions League. Poi, tante panchine. Lento, impacciato, fisicamente distrutto, il Matador si è inginocchiato e questa volta non si è più rialzato. Ad appena 28 anni, ha cominciato ad imboccare la via del tramonto.
È in questo contesto che, nelle settimane finali del 2002, la Juve decide di imbastire lo scambio. Il passato da rottamare in cambio del futuro che avanza. Più qualche milione a corredo. Cinque, per la precisione. Lo Sporting traballa e alla fine sembra accettare. E il giovane Cristiano Ronaldo si reca a Torino per le visite mediche. Ma Salas ha un'idea ben precisa in mente: se a Torino è davvero finita, tornerò in Sudamerica. E così, tutto sfuma. Per la disperazione di Luciano Moggi, che a quella vicenda ha dedicato una parte di un capitolo di “Il pallone lo porto io”, la propria autobiografia. “A un passo doppio da Cristiano Ronaldo”, l'ha intitolato.
“Quando ci penso, maledico ancora (bonariamente, s'intende) Marcelo Salas. Per colpa sua, fui costretto a rinunciare a Cristiano Ronaldo, uno dei calciatori più forti di tutti i tempi, Pallone d'Oro 2013. Me lo segnalò un amico: «Vai a vedere quel ragazzino, è un portento». [...] Organizzai in tutta fretta l'incontro con i dirigenti dello Sporting e subito trovammo l'accordo: 5 milioni di euro più il cartellino di Salas, che ne valeva circa 10, cifra che noi avevamo già ammortizzato. Salas era stato sfortunato in bianconero: tra campionato e coppa, 32 presenze e 4 gol in due stagioni a causa di un grave infortunio al ginocchio. Il prezzo per Ronaldo, comunque, era decisamente alto per un ragazzino, ma non avevo dubbi: è super e lo voglio. […] Trovai quindi l'accordo con lui, mentre per ratificare quello con lo Sporting mi mancava l'ok di Salas per trasferirsi a Lisbona. Non dico che lo ritenessi una formalità, ma certo non pensavo diventasse un ostacolo insormontabile tra me e Ronaldo. Salas, purtroppo, non ne voleva sapere del Portogallo. Cercai in ogni modo di convincerlo, ma non ci fu verso. Provai a tentarlo offrendogli dei soldi in più, una sorta di buonuscita da sommare all'ottimo contratto che lo Sporting era pronto a fargli firmare. Non ci fu nulla da fare. Marcelo voleva tornare nella sua vecchia squadra, il River Plate, dove in effetti ha vissuto una seconda giovinezza, disputando due ottime stagioni”.
“Ho sentito e letto anch’io queste voci – è la versione rilasciata qualche anno fa da Salas a 'Calcio GP' – ma a me personalmente non è stato detto nulla dell’interessamento nei miei confronti dello Sporting. Dico solo che pur di rimanere alla Juve ho rifiutato tante offerte. Tra queste c’erano anche Bayern Monaco e Manchester United”.
Breve salto in avanti. Agosto 2003, qualche mese dopo. Sporting e Manchester United si affrontano in un'amichevole precampionato. Quelle sfide buone per attrarre pubblico e visibilità, per mettere benzina nelle gambe e magari scoprire qualche volto nuovo. Come Cristiano Ronaldo. Che conferma quanto di buono si dice su di lui facendo il bello e il cattivo tempo. Come ha ricordato l'ex interista Mikael Silvestre, poi suo compagno a Manchester, "torturò il povero O'Shea sulla fascia sinistra mettendo in mostra la sua velocità e i cambi di direzione con la palla. Pensavamo: 'Sarebbe bello se questo ragazzo indossasse la maglia dello United...'".
Il desiderio di Silvestre, in pratica, diventa realtà quella sera stessa. Sir Alex Ferguson non ha più dubbi: quel ragazzo dev'essere mio. E batte sul tempo un'altra italiana, il Parma, ostacolato da crescenti problemi economici dopo le vacche grasse degli anni 90. I Red Devils offrono 15 milioni di euro, lo Sporting accetta.
“Il Manchester United era interessato a me ancor prima di quella partita – ha ricordato Ronaldo a DAZN nel 2019 – Quella gara è stata come la ciliegina sulla torta. Riuscii a mettermi in evidenza e ciò aumentò ancor più il loro interesse. Da quel momento sentii di non dover più dimostrare niente a nessuno. Dopo quella partita, tutti i club sapevano già che puntare su di me significava vittoria certa".
Salas, invece, raggiunge il proprio scopo. Nell'estate del 2003 lascia Torino e la Juventus e torna a Buenos Aires per giocare con il River Plate. In Argentina è un evento. Nessuno lo ha mai dimenticato. “Ho sempre voluto tornare qui e ora c'è stata la possibilità di farlo”, dichiara il Matador nella conferenza stampa di presentazione. Una frase che, per una volta, suona meno banale di quanto possa sembrare.




