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Dal Catania alla Nazionale, passando per Tonga: "Playstation" Mascara

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“Quando è nata la Repubblica Italiana? Dico 1946 perché in quell’anno è nato pure il Catania”: pur trovandosi a oltre un’ora di distanza, Caltagirone rientra ancora nel territorio catanese. In un certo senso, intriso di romanticismo, si potrebbe affermare l’assoluta e inconfutabile benedizione del destino, nei confronti di un individuo, a partire dalle proprie radici. Il capoluogo calatino è famoso principalmente per tre motivi ricorrenti, saldi nel tempo: la maiolica, l’infinita Scalinata di Santa Maria del Monte, e Giuseppe Mascara. Ed è bizzarro notare come quest’ultimo abbia parte delle caratteristiche dei primi due elementi, fuse in un solo uomo nel modo più immediato e sincero possibile.

Prima di essere un calciatore, Mascara è stato essenzialmente uno dei rappresentanti del pallone più vicini al proprio popolo, come solo uno spirito guida sa esserlo nei confronti dei fedeli: in senso meno spirituale, sicuramente religioso (il pallone altro non è che l’espressione di una fede), ma comunque efficace. Del più famoso goal che ha definito parte della sua carriera, quello da centrocampo contro il Palermo al Barbera, si è sempre sottolineato il gesto atletico prima ancora che quello romantico, che ha un peso grande almeno quanto il primo: quando il pallone piomba addosso ad Amelia, inaspettato co-protagonista, insieme agli altri, di uno dei momenti più segnanti della storia della Serie A, Mascara sa già come esultare. Allarga le braccia, si fa metà campo e imbocca la via verso il settore ospiti, totalmente vuoto per il divieto di trasferta.

Il gesto istintivo è quello di indicarlo, mentre il pubblico di fede rosanero applaude gli storici rivali. È il simbolo profondo di un legame, con i rossazzurri, che resisterà al tempo e ai trasferimenti: il sentimento di rivalsa di un’intera città affidato al singolo, che si fa espressione della comunità. Sì, anche questo è stato visto (e apprezzato) “a Tonga”.

Giuseppe Mascara Catania Inter rigoreGetty

Nella frase sulla nascita della Repubblica italiana, rilasciata nel corso di un’intervista goliardica a V-ictory nel 2008, c’è l’essenza stessa di un uomo sostanzialmente puro, spesso sottovalutato, che dalle sue radici ha ricavato la forza e spinta per lo slancio vitale che gli ha permesso di arrivare dove ha sempre meritato di essere, ritagliandosi un posto nella memoria eterna di chi segue il calcio, come espressione dell’imprevedibilità e della tecnica di un giocatore che lo stesso calcio italiano ha commesso l’errore di sottovalutare, privandosene a lungo.

Dalla ceramica di Caltagirone ha preso la lunga lavorazione degli artigiani, che in essa mettono cuore e passione, e la bellezza delle forme artistiche, dei colori sprigionati e riflessi al sole come le gesta di un calciatore su un prato verde in primavera; dalla Scalinata di Santa Maria del Monte, simbolo della città che gli ha dato i natali, che conta 142 gradini, il sollievo generato dalla consapevolezza di essere arrivati in cima, pur con fatica (“A scala da Matrici” è lunga è impervia almeno quanto la vita). A Catania è stato “Mascarinho”, quindi “Topolinik”, spesso “Playstation”: prima di giocare per la squadra della sua città ha vestito la maglia di Palermo e Avellino, due rivali storiche, ma in rossazzurro è stato un idolo.

Tra il 2006 e il 2009 nel catanese non era poi così difficile ascoltare, in una delle radio più note della città, alcune parodie sul suo conto: di solito veniva usato l’espediente della telefonata, mentre Giuseppe Castiglia (un’icona della risata della Sicilia orientale), intento a riprodurre l’accento marcato di Mascara, ne ripercorreva le gesta. E lui, quello vero, sul campo continuava a segnare. Con 60 reti è ancora oggi il miglior cannoniere della storia del Catania, superato in presenze (238) solo da Marco Biagianti e Mariano Izco (284 e 257), con cui ha condiviso il destino da capitano. C’è chi nel suo addio, avvenuto nel gennaio del 2011, con i rossazzurri in zona retrocessione ha visto “un capitano che abbandona la nave”: la vita, come il calcio, senza ambizione è solo un vuoto contenitore, sterile alle emozioni. Mascara non aveva certo bisogno di dimostrare alcunché: al Catania e a Catania aveva dato tutto, forse anche di più. Il trasferimento al Napoli (con cui esordirà in Champions League) è un atto dovuto di riconoscenza: i catanesi lo hanno capito, forse, pochi mesi dopo, quando dopo il vantaggio di Cavani al Massimino (in un Catania-Napoli terminato poi 2-1) vanno tutti ad abbracciare l’uruguaiano, tranne lui. Capo chino, tra i fischi: si dirige a centrocampo, senza battere ciglio.

Giuseppe Mascara CataniaGetty

La narrazione calcistica delle gesta di Peppe Mascara si ferma spesso al goal contro il Palermo e al cucchiaio contro l’Inter, una stagione dopo, nel 3-1 del 2010: “Sono un pazzo”, mostrerà al pubblico, esultando. Contro i nerazzurri, in realtà, aveva già messo a segno una rete capolavoro da posizione defilatissima, ai limiti dell’impossibile, alla sua quinta in assoluto in Serie A. Julio Cesar non deve ricordarlo di buon occhio: in telecronaca verrà giustificato, “ingannato dal sole”. La verità è che un tiro da lì, così, non se lo aspettava nessuno.

“Riaprite il segnale da Tonga”: la stagione 2008/09 (la sua migliore in termini realizzativi, con 12 goal, in massima serie) è l’espressione del valore e del merito di un giocatore che ci ha sempre creduto, costellata da episodi stranissimi. In un Catania-Torino, ad esempio, mette a segno una tripletta nel match passato alla storia per i pantaloncini abbassati da Gianvito Plasmati di fronte a Sensi, proprio in occasione della punizione vincente di “Mascarinho”. O comunque, subito dopo il capolavoro al Palermo, e dopo una batosta subita in casa contro il Siena, Mascara si ripete a Udine disegnando un destro al volo da 35 metri inimmaginabile che consacra definitivamente il talento e l’estro di un giocatore senza tempo. Una sorta di Re Mida in un periodo in cui ogni giocata si trasformava in oro.

“Merito della squadra che è stata allestita della società, perché quando il singolo fa bene dietro c’è il lavoro di gruppo, degli allenatori e dello staff”, racconta a Goal Italia Mascara.

“Ho avuto l’opportunità di fare molti goal, uno più bello dell’altro, e di attirare le attenzioni del mister”: perché a fine stagione (ironia della sorte, il 28 maggio, esattamente tre anni dopo la promozione in Serie A conquistata con il Catania) arriva la chiamata più attesa, quella di Marcello Lippi, che lo convoca per l’amichevole contro l’Irlanda del Nord, in programma nel giugno 2009.

“Rappresentare la propria Nazione è sempre stupendo. Il minuto dell’inno non passava mai”: gioca 45’, servendo un assist a Giuseppe Rossi. Serata indimenticabile. “Quando prendi in mano il pallone, da bambino, la prima cosa a cui pensi è arrivare a rappresentare il tuo Paese. Vai a chiudere un cerchio rappresentando l’Italia”, spiega a GOAL Italia.

Giuseppe Mascara CataniaGetty

Catania si ferma: insieme a Mascara viene convocato anche Marco Biagianti che, però, non avrà l’opportunità di scendere in campo. Per settimane, comunque, non si parla d’altro: l’estate dei catanesi è il perfetto alternarsi tra il pensiero rivolto alla nuova stagione e quello dedicato all’attesa per una nuova convocazione con la maglia Azzurra. Non accadrà: "Adesso essere convocati è più facile, basta fare due partite come si deve e ti chiamano. Nella mia generazione c'erano tanti giocatori importanti", ammette. L’azzurro, del mare, continuerà comunque a essere abbinato, sul suo petto, al rosso fuoco della lava vulcanica dell’Etna per molti anni ancora, prima di concludere la carriera altrove.

Se chiedete, a Catania, cosa è stato Mascara vi risponderanno in modi diversissimi, tra loro molto simili nella sostanza: “un pazzo”, per il cucchiaio a Julio Cesar, “un genio”, per le tracce imprevedibili sulla tela calcistica. “Un fratello”, per tutti: dall’Etna alla Nazionale, passando per Tonga. Un goal alla Playstation visto dal vivo, in giro per il mondo. Al Massimino e a Caltagirone, in cima ai 142 gradini della Scalinata: dopo tanta gavetta e una carriera fiera, come fiero sa essere un fantasista che mira alla porta da centrocampo, centrandola.

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