Che te ne fai di Roberto Baggio e Ronaldinho, se puoi avere Beto? Nell'estate del 1996 il Napoli deve averla pensata più o meno così, portando in Italia in quel momento una delle stelline del calcio brasiliano.
Corrado Ferlaino stacca un assegno compreso tra i 5 e i 6 miliardi delle amate vecchie lire, facendolo imbarcare su un volo per Capodichino e prelevandolo dal Botafogo. Il bello, è che per acquistare Beto gli azzurri dicono elegantemente 'no' a colui che avrebbe scritto un pezzo di storia del pallone: Dinho, il Gaucho. Così narra lo stesso Joubert Araujo Martins (Beto, appunto), l'uomo al quale viene consegnata la 10 di Maradona e che in sede di campagna acquisti il Napoli preferisce anche al 'Divin Codino'.
"Gli osservatori vennero in Brasile per visionare un centrocampista del Gremio di 15 anni - afferma Beto su Instagram - All'epoca non sognavo nemmeno di arrivare al professionismo. E venne a vedere un altro giocatore del Botafogo, 20 anni, che era già stato convocato per giocare la Copa America del 1995 (parla di se stesso, ndr). Scelsero me perché pensavano che fossi più pronto e avevo passato del tempo con la Nazionale brasiliana, mentre l'altro era, semplicemente, Ronaldinho".
Roby al Milan invece è un enigma tattico e non gioca con regolarità: la pista partenopea accende i tifosi, ma a fare da 'pompiere' è lo stesso Ferlaino, che investe sul verdeoro.
"Non abbiamo bisogno di Baggio- assicura il presidente in occasione della presentazione del suo nuovo colpo - Beto è un degno sostituto. È il fiore all'occhiello della Nazionale olimpica di Zagalo".
Insomma, 'all in' su Beto, il talento scelto per accendere la qualità nel centrocampo di Gigi Simoni. Il Napoli è in preda ad incertezze economiche e societarie, ecco perchè lo sforzo compiuto sul mercato per arrivare al brasiliano - nel frattempo secondo nella Copa America del '95 con la Seleçao a soli 20 anni - aumenta le attese.
"Il momento più bello? Sicuramente quando sono arrivato in città e ho avuto il primo impatto con la folla che mi aspettava sulla porta dell’hotel Vesuvio - confida a 'Il Mattino' nel 2019 - Praticamente ricordo che si paralizzò il traffico per le moltissime persone che mi aspettavano e mi volevano vedere da vicino. Credo che quel momento sia stato così tanto emozionante che non lo dimenticherò mai. Così come non dimenticherò mai il grandissimo calore umano e le cose belle che mi furono dette in quell’occasione".
Centrocampista con propensione offensiva, in grado di agire sia come play che da incursore: Simoni lo impiega prevalentemente così, eccezion fatta per due occasioni in cui viene schierato seconda punta.
Beto si accende e spegne a intermittenza, esattamente in linea col suo carattere un po' altalenante: belle prestazioni, goal di pregevole fattura con entrambi i piedi e battute a vuoto con 'permanenze prolungate' in patria, cocktail che non gli impedisce però di diventare beniamino del popolo azzurro. In particolare il 26 febbraio 1997, in una notte lunga e per i tifosi partenopei indelebile: Napoli-Inter, semifinale di ritorno di Coppa Italia, all'improvviso si trasforma nella notte dell'ex Botafogo.
Andata 1-1 a San Siro, nel secondo round i nerazzurri conducono 1-0 (gran goal di capitan Zanetti) ed intravedono la finale, ma Beto non la pensa così: sponda di Nicola Caccia e inserimento del brasiliano tra i difensori interisti a battere Pagliuca. Un 'San Paolo' ricolmo esplode, si va ai supplementari e ai rigori, lotteria in cui Joubert completa l'opera realizzando la propria esecuzione. Alla fine a qualificarsi è il Napoli, con Beto idolo di Fuorigrotta.
Finale col Vicenza (poi vincitrice del trofeo) che però, Beto, non giocherà mai. Né l'andata, tantomeno il ritorno. Enzo Montefusco, nel frattempo subentrato a Simoni - esonerato nonostante l'impresa compiuta contro quella che diventerà la sua nuova squadra - decide di escludere il '10'. Tra conferme e smentite ("Non ho mai saltato un allenamento, mai un ritardo. Tutte bugie"), pare per essere rimasto più del dovuto in Brasile dopo un consulto medico.
"Non mi fece giocare senza mai darmi una spiegazione chiara - rivela Beto - Onestamente non so le ragioni, ma ricordo che sono tornato molto nervoso dalla trasferta di Vicenza. Così tanto che mi ero addirittura ripromesso di non voler giocare più a calcio. Non capivo perché l’allenatore non mi aveva consentito di giocare e aiutare il Napoli a vincere la Coppa. Ero in piena forma a quel tempo, però lui non mi ha permesso di aiutare i miei compagni di squadra".
Il Napoli, vittorioso all'andata 1-0, crolla 3-0 al 'Menti' e dice addio al sogno di gloria, dovendosi rimboccare le maniche per evitare di essere risucchiato in zona retrocessione. Missione compiuta, perché gli azzurri evitano brutte sorprese e si salvano. E ironia della sorte, l'ultima giornata fa registrare un 1-0 al Vicenza con goal... di Beto. E' l'ultimo squillo del verdeoro in Italia, che chiude il suo bottino personale con 5 reti in 26 partite.
"A tutti piaceva come giocavo e dopo soli 5 mesi lì mi rinnovarono il contratto per altri tre anni - spiega a 'Fox Sports' in un'intervista del 2019 - Ma il mio manager all'epoca preferiva tornare in Brasile. Avevo la proposta del Gremio. I giocatori mi fecero dei cori per convincermi a rimanere a Napoli. Purtroppo decisi alla fine di andare via e oggi mi dispiace ancora molto di essere tornato dopo una sola stagione".
Già, perché se nell'estate '97 il nuovo tecnico Bortolo Mutti afferma di volerci puntare, spegnendo nuovamente i rumors sul 'Codino' ("Sarà lui il nostro Baggio"), le vie del mercato lo portano lontano dal Vesuvio: ritorno in patria, come detto al Gremio, che nell'operazione avrebbe proposto Ronaldinho al Napoli ricevendo un 'no, grazie' dal club di Ferlaino. Un matrimonio che non s'aveva da fare, insomma! A saperlo...
Napoli che incapperà in un'annata 'horror' culminata con la retrocessione in B, mentre Beto si costruisce una carriera di tutto rispetto collezionando gioie e titoli nazionali. Flamengo, San Paolo e Fluminense le altre tappe della sua vita calcistica - con Copa America 1999 stavolta vinta - prima di volare in Giappone. Parentesi biennale al Sanfrecce di Hiroshima, da cui viene mandato via in seguito ad un parapiglia in un ristorante. Si ritira nel 2010, dopo aver speso le ultime energie nelle serie inferiori brasiliane.
Il nuovo Beto si divide tra impegni nel sociale, tornei amatoriali e percorso da procuratore. Nel mezzo un dramma enorme, col figlio Joubert Martins Filho assassinato a Rio de Janeiro ad aprile 2020.
"Un dolore che dovrebbe essere proibito a una madre e un padre - si legge in uno struggente post Instagram pubblicato dall'ex azzurro - La perdita di un bambino, dolore immenso che forse non passerà mai".
La tragedia non fa crollare Beto, oggi 47enne e sorridente alla vita tra amici e belle iniziative. Portando Napoli nel cuore.
"Il rimpianto più grosso? Sicuramente quello di non aver dato di più. Sapevo di poter essere un campione lì, ma non mi hanno mai dato l'opportunità di esprimermi al meglio".


