È l’83’ quando il Lierse riesce a evitare una figuraccia al “Soeverein” di Lommel, contro l’omonima squadra di seconda serie: a fatica, tra l’altro. E, soprattutto, nonostante non sia passato neanche un anno dal goal che lo ha reso celebre in tutto il mondo Tony Watt si trova parecchio distante dalla Scozia, da Glasgow: è in Belgio, ma non se la passa troppo bene. Fatto sta che all’83’ è lui a segnare la rete che porta il parziale sul 2-2, prima del 2-3 siglato da Ghaly in extremis. Tra lo scetticismo generale. La qualificazione al turno successivo di coppa belga è salva: le pagine dei giornali anche.
A riempirle è tutto ciò che segue l’esultanza del 2-2: Watt toglie via la maglia, ma il suo è un gesto abbastanza diverso e distante da quello che siamo soliti conoscere, come celebrazione del momento più importante di una gara. È in primis una polemica nei confronti di Stanley Menzo, l’allenatore del Lierse. Il suo, insomma. Per tutte le settimane successive al suo arrivo in prestito dal Celtic lo ha definito “pigro e fuori forma”. Il problema, per Tony, è che non ha neanche tutti i torti.
A 19 anni, 20 anni di lì a poco, quello che si presenta in Belgio è un calciatore fin troppo differente dalla giovane promessa del calcio scozzese, destinato a diventare uno dei titolari inamovibili degli Hoops di Neil Lennon. Il sogno, in realtà, dura solo pochi mesi.
Ad alimentarlo è bastata solo una notte di inizio novembre del 2012: una di quelle in cui gli astri si allineano, scrivendo la storia. Il match, per intenderci, è l’iconico Celtic-Barcellona reso celebre dal tabellone delle statistiche esposto in grafia dalla UEFA al 90’. Passaggi compiuti: 166 contro 955. Tiri: 5 contro 23. Possesso palla: 11% contro 89%. Goal: 2 a 1. Nella gloria eterna del “Paradise” e dei suoi tifosi.
A Glasgow ci sono zero gradi, ma in campo è tutta un’altra storia: la formazione di Tito Villanova è preso detta. Victor Valdes in porta, Dani Alvez, Bartra, Mascherano e Jordi Alba in difesa, Xavi, Song e Iniesta in mediana alle spalle di Pedro, Messi e Sanchez. Quello di Lennon, invece, è un buon Celtic rimasto orfano dei Rangers, falliti in estate e costretti a ripartire da zero. Vuoi il livello generale, vuoi l’assenza dei Gers, in squadra ci sono elementi non troppo di spicco. Samaras supporta Miku in attacco, in porta c’è Forster, in mediana Wanyama: è lui a segnare, a sorpresa, al 21’, svettando su Jordi Alba sugli sviluppi dell’angolo di Mulgrew, ma è nella ripresa che avviene il miracolo.
Il “tiki-taka” blaugrana suggerisce a Lennon di provare la carta Watt. È un ragazzo interessante: lo volevano Liverpool e Fulham, nel 2011, ma dopo un provino coi Rangers decise di passare al Celtic, segnando al debutto, nell’aprile del 2012, contro il Motherwell. Avete forse detto “predestinato”?
Lo scozzese entra al 72’ al posto di Lustig: all’83’ c’è un lancio lungo di Forster che inganna, inspiegabilmente, Xavi, che si esibisce a centrocampo in una mossa a metà tra il karate e l’uscita goffa di un novellino. La palla buca tutto il Barcellona e arriva a Watt che, a quel punto, deve solo scattare e battere Victor Valdes con il destro. Detto, fatto. È l’83’ e il Celtic si porta sul 2-0: al 90’ segnerà anche Lionel Messi, ma non servirà a nulla. Gli Hoops portano in gloria il loro talento.
“It’s mind blowing”, urla il telecronista. “Ricorderà questo goal non per il resto della sua carriera, ma per il resto della sua vita”, gli farà eco il commentatore tecnico. Sarà così.
C’è un motivo, comunque, se pochi mesi dopo aver riportato, simbolicamente, il “Paradise” al “Celtic Park” Watt si trova in Belgio, in prestito, in una formazione che lotta nella parte destra della classifica, e si scoprirà essere caratteriale. A riprova del fatto che ci si trova di fronte a una potenziale meteora, nonostante la giovane età, tutto ciò che accade in mixed-zone dopo quella sfida del “Soeverein” di Lommel vissuta con la maglia del Lierse.
“Volevo solo mostrare che non sono grasso: so benissimo che se avessi tolto la maglia avrei beccato il giallo, ma volevo solo mostrare a tutti che mi trovo nella mia condizione migliore”.
Non c’è dubbio: qualcosa in Watt, almeno in termini di comportamento legato al contesto, non va. Il ragazzo litiga, sbraccia, non è felice: risponde male agli stimoli e ciò che ne viene fuori, in sintesi, viene descritto da quel che accade all’inizio di novembre del 2013. Il Lierse ospita il Charleroi e al 62’ Menzo fa uscire Wills per fare entrare il ragazzo scozzese in prestito dal Celtic. Al 63’ Watt è già negli spogliatoi: espulso. A sua discolpa, però, bisogna dire che nella sbracciata letta dall’arbitro come gomitata c’è poco o nulla di violento: la squalifica verrà subito ritirata. Il problema vero, ed è ciò che conta, è che anche in Belgio hanno iniziato a vederlo come un “bad boy”, e ad alimentare queste voci ci pensa la lite con lo stesso Menzo, avvenuta neanche due settimane dopo il match contro il Charleroi.
“Può essere un ragazzo difficile a volte, ma non c’è alcuna malizia nei suoi comportamenti”.
A parlare è Neil Lennon, allora allenatore del Celtic, come detto, continuamente interpellato sul futuro del ragazzo. La verità, comunque, è che in estate gli ha preferito altri due attaccanti, Amildo Baldé e Teemu Pukki. C’è poco da discutere: Watt diventa un problema, in primis per se stesso.
“Oggi sono felice di averlo avuto a disposizione, ma domani potrei volerlo uccidere: è così che va con lui”.
Menzo non sa più come trattarlo: anche perché lo scozzese segna, e non pochissimo. Concluderà la sua stagione in Belgio con 9 reti in 18 partite, e questo nonostante tutti i problemi. E, soprattutto, fino alla rottura definitiva: a marzo del 2014 Watt esplode in un’intervista contro il suo allenatore, non usando giri di parole. “Anche quando perdiamo Menzo mi colpevolizza: in verità è colpa sua”: il Lierse ci pensa, ma neanche troppo, e lo manda a giocare con le riserve. La sua esperienza è finita.
Resta da risolvere, comunque, la grana Celtic: gli Hoops non lo vogliono, ma in Belgio ha degli estimatori. Lo Standard Liegi: mica la prima squadra che passa, che lo acquista a titolo definitivo. Se si taglia corto, con la narrazione dei fatti, da questo momento in poi è semplicemente perché la carriera di Watt collassa. L’esperienza allo Standard dura pochi mesi, tant’è che a gennaio passa al Charlton, in Championship. Alle voci circa possibili liti in allenamento si aggiunge una serie di infortuni che non gli permette di incidere. La lista dei prestiti si allunga: Cardiff, Blackburn e Hearts.
GettyIl periodo “strano” di Watt, però, è quello che va dall’estate del 2017 al febbraio del 2020: lo scozzese ritorna in Belgio, in Serie B, al Leuven, salvo poi svincolarsi a febbraio e rimanere senza squadra. A luglio firma per il St. Johnstone poi, dopo un anno, veste la maglia del CSKA Sofia, messa da parte, dopo qualche mese, per motivi personali.
Oggi Watt ha 29 anni: è passato poco più di un decennio da quando ha segnato lo storico goal contro il Barcellona in Champions League, al suo debutto nella competizione, e ha vissuto tante di quelle delusioni che potrebbe essere inserito, di diritto, nella lista delle “promesse perdute”. C’è un “ma”: non è ancora finita. Una volta passato al Motherwell, in Scottish Premiership, trova il suo personalissimo “centro di gravità permanente” che gli permette di essere nominato giocatore del mese (del club) tra ottobre e gennaio del 2021, consecutivamente. E in tanti iniziano a credere nuovamente in lui: in primis il Dundee United, che gli apre le porte nel gennaio del 2022. Una vita dopo la rete con cui ha battuto Messi e compagni, diventando l’eroe indimenticabile (e indimenticato) del Celtic.




