Non bastano le immagini a spiegare quel che è avvenuto al triplice fischio della sfida tra Casa Pia e Rio Ave, nel massimo campionato portoghese: non è tanto il gesto in sé, ma le radici di un sistema simbolico che trova spiegazione nella prima parte del secolo scorso. In ogni caso, vale la pena riepilogare: a fine gara Filipe Martins è felice, ma il giusto. Non può esserlo totalmente.
I suoi hanno appena vinto l’ennesima gara della stagione, senza troppi patemi: ma di questo parleremo dopo. Il fatto è che Martins su quella panchina al “Pina Manique” non doveva neanche esserci, vista la scomparsa del padre, avvenuta poche ore prima. In ogni caso, a fine gara tutti gli si avvicinano e gli tributano un saluto, arbitro compreso: ecco, in quel lungo abbraccio, che ovviamente e giustamente non è passato inosservato, c’è molto di quello che nel corso della storia del calcio portoghese è ed è stato il Casa Pia.
La zona Europa agganciata, con annessi sogni, non nascondono le sofferenze di un secolo, o quasi, vissuto nelle serie minori: perché è vero, “le oche” (“Os gansos”) sono la rivelazione del campionato, e nessuno può dire altro. Sono anche una neopromossa, e questo rimpolpa la retorica di “favola calcistica” che gli si attribuisce, ma le fondamenta sono solide come poche.
Basti pensare alle origini: il Casa Pia non nasce come squadra. E questo è un punto: la “Casa Pia” è un’istituzione caritatevole, innanzitutto. Poi il resto: è stata fondata nel 1780 e si occupava di tirar su i giovani, reduci da una vita infernale. E tutto viene da sé: i “Casapianos”, ovvero chi frequentava l’istituto, fecero presto, con la diffusione del calcio, a riunirsi in diverse formazioni, prima di schierarne una definitiva. È il gennaio del 1894 e il Casa Pia scende in campo contro il Carcavelos, uno dei due club più antichi del Portogallo. Capite, adesso, il peso di questa squadra?
Che è anche simbolico, tra l’altro: nei primi anni Venti del Novecento i Casapianos, dopo aver effettivamente costituito una squadra riconosciuta a livello nazionale, vennero scelti come avversario in tante, tantissime amichevoli importanti. E qui lascia la prima impronta sulla storia del calcio: giocando il torneo di Natale del 1920 contro Cercle Athletique de Paris Charenton, Club Athletique de Vitry, Cantonal Neuchatel ed Espanyol è diventata la prima squadra portoghese a disputare una partita di calcio a Parigi. Mica male.
Nel 1921 inaugura il Campo de la Reina Victoria, campo provvisorio del Siviglia, quindi gioca contro la Real Sociedad a San Sebastian: nel 1925 viene scelto per inaugurare l’Estadio das Amoreiras, stadio del Benfica.
Oggi, ovviamente, l’Estadio de Amoreiras non c’è più: ha lasciato il posto all’Estadio do Campo Grande, prima, e al da Luz, dopo. Ed è lì che i destini del Benfica e del Casa Pia si incontreranno di nuovo, all’inizio del febbraio 2023. È lì, anche, che i Casapianos capiranno di aver chiuso un cerchio aperto nel 1939, quando il mondo era terrorizzato dall’inizio della Seconda Guerra e quando, in Portogallo, si chiudeva il primo campionato ufficiale, con il Casa Pia ultimo in classifica.
Strano, però, vederlo lì: strano perché nel 1921 i Casapianos erano riusciti a vincere due titoli, il Campeonato Regional de Lisboa e la Taça Associação, antenata della Taça de Portugal. La coppa portoghese: eppure, in quell’edizione del massimo campionato finì ultima. E, sostanzialmente, non riuscirono più a risalire.
I motivi alla base erano tanti: in primis lo status di semiprofessionismo che li riguardava. Era un istituto caritatevole, alla fine, ma non è solo questo: il club venne colpito da diversi provvedimenti che, di fatto, lo resero una squadra senza stadio. Dal 1924 aveva un campo proprio, il “do Restelo”, che venne espropriato tra il 1939 e il 1940 per installare l’Exposição do Mundo Português , un EXPO sulla storia del Portogallo. Trattato male, malissimo, da lì in poi il Casa Pia è costretto a girovagare, fino a ritrovarsi lì, dove tutto era iniziato, in Liga Portugal, sognando l’Europa. Chiudendo il cerchio, proprio contro il Rio Ave: l’avversario che più tra tutti ha caratterizzato la lotta per la promozione in massima serie dopo 83 anni di assenza e quello che a fine partita ha tributato un lungo abbraccio a Filipe Martins. "Casapiano" d’adozione, come tutti gli uomini, e i bambini, passati da quelle parti.


