"Rozzi ha messo Ascoli sulla mappa" - Francesco Bellini, ex presidente dell'Ascoli
Doveva restare in carica soltanto pochi mesi, il tempo utile per risanare il bilancio societario dell'Ascoli. Invece Costantino Rozzi se ne innamorerà a tal punto da non lasciare più la direzione del club fino alla sua morte, diventando 'Il Presidentissimo'.
Nei suoi 26 anni di presidenza, porterà i marchigiani dalla Serie C al 4° posto in Serie A nel 1979/80, e a vincere trofei nazionali, come il Torneo di Capodanno, e internazionali, come la Mitropa Cup e la The Red Leaf Cup, ottenendo risultati di prestigio che mai, prima di lui e dopo la sua scomparsa, la società bianconera è riuscita a ripetere.
L'ARRIVO ALLA PRESIDENZA
Nato ad Ascoli Piceno l'11 gennaio 1929, Costantino Rozzi nel 1948 consegue il diploma di geometra con il massimo dei voti.
"A scuola Costantino era bravo - racconterà di lui l'ex compagno di classe Walter Panichi - e nei compiti in classe consegnava per ultimo così aveva il tempo di aiutare i compagni in difficoltà".
Da subito trova occupazione presso lo studio di un ingegnere ma in seguito prende servizio al Catasto dopo aver vinto un concorso.
Presto tuttavia si rende conto che quel lavoro non fa per lui, così si licenzia e trova impiego nell'impresa Zaccherini di Roma che sta costruendo per conto del Consorzio di Bonifica del Tronto un canale di irrigazione. La sua aspirazione resta sempre quella di aprire un'attività in proprio. Assieme al fratello Elio ottiene un appalto per la costruzione di una serie di palazzi ed una strada anche grazie ad un finanziamento bancario. Nel 1956 nasce così l'impresa Fratelli Rozzi, che negli anni a venire otterrà concessioni per la costruzione di strade nel vicino Abruzzo e in altre località soprattutto al Sud.
Rientra in questo quadro anche l'appalto della Superstrada Ascoli-Mare. Successivamente l'attività dell'impresa si ampia ad altri settori dell'edilizia: palazzi, alberghi, ospedali. E nasce l'Impresa Costantino Rozzi. Nella vita privata sposa Franca Rosa, che gli darà 4 figli: Annamaria, Fabrizio, Antonella e Alessandra.
Tutto preso dal suo lavoro, fino all'età di 39 anni Rozzi si era completamente disinteressato del calcio. Pur abitando vicino allo Stadio delle Zeppelle, come allora si chiamava l'impianto, il geometra quando vedeva i tifosi sbraitare per la loro squadra del cuore e sentiva le loro urla durante le partite, li trovava decisamente bizzarri.
"Ma chi sono quei pazzi che trascorrono il pomeriggio della domenica a vedere una partita di calcio?", si chiedeva, inconsapevole che presto sarebbe diventato il loro idolo e il loro punto di riferimento.
Dopo la morte del patron Cino Del Duca, nel 1967 la società, che era diventata Del Duca Ascoli, e militava nel campionato di Serie C, passò nelle mani della vedova, la signora Simone, che diventò anche presidente onoraria. Quest'ultima, versando 100 milioni di Lire nelle casse societarie, aveva espresso la volontà di rinunciare al suo incarico quando il club avesse ottenuto la promozione.
Proprio in quegli anni un gruppo di giovani imprenditori locali, composto dal commerciante Bruno Loreti, dall'imprenditore edile Carlo Sabatini, dall'assicuratore Giuliano Moricone, assicuratore, dal dentista Iachino Pallotta, dall'imprenditore Roberto Benigni, dall'imprenditore del settore dei trasporti Gino Regoli, imprenditore nel settore trasporti, e Walter Panichi, imprenditore edile, iniziarono a interessarsi seriamente del futuro della società.
Furono proprio loro, dopo aver raccolto un capitale sociale di partenza, a trascinare nel giugno del 1968 Costantino Rozzi, conoscendone la bravura nel lavoro e l'entusiasmo, nella sua nuova avventura: quella di presidente dell'Ascoli. Rozzi accettò l'incarico perché pensava che sarebbe rimasto al vertice del club pochi mesi, giusto il tempo di risanare il bilancio societario. Invece avrebbe mantenuto la carica per ben 26 anni.
LA SCALATA DALLA C ALLA A CON MAZZONE
Nei suoi primi anni di gestione del Del Duca Ascoli, Rozzi si avvale della collaborazione di Regoli e Panichi, i veri esperti di calcio del gruppo dirigenziale, che operano rispettivamente come Direttore generale e Direttore sportivo.
Nel suo primo anno come presidente, un episodio apparentemente casuale e negativo, segnerà invece in maniera decisiva il futuro suo e dell'Ascoli. Nel derby contro la Sambenedettese, che si gioca nelle prime giornate di campionato, la bandiera Carlo Mazzone si rompe una gamba e deve concludere anzitempo, a 31 anni, la sua carriera da calciatore.
"In un derby Ascoli e Sambenedettese mi sono fratturato la tibia in un contrasto, perché non portavo i parastinchi - racconterà in un'intervista ad 'Avvenire' nel 2017 -. Ho dovuto cambiare mestiere restando nel mondo che amavo. Il male fisico mi ha insegnato tanto, da uomo e da calciatore. Ma nella sfortuna la mia fortuna fu Costantino Rozzi. Il presidente era un uomo meraviglioso, esuberante, intelligente e buono, che fermò la mia disperazione dicendo: 'Carlo, non ti preoccupare, guarito o no starai sempre con me'. Io, la mia famiglia, i miei figli e i miei nipoti gli saremo sempre grati'...".
Rozzi affida inizialmente a Mazzone la guida delle Giovanili, ma poi, il 24 novembre 1968 lo fa debuttare al posto di Malavasi in Serie C. Per due stagioni il giovane tecnico fa la spola fra Giovanili e Prima squadra, dove è chiamato sempre a stagione in corso, poi nel 1970 la svolta: il presidente decide di dargli fiducia fin dall'inizio del campionato.
Inizia così il quinquennio che porterà l'Ascoli, per la prima volta nella sua storia, in Serie A. Rozzi fissò subito l'obiettivo, e non ebbe esitazioni ad annunciarlo al Consiglio direttivo.
"Ragazzi, dobbiamo andare in Serie B", disse.
Molti lo guardarono con stupore, invece il geometra ed imprenditore edile avvia una trasformazione profonda della società Del Duca Ascoli, che in breve tempo passa da una gestione che si potrebbe definire 'dilettantistica' ad essere gestita come una società professionistica.
Il suo dinamismo imprenditoriale, la sua professionalità e il decisionismo che lo contraddistingue permettono a Rozzi di raggiungere gli obiettivi prefissati. Con il fido Mazzone al timone, dopo aver ottenuto nei primi due anni un 3° e un 4° posto nel girone B della Serie C, e un ulteriore 4° posto, la Del Duca Ascoli consegue la promozione in Serie B nel 1971/72, trascinata dai goal del bomber Renato Campanini.
La trasformazione da semplice imprenditore a grande appassionato di calcio è avvenuta.
"Il pubblico mi commuove in maniera particolare - ammetterà - . Quando ascolto l'incitamento collettivo di duemila e più voci, quando vedo i tifosi urlare e cantare tutta la loro passione un nodo mi percorre la gola".
L'impresa sportiva consente al presidente di affrancare definitivamente il club dalla vedova Del Duca, rispettando quella che era la sua volontà. La società è così trasformata in Ascoli Calcio 1898 e Rozzi inizia ad accentrare su di sé un po' tutti i ruoli, avvalendosi unicamente di una segretaria:gestisce in modo oculato l'amministrazione, si occupa della campagna abbonamenti, del calciomercato e del servizio stampa, parlando direttamente con i giornalisti. E l'asticella si alza.
"Ora dobbiamo andare in Serie A", dice al suo direttivo. Che lì per lì lo guarda con perplessità, ma presto si accorge che il presidente fa sul serio.
La scalata dell'Ascoli è inarrestabile: la squadra di Mazzone manca per un solo punto la doppia promozione nel 1972/73, ma l'ascesa in Serie A non può sfuggirgli nel 1973/74, quando i marchigiani terminano la Serie B in vetta a 51 punti assieme al Varese, piazzandosi secondi per differenza reti. Il miracolo è compiuto, l'Ascoli, squadra di una città di 50 mila abitanti, è riuscita a conquistare il massimo campionato.
I bianconeri sono la prima società marchigiana a riuscirci, e così si guadagnano l'appellativo di 'Regina delle Marche'. Per Rozzi sicuramente un motivo di orgoglio.
L'ASCOLI IN PARADISO
Ottenuta la massima serie c'è un problema non da poco da superare: lo stadio. Il vecchio impianto 'delle Zeppelle' così com'è è inadatto ad ospitare partite di Serie A.
Ma il presidente è uomo di grande praticità, e da imprenditore edile si reinventa costruttore di stadi: mutua i suoi sistemi prefabbricati utilizzabili nelle infrastrutture stradali utilizzandoli anche per le arene calcistiche. In soli 3 mesi, grazie a questa tecnica di costruzione, e a giornate di lavoro che si estendono fino alla notte, sotto la luce dei riflettori, con 3 turni di 8 ore, dà vita ad una ristrutturazione profonda di quello che diventa lo Stadio Cino e Lillo Del Duca.
Le due curve sono soppalcate con un secondo anello, mentre il parterre è ampliato, tanto da portare la capienza complessiva da 15 mila a 34 mila spettatori. Per sistemare gli ultimi dettagli, Rozzi chiede e ottiene che l'esordio storico in Serie A dell'Ascoli avvenga fuori casa. Così sarà: il 6 ottobre 1974 la squadra di Mazzone esordisce al San Paolo contro il Napoli, perdendo 3-1 nonostante il goal del cannoniere Campanini.
Ma già 7 giorni dopo, nel match d'esordio al Del Duca, l'Ascoli con un altro goal di Campanini, pareggiato nel finale da Ciccio Graziani, conquista il suo primo punto in Serie A. Rozzi, però, al fischio finale non è completamente soddisfatto e commenta.
"Abbiamo perso il primo punto nella massima serie (all'epoca la vittoria valeva infatti 2 punti, ndr)".
Tutti pensano che l'Ascoli farà presto ritorno in B, tanto più che il girone di andata si chiude con i bianconeri ultimi con soli 9 punti.
Ma l'accoppiata Rozzi-Mazzone produce nuovamente il miracolo: il girone di ritorno è da applausi, i marchigiani battono persino l'Inter di Facchetti e Mazzola a San Siro con un goal di Massimo Silva e con 15 punti conquistati, che sommati agli altri diventano 24, si piazzano al 12° posto finale, conquistando la salvezza con una giornata d'anticipo grazie al pari interno con il Cagliari.
Il giocattolo rischia però di spezzarsi nel 1975, quando iniziano a rincorrersi le voci di un addio di Mazzone.
"Se ci salviamo ed io penso proprio che ci salveremo, se Mazzone resta, l'Ascoli forse non vincerà mai uno Scudetto (e non è detto) - si spinge a dire Rozzi -, ma rimarrà per sempre nella massima divisione".
Invece Carletto accetta l'offerta della Fiorentina e Rozzi deve affidare la squadra ad Enzo Riccomini. Il presidente è furioso:
"Quest'anno il programma è di arrivare prima della Fiorentina - dichiara alla stampa -. E perché no, chi è poi questa Fiorentina, glielo faremo vedere noi. Prima avevamo un nemico, la Samb, dovevamo fare di più. E l'abbiamo fatto. Mi dicevano che ero matto quando affermavo che saremmo andati in serie A. Ci siamo andati e ci siamo rimasti. Adesso il nemico è la Fiorentina e voglio stare sopra alla squadra di Mazzone. Basta un punto avanti!".
I marchigiani lottano per la permanenza in A, ma sul filo di lana il pareggio per 1-1 all'Olimpico contro la Roma nell'ultima giornata lo condanna al 14° posto che vuol dire retrocessione.
Il presidente, tuttavia, non abbandona i suoi sogni che sono anche quelli dei tifosi. Dopo un anno difficile di purgatorio in B (9° posto finale), nel 1977/78 con il leccese Mimmo Renna alla guida l'Ascoli ottiene la seconda promozione della sua storia in Serie A vincendo il campionato cadetto con il punteggio record nei campionati di Serie B a 20 squadre di 61 punti (2 punti a vittoria), rimasto imbattuto.
Si mettono in evidenza giocatori come il bomber scuola Inter Claudio Ambu (17 goal), l'altro attaccante Giovanni Quadri (14 reti) e il regista e specialista dagli 11 metri Adelio Moro, che dei suoi 13 centri complessivi, ne ha realizzati 9 su rigore. I tifosi seguono sempre numerosi la squadra la domenica, e tutta la città si riconosce nelle imprese della squadra.
Intanto l'instancabile Rozzi trova anche il tempo per costruire altri stadi: nel 1978 realizza con la sua impresa e gli stessi metodi edilizi del Del Duca lo Stadio Partenio di Avellino, l'anno seguente lo Stadio Santa Colomba (poi Ciro Vigorito) di Benevento, nel 1985 il Nuovo Romagnoli di Campobasso e nel 1985 lo Stadio Via del Mare-Ettore Giardiniero di Lecce, completamente ricostruito e ammodernato dopo la promozione in Serie A dei pugliesi.
"Quando lavoro per uno stadio - spiegherà il numero uno dell'Ascoli - mi sento Rozzi presidente, e non Rozzi imprenditore, perciò ai soldi penso poco".
Tornando al suo Ascoli, la squadra vive nel 1978/79 la sua terza stagione nel massimo campionato. Ci resterà per ben 7 anni consecutivi. Sempre affidati a Renna, i bianconeri, rinforzati dal patron con i colpi Felice Pulici e Pietro Anastasi, ottengono una tranquilla salvezza con il 10° posto finale.
Rozzi alza ulteriormente l'asticella: vuole portare l'Ascoli a competere con le big nell'elite del calcio italiano.
"Il calcio per noi non è soltanto un fatto sportivo. È un fatto sociale - spiega -. È un fatto che rappresenta la pedina di lancio per una provincia che per troppo tempo era rimasta in disparte. Per questo faremo di tutto perché la bella favola continui".
Rozzi è ormai diventato un personaggio popolare. 'Il Presidentissimo', come viene definito, è un 'hombre vertical' che non risparmia le critiche agli arbitri ed è abituato a dire quello che pensa. Questo lo porta a diventare uno degli ospiti fissi del 'Processo del Lunedì' di Aldo Biscardi.
"Sono fatto così, dico quello che penso - ripeteva -. Mi dispiace".
La stagione 1979/80 sarà la migliore in assoluto della storia dell'Ascoli. I marchigiani infatti, che hanno in rosa nuovi elementi come i centrocampisti Alessandro Scanziani e Carlo Trevisanello, affidati al tecnico Giovan Battista Fabbri, già autore del miracolo Vicenza, concludono la stagione al 5° posto finale, che in seguito ai verdetti del Totonero, con la retrocessione in Serie B di Milan e Lazio, si trasforma in 4° posto.
Un piazzamento incredibile per una piccola provinciale come l'Ascoli, che oggi varrebbe la Champions League e invece all'epoca lo portò soltanto a sfiorare la qualificazione alla Coppa UEFA. La stagione vede i marchigiani imporsi anche a Torino contro la Juventus per 2-3 con il goal dell'ex Pietro Anastasi ad aprire le marcature e quello del bomber Gian Franco Bellotto (8 goal complessivi) a firmare l'impresa.
La FIGC decide di premiare comunque l'Ascoli designandolo per partecipare a fine stagione alla 'The Red Leaf Cup', 'La Coppa della Foglia rossa', competizione calcistica internazionale organizzata dalla Federazione canadese. I giocatori inizialmente non sono entusiasti di partecipare, ma l'intervento del presidente Rozzi è ancora una volta decisivo e l'Ascoli accetta l'invito.
Le avversarie del resto sono blasonate: i brasiliani del Botafogo, i francesi del Nancy e gli scozzesi dei Rangers. Apparentemente l'Ascoli ha poche possibilità, invece i marchigiani superano 2-1 i brasiliani e 3-2 i francesi, e nonostante un k.o. di misura con i Gers, accedono alla finale che si gioca il 22 giugno 1980 proprio contro gli scozzesi.
La squadra di Fabbri supera 2-0 i rivali all'Ivor Wynne Stadium di Hamilton e grazie alle reti di Adelio Moro e di Perico conquista il primo trofeo internazionale della sua storia.
Ormai assunto al rango di 'Provinciale terribile', l'Ascoli di Rozzi riparte l'anno seguente con una vecchia conoscenza: il figliol prodigo Carlo Mazzone torna infatti in panchina per avviare un nuovo quadriennio di grandi risultati.
I marchigiani si piazzano decimi nel 1980/81, ma vincono un altro trofeo battendo a giugno la Juventus scudettata nella finale del Torneo di Capodanno, fatto disputare nella pausa invernale dalla FIGC durante il Mundialito per Nazioni che vede impegnata anche l'Italia di Bearzot.
L'Ascoli ha la meglio nel girone su Catanzaro, Avellino e Napoli e in semifinale batte 2-1 la Fiorentina. Il 14 giugno 1981 completa l'opera imponendosi 2-1 sulla Vecchia Signora al Del Duca in una partita combattuta con un pubblico inferiore alle attese.
Tardelli pareggia di testa il vantaggio iniziale firmato da Trevisanello, ma nel finale un rigore contestato dalla Juventus e trasformato dallo specialista Adelio Moro permette al presidente Rozzi di esporre in bacheca un nuovo trofeo.
L'anno seguente sarà 6° posto con qualificazione UEFA di nuovo sfiorata, quindi due salvezze di fila (13° e 10° posto) che in un campionato a 16 squadre sono un risultato tutt'altro che banale per una piccola realtà come quella marchigiana. Indossano in quegli anni la maglia bianconera stranieri come Francois Zahoui, l'ivoriano primo africano del calcio italiano, i brasiliani Juary e Dirceu, il libero jugoslavo Aleksandar Trifunovic, l'argentino Patricio Hernández.
"Se Mazzone decide di andarsene non gli sparo, ma lo faccio rapire, sequestrare", mette le mani avanti Rozzi.
Ma Carletto rassegna le dimissioni dopo il brutto avvio del campionato 1984/85, prima Rozzi le respinge ma dopo due settimane arriva l'esonero per colui che sarà il decano degli allenatori italiani (797 panchine in A considerando gli spareggi) dopo una sconfitta a Como. Sulla panchina dei marchigiani approda così l'ex tecnico del Real Madrid Vujadin Boskov.
Quest'ultimo non riesce a salvare la squadra, e il 14° posto finale determina una nuova discesa in B, la seconda della presidenza Rozzi. L'amarezza è tanta per 'Il Presidentissimo', consapevole ormai che gli anni d'oro sono ormai alle spalle. Ma la costruzione dello Stadio di Lecce gli dà nuove motivazioni per portare avanti il suo progetto e non arrendersi.
"Costruirlo mi è servito da un punto di vista morale - dichiarerà - La batosta della retrocessione dell'Ascoli per me è stata un dolore immenso. Lavorare per una squadra neopromossa, con tutta una città coinvolta dall'euforia, mi ha contagiato".
Sempre guidato da Boskov, l'Ascoli si rialza prontamente e vincendo il campionato di Serie B (il terzo per Rozzi) nel 1985/86 fa ritorno in Serie A.
SALVEZZE, RETROCESSIONI E NUOVE PROMOZIONI
Nella seconda metà degli anni Ottanta l'Ascoli di Rozzi si conferma 'provinciale terribile' in grado di creare problemi e di battere anche le grandi squadre, come l'Inter e il Milan, lancia giovani calciatori italiani di talento, come Andrea Mandorlini, Domenico Agostini, Giuseppe Iachini, Giuseppe Carillo, Antonio Dell'Oglio, Andrea Pazzagli e Lorenzo Scarafoni.
Indossano la maglia bianconera anche altri grandi campioni a fine carriera, come l'irlandese Liam Brady e Bruno Giordano. Fra gli stranieri ci sono giocatori che lasceranno il segno, come il brasiliano Walter Junior Casagrande e Borislav Cvetkovic, altri meno (Mustafà Arslanovic e Hugo Maradona).
Nel 1986/87 i marchigiani guidati da Ilario Castagner vincono anche il loro secondo e ultimo trofeo internazionale della loro storia, aggiudicandosi la Mitropa Cup. La competizione, ormai relegata a torneo fra le vincitrici dei tornei di Seconda divisione, vede i bianconeri battere 2-1 lo Spartak Subotica e superare 1-0 in finale il Bohemians Praga grazie ad un calcio di rigore trasformato da Fulvio Bonomi.
L'Ascoli di Rozzi mantiene la Serie A fino al 1989/90, quando arriva per 'Il Presidentissimo' la terza retrocessione in B con il 18° e ultimo posto in campionato.
GLI ANNI NOVANTA E IL DECLINO
Nonostante le difficoltà di un calcio che sta cambiando, Rozzi tiene duro e sempre supportato dai fidi consiglieri di sempre ottiene ancora una promozione (la quarta dell'era Rozzi), con Nedo Sonetti in panchina (subentrato a Graziani) e grazie soprattutto ai goal di Casagrande e alle parate di Lorieri.
"Nella vita non bisogna arrendersi mai - affermava -. La rovina può arrivare sempre, anche in zona Cesarini. Nei momenti cioè in cui si allenta la presa. Ma perché parliamo di successo, che in realtà non esiste? Il successo di un uomo è arrivare a fare le cose per le quali si sente portato, in cui può inventare, creare qualcosa".
Nel 1991/92 il patron punta su un giovane centravanti tedesco, Oliver Bierhoff, che alla sua prima stagione in Italia però delude, come il belga Vervoot. Positiva invece la stagione dell'argentino Pedro Troglio, ma l'Ascoli con Cacciatori che subentra a De Sisti è ancora una volta retrocesso da ultimo in classifica.
Stavolta Rozzi non riuscirà più a ripetersi: i goal del centravanti tedesco, dimostratosi alla lunga un colpo di grande prospettiva, portano la squadra a giocarsi la promozione in A all'ultima giornata contro il Padova. I bianconeri vincono 1-2, ma nei minuti finali escono sconfitti 3-2.
LA MORTE IMPROVVISA E LA FINE DI UN'ERA
Mancata la promozione, la stagione 1994/95 inizia in modo disastroso, con Rozzi costretto ad un doppio avvicendamento in panchina: la squadra passa da Colautti ad Orazi ed infine ad Albertino Bigon.
Intanto le condizioni di salute del presidente peggiorano e il 17 dicembre deve sottoporsi ad un intervento chirurgico per un'emorragia gastrica. Il giorno seguente, il 18 dicembre, poco dopo la vittoria per 3-0 dell'Ascoli sul Pescara, alle ore 16.28, dove è ricoverato presso l'Ospedale Mazzoni di Ascoli Piceno, Costantino Rozzi spira, lasciando per sempre la squadra per la quale aveva speso tutto se stesso all'età di 65 anni.
Il giorno del funerale ben 20 mila persone affollano la cattedrale della città per rendergli l'ultimo saluto. Durante la sua lunga gestione, durata 26 anni, ha portato l'Ascoli ad ottenere i successi più importanti della sua storia e a competere con le grandi squadre. Dopo la sua morte la squadra retrocederà in C1 e ci vorranno 13 anni per tornare per un breve periodo in Serie A.
Nel 1989 l'Università degli Studi di Urbino, tramite il rettore Carlo Bo, gli consegnò la laurea honoris causa in sociologia e a lui sono dedicate la curva sud dello stadio Del Duca, che tradizionalmente ospita la tifoseria bianconera, un viale, una piazza nei pressi dello stadio stesso e un palazzetto per lo sport a Villa Pigna, frazione di Folignano, in provincia di Ascoli Piceno.
Resteranno per sempre i suoi gesti scaramantici, come il lancio al vento del cappotto di cammello o i calzini rossi che portava in ogni occasione, le interviste sempre argute e gli interventi spesso piccati e polemici che teneva al Processo del Lunedì.
"Se può servire sono pronto a chiamare anche una fattucchiera: sarei anche disposto ad un compromesso col padreterno pur di salvare l'Ascoli", dichiarò in un'occasione.
Perché Rozzi amava l'Ascoli e Ascoli in modo viscerale, più di ogni cosa.
"Voi forse non mi credete oppure vi metterete a ridere ma io non me ne vergogno - rivelò una volta -: quando l'Ascoli perde mi vien da piangere. Quando la mia squadra esce battuta dal campo una tristezza mi assale e tutto mi precipita addosso".


