
Probabilmente tutto quello che c'è da sapere di Celestine Babayaro è contenuto nel suo cognome. Basta dividere baba e yaro per descrivere la sua vita da calciatore, prima e dopo i record, la gloria, a volte effimera, i premi, il lento scivolare verso l'anonimato. Nasce a fine anni '70 nel paese più popoloso del continente africano, la Nigeria, il più rappresentativo del territorio centro-occidentale. E' stato padre del calcio nigeriano, ma anche figlio. E' stato, sia baba che yaro per la prima generazione d'oro dei ragazzi biancoverdi, è stato baba e yaro per la seconda, quella di cui ha fatto parte, in una maniera che a inizio del secondo decennio del nuovo millennio pare irripetibile. Si vedrà, ma per ora lo è.
Baba, si diceva. Nei territori occidentali dell'Africa, significa 'padre'. Viene tramandato, in segno di rispetto, di autorità, di continuum.Yaro, si ripeteva. Stessa storia, stesso posto, stesso bar (che nella lingua locale hausa viene tradotto come Layoyi, informazione utile se avete in programma un viaggio a Lagos): significa 'figlio', nella stessa linea del tramandare di generazione in generazione un lungo filo, in questo caso verde come il colore nazionale, quello inserito nella bandiera, nelle maglie, nelle strade.
Quando i fratelli di Babayaro, i ragazzi delle generazione d'oro che avevano preso parte ai Mondiali Under 17 del 1993, si qualificano al Mondiale 1994, per un risultato storico della propria nazione, non solo a livello calcistico e sportivo, Celestine ha 15 anni e gioca nel Plateau United, prima di trasferirsi in terra belga, in quell'Anderlecht che non ha mai avuto paura di scrivere la storia dei record giovanili, buttando nella mischia 16enni come Lukaku e sì, come il ragazzo di Kaduna, esterno veloce e tecnico, intelligente tatticamente, pronto a darsi da fare sulla fascia ma anche centralmente. Giovane e duttile, una perla.
Mentre la Nazionale nigeriana stupisce il mondo comandata da Okocha e guidata in battaglia da Oliseh, il ragazzo esordisce in maglia Anderlecht ad appena 16 anni. E' figlio solamente nell'idea, di quei giocatori leggermente più grandi di lui. Jay Jay è del resto solamente un 21enne al torneo statunitense. Certo, ci sono gli over 30 come Rufai, ma sembrano tutti coetanei. E' anche un padre Babayaro, perchè da lì in poi, da quel 1994, comincerà ad essere un simbolo per i migliaia di connazionali che vedono nel calcio una vera opportunità per emergere.
La storia di Babayaro è tornata di moda nel 2021, ovvero quando lo strappa-record Moukoko è stato buttato nella mischia in Champions League: dopo 25 anni il torneo europeo ha un nuovo giocatore più giovane che può guardare tutti dall'alto in basso o dal basso in alto, a seconda della prospettiva e dell'angolazione del racconto. 16 anni e 18 giorni per l'attaccante del Borussia Dortmund? 16 anni, 2 mesi e 25 giorni per Celestine, che nella Champions League del 1994 gioca in maglia Anderlecht contro lo Steaua Bucarest.

In pochi mesi Babayaro vive un altro continente, l'occidente europeo, un record. Và veloce in campo, ma fuori è ancora più rapido nel scalare ogni Everest possibile, capace di rimanere in piedi e mortale per oltre due decenni. Cherki e Halilovic si avvicinano, ma vengono risucchiati da aspettative e rapidità, eccessiva, nell'ascoltare la musichetta della cara vecchia Champions League.
Sia chiaro, anche Babayaro nel novembre 1994 non è certo un giocatore capace di miracoli, tanto che viene espulso 37 minuti dopo l'avvio della sua gara da record. Lacrime, piedi nuovamente a terra dopo neanche un tempo e, nessun luogo comune o frase fatta, tanto da pedalare, molto da lavorare, km da percorrere.
Babayaro è anche un 'arankunrin', un fratello: Emmanuel, infatti, ha due anni in più ed è un calciatore professionista. Il big bro, però, non avrà mai la stessa fortuna sportiva del piccolo di casa: qualche gara con il Besiktas, ma soprattutto l'esperienza alle Olimpiadi 1996 che riuscirà a vincere con il fratellino. La medaglia d'oro arriverà a 18 anni e da lì non riuscirà più a vincere, arrivando vicino al sole troppo presto, cadendo a terra senza però farsi niente, salvato da un cerchio d'oro che vale una vita e una carriera.
Nel 1996 Celestine è invece una superstar del suo paese, tanto da essere già accostato ai grandi padri della nazione calcistica. E' il più giovane giocatore nella grande Champions League europea, ha vinto la medaglia d'oro e tra le strade di Kaduna si parla di un possibile interessamento dal gotha continentale, dalla Serie A alla Premier League. Nel 1997. quando ha 19 anni, più di 100 presenze da professionista e trofei vinti a Bruxelles nella mensola, si và avanti un Chelsea che sa ben pescare in Europa, dovunque essa guardi.
Lascia una capitale europea importante per una metropoli come Londra, pregna di connazionali, pregna di Derby, vive di calcio e profuma di successi. Quando si pensa a Babayaro, si pensa al Chelsea. Perchè da Stamford Bridge non si muoverà per un bel po', maturando come uomo e calciatore. Attorniato da italiani, dalla scatola magica Zola e dal tuttofare Vialli, conquisterà ogni trofeo britannico su piazza, persino quella Champions League tanto inseguita dal club, fino all'arrivo di quello speciale, di Josè Mourinho, nel 2004.
Babayaro non è certo un goleador, ma la sua velocità lo porta ad essere nel vivo dell'azione anche in attacco, contribuendo con goal importanti anche al Chelsea, dopo averlo fatto all'Anderlecht e con la Nazionale nigeriana. Già, le Super Eagles, non solo limitate nell'esperienza di Celestine alle Olimpiadi 1996: gioca i Mondiali del 1998 e ad ogni momento felice raggiunto coi suoi compagni festeggia con una capriola mortale, che diventerà suo marchio di fabbrica.
Nel 2005 la sua storia con il Chelsea si interrompe, per via delle scelte di Mourinho e di una carta d'identità che per Babayaro ha sorriso solamente nella prima metà della carriera. Dai 27 anni non è più lui, sta cominciando una fase discendente che lo porterà ad abbandonare la Greater e giocare senza grandi fortune a Newcastle fino al 2008. Non è certo protagonista nella Premier vinta pochi mesi prima dell'addio, ma mette tutto in cascina e dice addio. Per andare oltre.
A Newcastle upn Tyne, infatti, dopo essere stato baba per i giovani nigeriani, diventa effettivamente baba, un padre: nasce Ryan Babayaro. Il figlio d'arte non avrà però fortuna nel calcio, riuscendo solamente a mettersi in mostra nelle giovanili dello United, prima di intraprendere una carriera diversa da quella sportiva. Come quella del padre, lontana dal pallone (zero le presenze a Los Angeles, in tenuta Galaxy, nel 2008, ultima maglia delal carriera). Una luce accecante inizialmente, sempre più flebile, spentasi al compimento dei trent'anni, con il ritiro dalle scene, dall'apparire, dall'essere baba e yaro. Pronto a intervenire solamente sul suo presente, rispondendo a più riprese riguardo personali, presunti, problemi finanziari:
"Dedico molto tempo ad aiutare i più giovani a crescere, dando loro consigli su come diventare professionisti di successo. Tutto quello che posso dire è che sono grato a Dio e sono più che a mio agio con la nuova vita. Dicono che sono al verde? Non c'è niente da dire a riguardo, perché gli esseri umani hanno diritto alla propria opinione nella vita. Quindi, se qualcuno vuole dire qualcosa, bisogna laciarlo andare avanti con quello che vuole dire.
Ogni essere umano ha il diritto di uscire allo scoperto e dire ciò che sente riguardo a un problema. Quindi, quelli che dicono che sono al verde stanno solo esprimendo la propria opinione su un qualunque argomento di attualità. Non importa quanto tu sia bravo nella vita, ci saranno persone a cui piacerai e ci saranno altre persone che non ti piacerà. Non c'è niente che puoi fare al riguardo".
Baba e yaro al palo, almeno nella vita pubblica. In quella privata continua ad esserlo, così come in quella storica: padre, figlio, spirito generazionale.