Passare dall'altro lato della scrivania. Giocatore appende gli scarpini al chiodo, ufficiale, ecco a voi direttore sportivo, presidente, CEO. Comune, non ripetitivo. Minoranza, ma non eccezione a confermare quella benedetta regola. Quella, più particolare, specifica, creatrice di storie, miti e leggende. Passare dall'altra parte sì, ma quella di chi ti guarda con l'occhio diverso, ma sempre da vecchio calciatore in pensione. Non più attaccante, osservatore della vita degli altri. Osservatore della natura, di nuovi aspetti fin troppo trascurati nella professionalità della carriera. Michele Cossato.
Hellas, Chievo. Aver fatto parte di un quartiere di una grande città (Verona) che arriva in Serie A e ci dà dentro, senza fronzoli, è più interessante ad un livello d'attenzione in cui si narrano le gesta di Davide&Golia. Dubbi pochi, pochissimi. Cossato, però ha vissuto la massima serie solamente con altri club, limitandosi ai gialloblù amichevoli di quartiere nelle giovanili e pre-esplosione in A. Il fratello no.
Federico ha giocato con il Chievo quando Michele ha lasciato, divenendo anche lui simbolo. In mezzo a Marazzina, il fu Luciano-Eriberto, il figlio di Germania ma uomo d'Italia, Simone Perrotta, il soverchiatore di regole Lupatelli (numero 10 da portiere sì, eccome), Lanna, D'Anna e la lore (perché non mitologia?) creata negli anni. Una squadra pregna, sollevata oltre il limite dell'umana mediocrità di giornate di Serie A tutte uguali. Necessario parlarne, per forza.
Michele Cossato è milanese per nascita e veronese per crescita, ispirazione ed esplosione. Federico, di due anni più giovane, al 100% scaligero. Le storie si sono intrecciate, ma mai unite a grandi livelli, se non in tornei dilettantistici e sentiti, ma non ufficiali. Ci arriviamo.
Federico ha fatto maggiormente la storia del Chievo, quello più noto, militandovi per più di un decennio ed emergendo come massimo cannoniere fino all'arrivo di passato, presente e futuro del club, Sergio Pellissier. Avete presente Campedelli, ex patron della società? La sua fortuna era il settore alimentare tra canditi e zucchero a velo, panettoni e pandori.
Insomma, la Paluani. L'azienda era legata indissolubilmente al nome della squadra clivense, ombra dell'Hellas, quando Michele faceva parte del Chievo e nessuno, diciamocela tutta, si sarebbe mai aspettato di vedere la squadra in Serie A. Due fratelli, due mondi gialloblù diversi. Si sono sfiorati, hanno scambiato il pallone ai Mondiali.
Attimo, Mondiali? Sì, particolari. Quelli del 2008, in cui la Padania, in cui hanno militato, si è laureata Campione del Mondo. Parliamo della VIVA World Cup, competizione per nazionali non riconosciute svoltasi dal 2006 al 2012, con tre vittorie in sei edizioni da parte della Padania. La VIVA è diventata CONIFA, in cui la squadra del nord Italia si è spinta al massimo fino al terzo posto, orfana dei Cossato sul terreno di gioco. Michele, del resto, ha cambiato vita. Si è dato all'osservare i talenti non da una scrivania o da un tablet, ma sulla spiaggia.
Getty ImagesAl 'Posticipo', Michele Cossato ha raccontato la sua nuova vita del 2021, sul Garda:
"Cosa non apprezzo del calcio? Dover scendere a compromessi. Mi considero una brava persona e non lo voglio fare. Faccio la mia vita umile, non ho bisogno di apparire. Resto nel mondo del bicicletta e del golf. Io e mio fratello Federico abbiamo organizzato tornei, purtroppo ci siamo un po' fermati per il Covid.
Mi piacciono le macchine. Al sabato e alla domenica lavoro in un bellissimo bagno sul Garda: un mio amico mi ha chiesto una mano in cassa e ho accettato. Sono in spiaggia, c'è la musica. I ragazzi di Verona mi chiedono sempre di scattare qualche foto. Mi diverto a passare quattro ore in mezzo alla gente. Cerco di imparare un nuovo mestiere.
Voglio stare bene fisicamente. Sto facendo una vita tranquilla. Spero che mi diano la pensione. Mi piace vivere sul lago. Adoro andare in giro e fotografare i posti in cui sono stato. Mi piacciono la natura, il golf e la bicicletta, la montagna. Sto in mezzo alla natura. E se c'è qualche bella partita, la guardo volentieri.
Ho lasciato il calcio giocato per limiti d'età, anche se mi sento ancora in forma. Sono rimasto fuori dal calcio per il mio carattere. Non ho mai chiesto niente, mi sono sempre arrangiato. Mi piacerebbe tornare nel calcio, un po' mi manca. Però non riesco a chiamare i miei ex compagni che allenano per chiedergli di farmi fare qualcosa. I tifosi mi vogliono bene perché in campo ho dato sempre una mano al prossimo".
Il più grande dei Cossato (Michele è un classe 1970, Federico è del 1972) si è ritirato ufficialmente nel 2008, dopo un biennio con la maglia del Domegliara. Per alcuni mesi, come nel caso della Nazionale Padana, anche tra i dilettanti i due fratelli hanno avuto modo di divertirsi insieme. Il più piccolo, infatti, ha militato nella stessa squadra rossonera di Sant'Ambrogio di Valpolicella, provincia di Verona, per alcuni mesi.
Se Michele dopo l'era da calciatore professionista ha continuato a darsi da fare nella Padania al pari di Federico, lavorando anche in un bar sulla spiaggia, quest'ultimo si è invece lanciato nel mondo del golf. Il 51enne ha pensato bene di creare nel 2020 un portale dedicato ai golfisti italiani ed esteri (insieme a Katia Trentin, ex direttrice del club Golf Verona), così da dare loro la possibilità di scegliere i campi che più sono vicini al loro interesse e alle loro tasche.
Tornando al rapporto tra Michele e Federico, quello dei capelli grigi e delle gambe sempre più pesanti, il primo dei fratelli ha evidenziato come nel 2008, a 38 anni, avrebbe proseguito quelle sue esperienze dilettantistiche, fermate però da ostacoli insormontabili:
"Abbiamo giocato nel Domegliara in D, purtroppo ci sono stati problemi economici. Avrei giocato ancora, ma la situazione era diventata pesante. L'allenatore Vanoli pretendeva cose impossibili in Serie D, dove i ragazzi non prendono un euro e si allenano la sera. Non mi divertivo più e allora ho scelto di smettere".
Ha scelto di smettere per un mondo del calcio, quel pianeta che l'ha sempre convinto a livello di sport, ma probabilmente mai in termini di business. Ha fatto la gavetta, ha avuto uno degli esordi più strani che mente umana legata alla Serie A ricordi. Quello strano esordio è però poi mutato in immortalità nel corso del tempo. Del resto è stato suo il goal che ha permesso all'Hellas di rimanere in Serie A, nel 2001.
Un anno prima, però, le reti non erano certo routine:
"Ho debuttato con la maglia del Verona contro la Fiorentina nel febbraio 2000: c'era una nebbia pazzesca e non mi ha visto nessuno, nemmeno i miei genitori. Al mio primo anno ho fatto poche presenze. Venivo dall'esperienza all'Atalanta, dall'operazione alla caviglia e al rene.
A Verona mi amano a prescindere dal goal di Reggio Calabria perché giocavo come se fossi un tifoso della Curva. Avrei potuto segnare di più, ma c'era da lottare. Se non avessi combattuto così nell'anno di Serie B saremmo retrocessi. Uscivo al settantesimo sempre con lo stadio in piedi anche se non avevo segnato. Lottavo per la mia città".
Sull'erba, sulla spiaggia. Sul Garda, al Bentegodi. Col blu e il giallo.
