Da Antonio Conte a Simone Inzaghi. Dal 3-5-2 al 3-5-2, nel segno della continuità. L'Inter volta pagina, ma al contempo rimane parzialmente ancorata al passato recente. Un passato di successo, che con il tecnico leccese seduto in panchina ha consentito al club nerazzurro di tornare sul tetto d'Italia dopo 11 anni di attesa.
Come giocherà l'Inter con Inzaghi? Immaginarlo è abbastanza semplice, al netto di chi potrà partire (Hakimi, cercato con insistenza dal Paris Saint-Germain, è il primo della lista) e di chi potrà arrivare a Milano. Non cambierà il modulo, intanto. Sempre 3-5-2, il disegno tattico preferito da Antonio Conte. Tre centrali di difesa, due esterni a tutta fascia, una seconda e una prima punta. Tutto combacia più o meno alla perfezione.
Da questo punto di vista, insomma, l'Inter si appresta a trovare continuità con il ribaltone in panchina. Lukaku e compagni non dovranno settare un altro pensiero di gioco, modificare troppo i concetti base, stravolgere quanto di buono si è visto nel biennio di Conte.
Poi, è chiaro, più di qualcosa è destinato a cambiare. Inzaghi è un allenatore che predilige il palleggio e i piedi buoni nella propria squadra. Quando si è trovato a fare i conti con l'esplosione di Luis Alberto, non ha esitato ad arretrare lo spagnolo dalla posizione di seconda punta a quella di mezzala, con compiti naturalmente molto offensivi. Pareva poter portare problemi di... sbilancio, ma ha funzionato. Eccome.
Conte è diverso, preferisce i gregari ai piedi raffinati, ha nei Giaccherini e nei Darmian i propri fedelissimi. Vero, alla Juventus modificò il proprio credo tattico pur di costruire la squadra attorno all'intelligenza superiore di Andrea Pirlo. Però ha faticato a trovare una collocazione a Eriksen, salvo trovare proprio nel danese uno dei sorprendenti uomini chiave del rush finale verso lo Scudetto.
Un'altra differenza tra Conte e Inzaghi è il tipo di gioco. Tenere sempre la palla a terra è la prerogativa di Inzaghi. La costruzione dal basso, un suo mantra. Non è un caso che Pepe Reina, arrivato per far concorrenza a Strakosha tra i pali, abbia rapidamente scalzato il collega albanese grazie a una nota capacità di fungere da primo organizzatore del gioco.
Il gioco di Conte è più diretto, a volte meno raffinato, basato su muscoli e forza fisica. Antonio ama chiudersi e ripartire, e in questa stagione l'ha fatto spesso, sfruttando le potenti accelerazioni palla al piede dell'irresistibile Lukaku. Da capire se rimarrà o meno Lautaro Martinez, e in tal caso Inzaghi non dovrà toccare i meccanismi offensivi della coppia più forte del campionato, talmente affiatata nei movimenti con e senza palla da sembrare un'entità unica.
Dal punto di vista degli uomini chiave, sempre al netto di ciò che porterà il mercato estivo, i tratti in comune non mancano: Inzaghi aveva in Acerbi il proprio de Vrij (e fino a pochi anni fa aveva proprio de Vrij), in Lucas Leiva il proprio Brozovic, nella freccia Lazzari il proprio Hakimi. Una sorta di spina dorsale completata dalle gemellari coppie d'attacco: Correa-Immobile da una parte e Lautaro-Lukaku dall'altra.
La somiglianza tra Inzaghi e Conte, oltre all'aspetto tattico? Anche Simone è un martello. Ai bordi del campo si sbraccia, si agita, guida per filo e per segno la propria squadra come un videogamer. E urla. Sempre. Tanto da arrivare costantemente alle interviste post partita senza neppure un filo di voce, come a volte è capitato anche allo stesso Conte.
È così che l'Inter si prepara al nuovo corso. Ha pensato a Massimiliano Allegri, che però è tornato alla Juventus. E alla fine si è affidata a Simone Inzaghi per proseguire sulla strada vincente tracciata da Conte. Con l'obiettivo di tenere in piedi un ciclo minato dalle difficoltà finanziarie di Suning e dall'addio del condottiero salentino.


