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Sasa BjelanovicGetty

Sasa Bjelanovic: una vita da tuttofare all'attacco

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La memoria calcistica e pallonara si attiva in due modi. Al nome di quel fuoriclasse, dotato di cotanta qualità, è facile dire che si conosce. Chi non ha mai sentito parlare di Cristiano Ronaldo o di Maradona, del resto? Anche la nonnina del più sperduto e minuscolo paesino, volente o nolente ha assimilato quelle lettere messe insieme una dopo l'altra. Il secondo modo in cui la memoria si attiva è quella figlia della moda degli ultimi anni, nipote della nostalgia di anni '90 e primi 2000. Basti non si parli del secondo decennio del terzo millennio, in questi casi. Parliamo di quei giocatori che non hanno magari ottenuto grandi risultati, giocando in provincia, ma lasciando ricordi luminosi e accecanti in ogni piazza, tanto che quel nome non può non balzare davanti agli occhi una volta frullato in testa. Prendiamo ad esempio Sasa Bjelanovic.

Un adepto della provincia, un giocatore che ha avuto un discreto successo nel calcio, ma entusiasmante per l'amore dei tifosi. Da nord al sud, con la rapidità, qualche giocata di fino (vedi rovesciate e interventi al limite dell'entusiasmante), Bjelanovic fa parte di quell'operazione nostalgia giustificata, e non figlia della stessa. Perché sì, ha giocato in provincia, ma chiudendo la carriera con quasi 200 goal segnati, giocando Champions ed Europa League, togliendosi il lusso di indossare la casacca della Nazionale croata con cui, diciamo la verità, non ha avuto fortuna. Un peccato.

Sì perché Bjelanovic, boa centrale dell'attacco, è stato cinico sotto porta, cattivo nell'essere villain dei fumetti per gli avversari, spettacolare al momento giusto per non rimanere ingabbiato nel risultare solamente sponda per i compagni. Tradotto, reti, ma anche una buona dose di assist, alcuni decisivi, altri spezzati all'ultimo istante, in una carriera giocata quasi esclusivamente in Italia una volta scoperto in Europa League.

Erano i tempi del Feyenoord leggendario di Tomasson e Van Hooijdon, un duo letale capace di vincere l'allora Coppa UEFA. Un torneo, quello 2002, in cui Bjelanovic segnò sette reti, risultando tra i migliori marcatori della competizione. Militava nel Varteks Varazdin, squadra che oggi non esiste più. E' il Como neopromosso in Serie A ad ingaggiarlo per la massima serie italiana, un sogno che ai microfoni di Fanpage racconterà così:

"Si tratta di un calcio completamente diverso rispetto a quello che si gioca in Croazia. Volendo fare un paragone è come passare dalle elementari all'università. Ci è voluto un po' di tempo per adattarsi e per riuscire a capire come rendersi utile alla squadra, ora sono da tanti anni in Italia quindi ci sono abituato".

È Enrico Preziosi a portarlo in Serie A, negli anni precedenti al Genoa e durante quella vecchia leggenda metropolitana del rifiuto al giovane Messi:

"Se non ci fosse stato lui non sarei mai arrivato in Italia. Ci sono molto legato perchè è stato il primo ad avere fiducia in me. Al Como le cose non andarono benissimo perchè la squadra era stata rivoluzionata rispetto a quella che era stata promossa e trovai delle difficoltà. Quando mi mandò al Chievo mi rese le cose più facili. Mi ha voluto poi al Genoa quando è tornato in B quindi credo sia una persona molto importante per me".

L'avventura al Como è però breve e tribolata, in mezzo ad una squadra 'troppo nuova' e senza automatismi rodati. L'energia della Serie A si scontra però con la forza motrice della stessa, capace di schiacciare al suolo chiunque, figurarsi una neopromossa, che a fine annata tornerà mestamente in B. Bjelanovic non farà in tempo a vivere quel periodo primaverile, vista la cessione al Chievo: qualche goal in più - tra l'altro con meno presenze - e primo vero impatto nel capire il suo nuovo mondo, così vicino alla sua Croazia, ma così lontano in termini di potenza di fuoco.

Dopo una brevissima esperienza al Perugia di una sola gara (nella celeberrima annata in cui gli umbri conquistano l'ora defunta Coppa Intertoto), Bjelanovic viene come detto scelto dal nuovo Genoa di Preziosi, che si ricorda di lui e di come non sia stato negativo a Como, ma semplicemente appena buttato dentro la nuova realtà del calcio italiano, pesantissima nel mega mini-mondo delle neopromosse. In Liguria vive la sua miglior stagione italiana con dodici reti, contribuendo ad avvicinare quella promozione in A per cui bisognerà attendere non un anno, ma bensì tre, causa note valigette e cadute verticali in C.

Sasa BjelanovicGetty

Bjelanovic accoglierà con un 'Piacere Sasa', alla pari dei compagni di squadra simboli di nostalgia calcistica come Comandini, Caccia e chi più ne ha, più ne metta anche un ragazzo argentino che cerca futuro in Europa e inizialmente verrà applaudito per i suoi assist. Assomiglia a Francescoli, lo chiamano dunque Principe. Con Diego Milito la condivisione del centro attacco non è facile, ma entrambi fanno benissimo e imparano a giocare insieme, prima della cessione di Bjelanovic di nuovo in Serie A, troppo appetibile primavere nella cadetteria dopo la doppia cifra e la fame di goal.

In Serie A, Bjelanovic non riuscirà mai ad andare in doppia cifra, 'colpa' del lavoro per la squadra, di sponde e tocchi per i compagni di reparto, capaci di inserirsi per rendere oro l'argenteo passaggio del compagno di squadra.  Dopo dodici anni con una buona dose di goal, la prima vera grande delusione è quella in maglia granata. 19 gare in Serie A, zero goal. Roba che ora riempirebbe pagine di dati e fogli di statistiche:

"Arrivai a Torino non per fare il titolare ma sapevo che avrei potuto dare una mano. Purtroppo ho avuto dei problemi fisici che non mi hanno permesso di esprimermi al meglio ma credo che quella sia stata una annata difficile per tutta la squadra e le colpe sono da dividere fra tutti. Con il Lecce e con l'Ascoli ho dato il mio contributo".

Per Bjelanovic un curriculum del genere non porta a massicce richieste dalla Serie A, alle quali fanno da controaltare però quelle della B. E lì nessuno si è dimenticato di Genova e di quello che può fare, di come una sola annata negativa in granata non possa spazzare via le buoni doti da attaccante e assistman. Lo intuisce il Vicenza, più veloce di tutti nell'acquistare un buon attaccante da venti goal in due annate.

Dalla Serie B, Bjelanovic compie l'ennesimo salto della sua carriera, fatto di piccoli scendi e tanti sali. Stavolta il più grande di sempre, vista la chiamata di Mandorlini al Cluj, club rumeno che giocherà in Champions League. Quattro presenze, zero reti, ma comunque quella musichetta sentita con milioni di persone davanti allo schermo e migliaia allo stadio, in mondovisione. Il momento più alto di Sasa, che continuerà come suo solito in provincia, nell'allora normale Atalanta e nel Verona poi.

Ultime annate però deludenti dal punto di vista realizzativo e di apporto alla squadra, sia nel ritorno al Cluj (che comunque risulta essere il picco delle restanti stagioni da professionista), sia nella chiusura di carriera tra B (Varese) e la prima volta in C, dove appenderà gli scarpini al chiodo difendendo l'onore di Messina prima e Pordenone poi. Nella sua bacheca parecchi trofei croati, memorabilia vari e il passaporto comunitario italiano in virtù di una nonna triestina.

Rimane un giocatore amato da quasi tutte le tifoserie in cui ha giocato, figlio della nostalgia, del correre da una parte all'altra ed essere assist prima che goleador, nonostante qualità e tecnica superiori alla media per lungagnoni di 188 cm per 80 kg. Dall'estate 2018 a novembre 2019, Bjelanovic ha ricoperto il ruolo di direttore sportivo dell'Hadjuk Spalato, curando gli interessi in entrata, scegliendo i migliori giovani del paese, e in uscita, cercando di ottenere il massimo dalle cessioni di un club fucina di talenti per le grandi, nelle quali prima o poi faranno il salto. Ora è in attesa di una nuova chiamata per rimettersi alla ricerca di futuri campioni. E se alla fine diverranno figli della nostalgia tra qualche decennio, solo applausi. Sasa insegna.

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