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Ziege MilanGetty Images

Gli alti e bassi di Christian Ziege: dall'Europeo vinto al rischio amputazione

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Christian Ziege ha sempre amato le sfide. Perché, ad esempio, un tedesco che lascia il BayernMonaco dopo essere stato titolatissimo per un lustro, è uno che le sfide non solo le sa affrontare, ma che le vuole affrontare. 74 presenze nella nazionale tedesca, mica poco. Due mondiali, tre europei, di cui uno vinto nel 1996 da protagonista. Senza saltare neanche un minuto. Segnando il primo goal della competizione della Mannschaft e fornendo l’assist per Bierhoff (si ritroveranno più avanti) in finale per il goal dell’1-1, prima che sempre l’attaccante segnasse il raddoppio. Del classe 1972 si parlava come uno dei migliori terzini sinistri d’Europa. Lo aveva formato Trapattoni a Monaco. Eppure, Ziege aveva un sogno. Anzi, tre: giocare (e vincere) col Bayern Monaco, esaudito; giocare e vincere con la Germania, esaudito; giocare in Italia. Esaudito nel 1997.

C’era la Juventus, ai vertici del calcio europeo. Reduce da due finali di Champions League. C’era anche il Milan. La squadra che il giovane Ziege, che giocava nell’Hertha Zehlendorf, club della periferia di Berlino, guardava da adolescente sognando Gullit e van Basten. Affascinato dal rossonero, ha scelto di giocarsela a Milano. In un ruolo in cui c’era un certo PaoloMaldini, che si stava spesso spostando verso il centro, sì, ma a volte giocava anche sulla sinistra. E per provare a far posto a Ziege, ogni tanto si era anche spostato sulla fascia destra, senza un grande entusiasmo. E allora ci andò poi il tedesco a destra, anche in questo caso senza eccellere. Un’incompatibilità di fondo che effettivamente sembrava anche poter essere prevedibile, come ha ammesso in seguito lo stesso tedesco.

“Col senno di poi forse non è stato troppo intelligente andare in una squadra che aveva già il miglior terzino sinistro al mondo, però con Maldini non ho mai avuto problemi: è una grande persona e sono felice di aver giocato con lui”.

L’anno successivo, con l’arrivo di AlbertoZaccheroni, le cose non migliorarono. Insieme al tecnico, dall’Udinese arrivò anche il suo compagno di nazionale Oliver Bierhoff, l’uomo a cui aveva fornito l’assist decisivo nella finale dell’Europeo del 1996. I minuti a disposizione di Ziege diminuirono (ne giocò poco più di un migliaio) e non trovò più spazio, sorpassato nelle gerarchie anche da Guglielminpietro. Tutto lasciava pensare all’addio, eppure a giugno 1999, dopo un’amichevole giocata in Germania, le cose cambiarono improvvisamente: un nuovo ruolo, in attacco, nel tridente, anche partendo da destra. Al primo tentativo, cinque goal in una partitella con gli allievi. La benedizione di Galliani, che non vedeva l’ora di vedere l’ex Bayern rilanciarsi dopo non aver mai messo piede in campo nelle ultime 8 partite (di cui 7 vinte, decisive per la conquista dello Scudetto).

Ziege Janker Bierhoff DFB 2002Getty Images

Il nuovo ruolo sembrava particolarmente congeniale, anche perché il classe 1972 in gioventù aveva iniziato giocando dietro le punte. Negli anni in cui il suo mancino stupiva la Germania per la sua capacità di battere i calci piazzati, dei quali è stato un vero maestro. Sembrava un nuovo inizio, con la stessa volontà di due anni prima di imporsi con indosso la maglia che sognava da bambino. Salvo sentirsi dire qualche mese dopo che non rientrava più nei piani tecnici ed essere ceduto al Middlesbrough, in Premier League, per un nuovo inizio. Al ‘Boro’ trascorse mesi da sogno: 6 goal, il premio di miglior giocatore della stagione, un piazzamento a metà classifica e il ritorno ad un ruolo da protagonista con la nazionale tedesca, che lo aveva messo da parte nei suoi ultimi anni in Italia. Nonostante qualche incidente fuori dal campo.

“Vivevo in un piccolo quartiere, c’erano solo pub. La cultura dell’alcool era nuova per me. Dopo allenamento stavamo al bar fino a mezzanotte. Una volta ci rimasi tutta notte, ho passato la mattina seguente tra bagno e letto senza avere idea di come fossi tornato a casa. La mattina dopo il mio allenatore salì su un taxi, il tassista gli raccontò di aver conosciuto l’uomo più ubriaco mai visto in vita sua. Era un ragazzo tedesco. Il mister gli rispose: ‘è il mio difensore’”.

Nonostante l’eccellente rapporto con il club e i tifosi, l’avventura al Middlesbrough finì bruscamente. Il Liverpool aveva deciso di pagare la sua clausola da 5.5 milioni di sterline, il Boro oppose resistenza contestando il trasferimento per oltre due mesi, arrabbiato soprattutto perché ad Anfield fossero a conoscenza dei termini contrattuali e che il giocatore avesse parlato con i Reds già ben prima del termine della stagione. Intervenne anche la Premier League, che diede ragione proprio al Middlesbrough. L’avventura del tedesco ad Anfield, però, fu da dimenticare. Non tanto a livello di trofei - vinse la FA Cup, la Coppa UEFA e la EFL Cup - ma per il proprio rendimento. Non venne convocato per le finali di FA Cup e Coppa UEFA, partì dalla panchina in Coppa di Lega. In seguito ha ammesso che quel trasferimento è ancora uno dei più grandi rimpianti della sua carriera.

"È stata una pessima mossa, ho sbagliato tutto. Il Liverpool è un grande club, ma ho avuto problemi con l’allenatore (il compianto Gerard Houllier, ndr), che non parlava mai con me. Ho capito subito di aver sbagliato. Al Boro mi divertivo, al Liverpool ho vinto, ma è stata una scelta poco saggia. Non mi piace parlare di quel trasferimento”.

Christian Ziege, Liverpool, 05052017Getty Images

Nell’estate del 2001 riuscì a passare al Tottenham, dove ha ritrovato continuità a serenità. Con cinque goal nelle sue prime nove presenze in Premier League, aveva convinto tutti. Anche la Germania. Tanto che l’estate successiva ha fatto parte della spedizione in Giappone-Corea, al mondiale chiuso con l’amara sconfitta in finale contro il Brasile di Ronaldo. Non è però quella finale il ricordo più terribile di Ziege quando ripensa al 2002, ma l’incubo passato la sera di Santo Stefano, dopo la partita giocata contro il Charlton al pomeriggio. Una botta che poteva costargli l’amputazione della gamba.

“Ho ricevuto una botta alla coscia. Non era un fallo grave, ma dopo la partita la mia gamba ha iniziato a gonfiarsi. Ero nel panico più totale. Mia moglie mi ha detto che avrei dovuto chiamare il dottore, ma era il 26 dicembre. Lei ha chiamato l’ospedale, ci siamo precipitati. Mi hanno detto che se avessi aspettato un’altra mezzora, avrebbero dovuto amputarmi la gamba, altrimenti sarei morto. È stato terribile”.

Ancora oggi Ziege ha una cicatrice profonda che gli impedisce di camminare regolarmente. È comunque riuscito a tornare in campo a maggio, ma sapeva che non sarebbe più stata la stessa cosa. Dopo un ultimo anno al Tottenham con sole 10 presenze, tornò in Bundesliga, per chiudere la sua carriera da calciatore con il Gladbach. Senza lasciare il segno. Ha deciso di iniziare ad allenare: ha iniziato proprio nel Borussia, tra giovanili e prima squadra. Fino a quando, nel 2015, ha iniziato a girare il mondo. Ha preso le redini dell’Atlético Baleares, club di Mallorca, dove è rimasto per un anno e mezzo. Poi, nel dicembre 2017, la curiosa avventura in Thailandia con il Ratchaburi FC, durata neanche un mese e mezzo.

Oggi Christian Ziege allena l’FC Pizgau Saafelden, club della terza divisione austriaca. Nella rosa, nel ruolo di difensore centrale, c’è anche Alessandro Ziege. Suo figlio, classe 1998. Nato nel suo periodo rossonero. La cultura italiana gli è rimasta dentro, l’ha sempre amata. Le altre due figlie? Maria e Caterina. Magari non avrà lasciato un grande segno in Italia calcisticamente, ma l’Italia, senza dubbio, ha lasciato il segno in lui.

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