Jay-Jay Okocha of NigeriaMartin Rose/Bongarts/Getty Images

Magie senza frontiere: la carriera di Jay-Jay Okocha

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Atlanta, 1996. E' l'estate dei ventiseiesimi Giochi Olimpici e il calcio regala una delle imprese più belle e impronosticabili dell'ultimo decennio: la Nigeria vince la medaglia d'oro. La nazionale guidata dall'olandese Johannes Bonfrère vince in rimonta 3-2 la finalissima contro l'Argentina di Javier Zanetti e Hernan Crespo, dopo aver piegato 4-3 il Brasile di Ronaldo, Rivaldo e Roberto Carlos in semifinale. La rete decisiva arriva al 90' e porta la firma di Amunike. La gioia nigeriana è incontenibile.

Le 'Aquile' spiccano il volo verso la storia e i suoi protagonisti finiscono negli annali come la 'Generazione d'oro' del calcio africano. Da Celestine Babayaro a Taribo West, passando per Sunday Oliseh, George Finidi, Nwankwo Kanu e Tijjani Babangida. Sono i pilastri all'interno di un gruppo nel quale brilla luminosa la stella di Augustine Azuka Okocha, per tutti semplicemente Jay-Jay, soprannome ereditato dai fratelli maggiori James ed Emmanuel.

DA ENUGU ALLA GERMANIA: IL PRIMO CONTRATTO FIRMATO QUASI PER CASO

Augustine nasce il 14 agosto 1973 a Enugu, nel cuore della Repubblica del Biafra. Una terra devastata dalla guerra e dalla povertà che riducono qualsiasi tipo di prospettiva. I primi passi con il pallone tra i piedi li muove appena fuori casa esordendo da bambino con gli Enugu Rangers.

"Per quanto posso ricordare, giocavamo con qualsiasi cosa, con qualsiasi cosa rotonda che potevamo trovare, e ogni volta che riuscivamo a impossessarci di una palla, quello era un bonus! E' stato stupefacente", dichiarò in un’intervista alla BBC.

A cambiare la sua vita, però, è un biglietto aereo con destinazione Europa. Nel 1990 Jay-Jay è in Germania per fare visita al fratello quando un giorno decide di accompagnare l'amico Binebi Numa ad allenarsi con il Borussia Neunkirchen, formazione di terza divisione. Invitato a scendere in campo insieme al resto della squadra, mostra da subito qualità che esulano dall'ordinario. Morale della favola, l'allenatore del club ne rimane folgorato e l'indomani viene messo immediatamente sotto contratto.

Nella regione del Saarland vi rimarrà una sola stagione prima di passare al Saarbrucken in Zweite Liga. Un'altra tappa di passaggio prima del grande step del dicembre 1991 che completa la scalata: Jay-Jay approda in Bundesliga e lo fa firmando per l'Eintracht Francoforte.

L'AVVENTURA ALL'EINTRACHT E I TRIONFI CON LA NIGERIA

Sulle rive del Meno Okocha offre da subito un manifesto delle proprie qualità. Un talento purissimo, un calciatore che porta in dote colpi e numeri d'alta scuola. Giocate strabilianti che fanno innamorare, che attraggono come una calamita ma che spesso e volentieri risultano un po' troppo fini a se stesse. Il suo calcio è semplicemente questo: estro, fantasia e tutto ciò che non rientra nel convenzionale. Materiale impossibile da confinare all'interno di rigidi meccanismi tattici.

Una gioia per gli occhi dei tifosi, una bella gatta da pelare per gli allenatori che lo devono inquadrare in un contesto di squadra. Okocha veste la maglia delle 'Aquile' - manco a farlo apposta lo stesso soprannome della nazionale nigeriana - per quattro stagioni, senza raccogliere titoli ma progredendo di anno in anno dal punto di vista della centralità all'interno della squadra ed elargendo lampi di classe purissima. Saluta Francoforte con un'amara retrocessione in Zweite Liga e con 25 goal realizzati in 119 partite.

La copertina della sua avventura tedesca è il goal capolavoro datato 27 settembre del 1993, realizzato contro il Karlsruhe: dopo aver ridicolizzato a suon di finte la difesa avversaria, quando sembra ormai aver perso il tempo infila un certo Oliver Kahn con un mancino imparabile all'angolino. Una prodezza che verrà celebrata dalla rivista 'Kicker', la quale definì quel turbinio di dribbling e finte come 'der Wahnsinnstanz', letteralmente 'la danza della follia'.

Tra il 1994 e il 1996 è però con la maglia della Nigeria che inizia a riscuotere anche alla voce trofei: il Mondiale di USA 1994 porta ad uno stravolgimento del calendario e la Coppa d'Africa si disputa in Tunisia, sempre quell'anno, ma insolitamente tra marzo e aprile. Sul palcoscenico continentale la Nigeria è inarrestabile e dopo aver passato la fase a gironi fa fuori nell'ordine Zaire e Costa d'Avorio prima di piegare 2-1 lo Zambia in finale grazie alla doppietta di Amunike. Proprio lui che due anni dopo, ad Atlanta, regalerà il secondo titolo della carriera all'amico Jay-Jay.

Il trionfo tunisino è soltanto l'antipasto alla vetrina mondiale che scatterà un paio di mesi più tardi. Le Aquile sono la rivelazione del torneo, praticano un gioco spettacolare per ritmi e dominio della partita e nella fase a gironi si concedono addirittura il lusso di chiudere davanti all'Argentina di Maradona. Okocha - che si guadagnò il soprannome di 'Maradona africano' - è la stella di una squadra che funziona a meraviglia e che, agli ottavi, sfiora la clamorosa impresa contro l'Italia di Arrigo Sacchi. Gli africani accarezzano il sogno per quasi 90' grazie alla rete del solito Amunike ma la doppietta di Roberto Baggio stoppa definitivamente la corsa. 

L'ESODO IN TURCHIA: L'APPRODO AL FENERBAHCE

Il biennio 94-96 ha letteralmente cambiato la storia del calcio africano elevandolo a livelli mai toccati prima. La Nigeria è il simbolo di questo Rinascimento e i suoi talenti diventano l'oggetto dei desideri di molti club europei: Kanu finisce all'Inter, Amunike al Barcellona e Babangida firma con l'Ajax. A sorpresa, però, a rimanere fuori dal giro "buono" è proprio Okocha che in estate si accorda con il Fenerbahce.

In Turchia gioca di fatto da 'fuori categoria' in uno dei campionati meno appetibili d'Europa. Segna 30 goal in 62 partite, agendo da regista. Sul Bosforo non raccoglie nulla a livello di squadra ma compie il definitivo salto di qualità: si specializza sui calci piazzati e affina il bagaglio personale fatto di dribbling, doppi passi e giocate spettacolari tra cui il celebre 'stepover': Okocha porta avanti il pallone con la suola del piede destro, poi lo nasconde fintando di calciare di sinistro. Un marchio di fabbrica destinato ad ispirare anche le successive generazioni di giocatori. Una volta acquisita la cittadinanza turca cambierà il proprio nome in Muhammet Yavuz, ma la sua liaison con i colori gialloblù è destinata a chiudersi nell'anno che conduce verso i mondiali di Francia.

DALLA FRANCIA ALLA FRANCIA: IL MONDIALE DEL 1998 E IL PASSAGGIO AL PSG

A differenza di quanto offerto quattro anni prima, la rassegna transalpina si rivela deludente: la Nigeria replica il traguardo degli ottavi di finale ma questa volta ne esce con le ossa rotte per mano della Danimarca, che con un perentorio 4-1 ridimensiona la truppa guidata dal ct Milutinovic. La delusione è cocente, ma sarà proprio la Francia ad offrire ad Okocha un nuovo capitolo tutto da scrivere: il Paris Saint-Germain lo acquista per 15 milioni di euro, rendendolo il calciatore africano più costoso di sempre.

Anche all'ombra della Tour Eiffel la parentesi si rivela avara di soddisfazioni: in cassaforte finiscono giusto una Supercoppa di Francia e una Coppa Intertoto, i suoi unici trofei vinti a livello di club. Nonostante lo scarno palmares, e quattro stagioni scandite tra luci e ombre, a Parigi diventa idolo incontrastato della tifoseria e nel suo ultimo anno al Parco dei Principi incrocia le traiettorie con un ragazzino brasiliano di belle speranze appena sbarcato in Europa dal Gremio. All'anagrafe risponde al nome di Ronaldo de Assis Moreira, ma tutti impareranno a conoscerlo come Ronaldinho.

In maglia parigina giocano insieme per una sola stagione, quella che sfocia nei Mondiali di Corea e Giappone del 2002. La miscela è esplosiva e tra i due sboccia un feeling speciale dettato anche dal fatto che in campo parlano praticamente la stessa lingua. Jay-Jay ne diventa la chioccia e lo stesso Dinho rimarcherà a più riprese quanto il calciatore nigeriano sia stato una delle sue più grandi ispirazioni. L'anno dopo il brasiliano ne erediterà non solo il testimone ma anche la maglia numero 10.

LA PREMIER LEAGUE: L'ACCORDO SALTATO CON IL MANCHESTER UNITED E LA FIRMA CON IL BOLTON

Jay-Jay Okocha BoltonGetty

Terminato il mondiale nippo-coreano la carta d'identità recita anni 29, ma la sensazione è Okocha abbia ancora molto da dire e da dare al calcio europeo. Nell'estate del 2002 arriva la chiamata della Premier League. Una chiamata non banale, perché a volerlo è il Manchester United di Sir Alex Ferguson. L'affare si fa, ma in quel di Manchester qualcosa non va per il verso giusto e Jay-Jay viene immediatamente ceduto in comproprietà al Bolton senza mai indossare la casacca dei 'Red Devils'.

"Pensavo che ci sarebbero volute tre settimane per convincerlo", la confessione del tecnico Sam Allardyce, che si recò di persona all'aeroporto di Parigi per strappare il sì del giocatore.

Resterà ai 'Trotters' per quattro anni, sempre all'insegna del solito leitmotiv: non vince nulla ma diventa un simbolo. Nella sua prima stagione in Lancashire realizza il goal salvezza all'ultima giornata infilando la porta del West Ham con una gemma balistica da trenta metri, mentre nel 2005 trascina i suoi verso una clamorosa qualificazione in Coppa UEFA.

In quel di Bolton Okocha diventa un Re. Il pubblico del Reebok Stadium impazzisce di fronte ad un talento che da quelle parti non si era mai visto e per lui conia un coro speciale divenuto leggenda:

"So good they named twice". Così bravo che l'hanno chiamato due volte.

LA PARENTESI IN QATAR E L'ULTIMO ANNO IN INGHILTERRA

Anche le storie più belle sono però destinate a concludersi e dopo quattro anni, 145 presenze e 18 goal si chiude il capitolo più emozionante della sua carriera. Nel 2006 gioca il suo terzo mondiale prima di proseguire il proprio tour in giro per il mondo regalandosi la prima esperienza extraeuropea: Jay-Jay finisce al Qatar Sport Club.

In Qatar resiste appena una stagione. Un calcio lontano anni luce da quello europeo e una desolante atmosfera fatta di stadi letteralmente deserti fanno il resto. Contesto che non fa per lui e dopo un anno ritorna in Inghilterra - il paese che lo ha amato di più - giocando il suo ultimo campionato in Football League con la maglia dell'Hull City.

"In Qatar mi annoiavo parecchio. Non c’è quasi nessuno a vedere le partite, l’atmosfera non mi piaceva. Dio mi ha indicato la strada giusta, e la fede per me viene prima di ogni altra cosa”.

Prima di appendere le scarpette al chiodo registra alcuni video nei quali spiega i segreti dei suoi 'trick' e dei suoi dribbling. In attesa che la Nigeria e il calcio africano in generale possano presto veder sbocciare un nuovo Jay-Jay Okocha in grado di replicare tali meraviglie su e giù per il campo:

"Sono sicuro che un altro Jay-Jay sia là fuori. Ma la cosa più importante è farsi una domanda pertinente: in Nigeria abbiamo le strutture adatte per riuscire a produrre un altro Okocha, un altro Kanu o un altro Oliseh? Credo che dovremmo sforzarci e ristrutturare il calcio nigeriano per far crescere questi talenti, che sono sicuramente là e aspettano soltanto di essere scoperti”.

Parola di chi a Ogwashi-Uku, nel cuore del Niger, si è visto intitolare uno stadio. Roba da leggenda. Roba da Jay-Jay Okocha.

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