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Amare oltre la vita: la storia del "Presidentissimo" del Catania Massimino

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Per quanto ci sforziamo di vederci un senso, o di ammettere di aver capito il grande disegno che lo rappresenta, del “Butterfly effect” conosciamo veramente poco, delegando a una delle frasi più inflazionate del periodo a cavallo tra i due millenni il difficile compito di risolvere il dilemma sul complesso rapporto causa-effetto su scala planetaria: “Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Per una strana eccezione, in un punto ben preciso della storia dell’uomo il “Butterfly effect” ha valicato la soglia dell’ultimo strato dell’atmosfera, collegando simbolicamente Catania alla Luna. E viceversa.

“Forza Catania, forza Catania: che tutta la carta bollata se ne va…”.

Nelle immagini presenti nell’infinito (o quasi) archivio messo a disposizione dai motori di ricerca, Angelo Massimino non sorride quasi mai. La dinamica degli scatti è pressoché identica: sguardo concentrato e corrucciato, fisso e rivolto a un punto ben preciso (ma sconosciuto) dello stadio “Cibali”, marcato dalle rughe e dai pensieri. Fitti, questi ultimi, ma costanti: quelle mura e quei gradoni, quel manto erboso. Insomma: tutto ciò che lo circonda è casa sua. Catania è casa sua. Il Calcio Catania è casa sua.

Non è dato sapere quali parole in dialetto ispanico abbia conosciuto, ma la sua è innanzitutto una storia ascendente, leggibile sulle tracce presenti come solchi sul viso attento e spinta a grandi flussi dalla naturalezza dei gesti: “sangre y corazon”, nell’immediato dopoguerra prende le valigie per trasferirsi in Argentina, ma la sua è una permanenza fin troppo breve per definirla una svolta radicale, laddove per “radicale” si intende “alla radice”. Le sue, di radici, sono altrove.

La prima settimana lontano da Catania, per un fuorisede, è la migliore definizione possibile di “rinnovamento”: la seconda e la terza, invece, quella di “nostalgia”. Non puoi strappare un catanese alla sua terra: tornerà, prima o poi, a casa. A Massimino bastano due anni in Sudamerica per riprendere le valigie e rientrare in Sicilia: ne servono dieci, invece, per diventare (insieme ai fratelli) proprietario della SCAT, la squadra dopolavoristica dei tranvieri etnei che ribattezza “Massiminiana”. Il sogno è quello di diventare la prima squadra della città: non servirà.

Fermi al semaforo di via Cesare Beccaria, la vista si ferma sul fruttivendolo all’angolo tra via Cesare Lombroso e via Cifali: il profumo della frutta e della verdura esposte sulla strada, all’ora di pranzo, insieme alle cassette ordinatamente accantonate sui lati impregna gli abiti di una città che frettolosamente si appresta a prendere il proprio posto allo stadio, pochi istanti prima della partita. La lunga sequenza di volti, imponenti, disposti in fila sulle mura esterne dalla Curva Sud alla Tribuna B, invece, scandisce il tempo e accorcia lo spazio: tra loro, nel murales, c’è anche Massimino.

“Penso che sia difficile al Sud fare il dirigente, anche perché siamo lontani dalla Lega. Non andrò in Lega perché si aiutano tra loro”.

Non basta, però, a riassumere la definizione di “simbolo” che gli appartiene: e, soprattutto, il concetto di “Davide contro Golia” che si è consumato tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Novanta, da quelle parti. Il fatto che convenzionalmente siamo portati a pensare a quest’ultimo come a un confronto violento non esclude una visione più romantica della situazione: in qualche modo, a tutto questo, si intreccia il nostro “Butterfly effect”.

Perché per un caso assolutamente inspiegabile a parole il 1969 è l’anno della vittoria dell’uomo contro l’ignoto, un “Davide contro Golia” che trascende i contorni individuali: l’allunaggio di un essere umano è, più di tanti altri, la conquista di una società riunita (al di là delle differenze politiche e di classe). È tutto questo, insomma, ma anche l’anno in cui Angelo Massimino entra a far parte del Calcio Catania come presidente: e, in qualche modo, traccia l’impronta sulla sua personalissima luna. La squadra della sua città, per effetto del battito d’ali di una farfalla curiosamente nascosta in un angolo dell’Apollo 11.

“Stiamo facendo un’ottima partita”.

Intervistato a bordocampo, Massimino non riesce a terminare un concetto senza distrarsi, impegnato a seguire la formazione di Salvo Bianchetti contro la Juventus di Giovanni Trapattoni, in una serata di fine dicembre del 1992 al Cibali. I rossazzurri, in quella stagione, giocano in Serie C1, ma di questo parleremo tra poco: i bianconeri, invece, termineranno quarti alle spalle di Milan, Inter e Parma, vincendo però la Coppa UEFA contro il Borussia Dortmund.

Le maglie con lo sponsor “Danone” non tradiscono le aspettative: a Catania scendono in campo, nell’undici scelto dal Trap, Rampulla in porta, Torricelli, Carrera, De Marchi e Dal Canto in difesa, Marocchi e Galia in mediana, con Di Canio, Baggio e Vialli a supporto di Ravanelli. Dopo tre minuti al cibali segna subito il “Divin Codino”: la partita finirà 1-3, con reti di Ravanelli e Casiraghi, subentrato a De Marchi nella ripresa. Per il Catania, invece, goal di Orazio Russo.

È uno dei pochi scatti presenti sul web, quello che ritrae Massimino sorridente accanto a Roberto Baggio: in un altro, invece, viene portato in braccio, in festa, da Roberto Sorrentino, portiere della promozione in Serie A del 1982. Del Catania è stato il “presidentissimo”, ma anche una delle figure più contestate dell’intera storia del “1946”. Deriso per il suo linguaggio imperfetto, accusato dall’ambiente e dalla tifoseria per alcuni periodi della sua lunghissima gestione: intermittente, quest’ultima, e caratterizzata da alcune pause e cessioni.

Gli tirarono dietro pietre e uova, lo aggredirono a margine di un allenamento in un pomeriggio d’inverno, a Viagrande: ha sempre trovato la forza di rialzarsi, come nel 1993, un anno dopo essere stato “ripresentato” al Cibali, per evitare la liquidazione della società, accompagnato in sfilata da Pippo Baudo. Superfluo, in quel caso, e fuori luogo come in poche altre circostanze, quest’ultimo: quelli ad accoglierlo, in fondo, erano i suoi tifosi.

Il 1993 è uno degli anni più bui della storia del vecchio “1946”, fallito nel dicembre scorso del 2021: la FIGC revoca l’affiliazione al club per un ritardo nella presentazione delle garanzie bancarie per l’iscrizione. Massimino prende l’auto e versa tutto il giorno dopo, poi si reca in Federcalcio: nulla da fare. Neanche la definizione di “vizio di eccesso di potere” del TAR è riuscita a evitare la radiazione del Catania: la sua battaglia per evitarne la scomparsa, comunque, andò a buon fine.

Dietro alcune delle più note citazioni ripescate qua e là per sorridere un po’ accompagnati dal ricordo di Massimino (“’Presidente a questa squadra manca l’amalgama’, ‘E allora compriamolo’” e “Vado in un posto che non vi posso dire a comprare due brasiliani” sono solo alcune delle più celebri) c’è sempre stato un uomo che per il suo ideale è andato oltre le aspettative concesse da una vita fatta di sacrifici. Il “Cavaliere”, definito a Catania, deceduto in un incidente automobilistico sulla Palermo-Catania, di ritorno dal capoluogo dopo un incontro con il vicepresidente della Lega di Serie C, Mario Macalli, per risolvere l’ennesima questione in sospeso con la FIGC, nel 1996. Al suo funerale è presente non solo la città, ma i rappresentanti delle squadre che nel 1970 e nel 1983 hanno centrato la promozione in Serie A: tutti ad accompagnare uno dei più importanti simboli del “vecchio” calcio, intriso di espressioni corrucciate, gesti spontanei scambiati per burberi e ambizioni interplanetarie. Allunaggio compreso.

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