L’Italia è stata per anni una sorta di El Dorado del calcio. Tutti i più grandi giocatori del pianeta avevano nella Serie A la meta più ambita in assoluto e molti di essi poi sono riusciti effettivamente a coronare il loro sogno di essere protagonisti lì dove più in assoluto contava esserlo.
Anche per questo motivo, paradossalmente, a far sognare gli appassionati nostrani era più l’estate, quando il pallone era fermo ma le trattative del calciomercato erano nel vivo, piuttosto che le vere e proprie partite. In un’epoca nella quale internet era ancora un qualcosa per pochi eletti ed i tablet e gli smartphone non erano ancora stati inventati, erano tv, radio e giornali ad aggiornare sulle trattative e la cosa spesso si traduceva in vere e proprie riunioni sotto gli ombrelloni all’interno delle quali condividere le ultime notizie.
Anche l’estate del 1995 non ha fatto eccezione. Il Milan accolse Weah e Roberto Baggio, la Juve rispose con Jugovic, Lombardo e Vierchowod, il Parma portò in Italia il Pallone d’Oro Stoichkov, la Sampdoria puntò su un giovanissimo Seedorf mentre l’Inter, il cui presidente era diventato da pochi mesi Massimo Moratti, accolse Roberto Carlos, Ganz, Ince e Javier Zanetti.
Tra i giocatori più ambiti di quella sessione estiva ci fu, suo malgrado, anche Fabio Cannavaro. Giocava nella squadra del suo cuore, ovvero il Napoli, ma il club partenopeo era nel bel mezzo di una crisi finanziaria che lo costrinse a sacrificare, sull’altare della sopravvivenza, il suo talento più importante.
Sulle tracce del giovane difensore si mise prima la Roma di Sensi e poi l’Inter che andò realmente ad un passo dalla chiudere l’operazione, prima che a spuntarla fosse il Parma.
“Per me è stata dura andare via, non volevo lasciare la squadra del mio cuore. Dovevo andare all’Inter, ma Ferlaino mentre stava andando a Milano per chiudere, si fermò a Parma e trovò un accordo con Tanzi. Io non volevo firmare e scoppiai anche a piangere, ma alla fine lo feci per aiutare il Napoli ad evitare il fallimento”.
Il Parma riuscì a superare la nutrita concorrenza mettendo sul tavolo dieci miliardi di lire, oltre al cartellino di Fausto Pizzi ed il prestito di un giovane difensore prelevato pochi giorni prima dal River Plate: Roberto Fabian Ayala.
Il Napoli quindi si ritrovò in un colpo solo a disposizione il denaro per andare avanti ed il sostituto naturale di Cannavaro da mettere a disposizione del tecnico Vujadin Boskov. Quello che era approdato all’ombra del Vesuvio era un giocatore del quale in Argentina si diceva benissimo e che aveva già fatto il suo esordio in Nazionale maggiore.
Era nato e cresciuto a Paraná, città che sorge sull’omonimo fiume, ma a differenza di molti coetanei, per far strada nel mondo del calcio, non si era trasferito nella vicina Santa Fe e quindi al Colon o all’Union, ma si era spinto fino a Buenos Aires per unirsi al Ferro Carril. Qui, dopo aver fatto tutta la trafila nel settore giovanile, si impone come uno dei più promettenti talenti del calcio albiceleste, guadagnandosi nel 1993, a venti anni, la chiamata del River Plate. Dei Millonarios diventa fin da subito il perno della difesa di una squadra capace di dominare e vincere nel 1994 il torneo Apertura e con le sue prestazioni attira su di sé le attenzioni di alcuni dei migliori club europei.
A farlo suo è il Parma che investe su quel ragazzo dotato di una forte personalità, oltre che di qualità fuori dal comune, ben 5 miliardi di lire, ma i posti per gli extracomunitari in rosa sono già occupati e quindi decide di mandarlo al Napoli a farsi le ossa.
Quella che Ayala trova è una squadra che non può puntare a grandi traguardi, ma a Napoli trova fin da subito l’ambiente ideale per esprimersi e questo anche perché il capoluogo campano ha sempre avuto un feeling particolare con i giocatori argentini.
“Quando sono arrivato a Napoli, andando al ristorante per la prima volta, al momento del conto il proprietario mi disse che non avrei pagato. Erano già stati ripagati dal calcio di Maradona negli anni precedenti. Fu questa una cosa che mi colpì molto”.
Ayala per il Napoli può rappresentare realmente una sorta di alter ego di Fabio Cannavaro. Non è altissimo, ma di testa è molto forte. Ha un grande senso della posizione, è veloce ed ha una naturale predisposizione per l’anticipo. E’ insomma un giocatore di spessore e nel cuore della difesa azzurra trova un partner ideale: André Cruz.
Se l’argentino era l’elemento che garantiva forza ed esplosività, il brasiliano era un giocatore dal sinistro eccezionale capace come pochi di impostare l’azione. Il Napoli insomma non è una grande squadra, ma può contare su una difesa che, completata da Baldini e Tarantino, può coprire nel migliore dei modi un portiere importante come Taglialatela.
Quella partenopea si rivelerà una squadra capace di segnare pochissimo, tanto che sarà le seconda meno prolifica del torneo, ma chiude comunque il campionato 1995-1996 ad un dignitoso dodicesimo posto grazie alle prove del suo reparto difensivo.
Ayala intanto ha già conquistato Napoli ed il Napoli e al termine della stagione il suo cartellino viene riscattato. La squadra viene affidata a Gigi Simoni e parte così forte da arrivare alla sosta natalizia da seconda forza del campionato alle spalle della sola Juventus, ma nel girone di ritorno qualcosa si rompe, Ferlaino esonera il tecnico poiché ha già in mano un accordo con l’Inter e l’annata si chiuderà con un tredicesimo posto e con una sconfitta in finale di Coppa Italia contro il Vicenza.
La sensazione di molti è quella che le basi per far meglio nella stagione successiva ci siano tutte, ma la realtà dice che la società è di nuovo chiamata a fare i conti con una crisi finanziaria senza precedenti. Il Napoli deve cedere tutti i suoi pezzi pregiati e tra i più corteggiati c’è proprio Ayala che in azzurro si è imposto al punto da diventare, dopo Maradona, il secondo capitano non italiano della storia del club.
‘El Raton’ resta all’ombra del Vesuvio, mentre uno dopo l’altro fanno le valigie Boghossian, Pecchia, Colonnese, Milanese e Cruz. Quella della quale è leader assoluto, oltre che uomo di maggior spicco, è una squadra semplicemente non attrezzata per affrontare il torneo. Sulla panchina dei partenopei siederanno nell’ordine Mutti, Mazzone, Galeone e Montefusco, nessuno riuscirà ad estrarre molto da quello che è stato messo a disposizione. I punti al termine del campionato saranno appena 14 che vorranno dire inevitabilmente retrocessione.
Ayala, che si appresta a giocare i Mondiali del 1998, non è ovviamente giocatore da Serie B e a bussare alla sua porta sono in tanti. A muoversi con più forza è il Milan che, reduce da due annate estremamente deludenti, nell’anno del centenario ha deciso di dare il via ad una vera e propria rivoluzione.
La squadra viene affidata ad Alberto Zaccheroni, tecnico architetto del ‘Miracolo Udinese’ che proprio da Udine si porta con sé i fedelissimi Bierhoff ed Helveg e che individua fin da subito in Ayala l’elemento perfetto da inserire nel pacchetto difensivo del suo 3-4-3. Il Milan lo accontenta e versa nelle casse del Napoli ben 18 miliardi per assicurarsi il campione argentino, ma per lui le cose in rossonero semplicemente non funzioneranno.
GettyNel corso dell’estate nessuno ha il minimo dubbio nell’inserirlo in un undici di partenza che lo vuole tra Costacurta e Maldini davanti a Lehmann, ma fin dalle prime battute del campionato appare chiaro a tutti che in realtà Zaccheroni ha individuato in un altro giocatore l’elemento giusto per chiudere il suo trio di difesa: è Luigi Sala, giovane centrale arrivato dal Bari, che dalla nona giornata si prende la maglia da titolare e non la lascia più.
Per Ayala i mesi scivolano via tra tanta panchina, seduto al fianco di quel Cruz con il quale tanto bene aveva fatto al Napoli, ed appena undici presenze di un campionato che comunque si chiuderà, in maniera quasi inaspettata viste le premesse di inizio stagione, con la conquista di uno storico Scudetto.
La sua seconda annata in rossonero si apre in modo molto diverso. Sono sei le presenze da titolare nelle prime sette giornate di campionato e anche in Europa i galloni da titolare sono i suoi. Le qualità delle sue prestazioni non sono però all’altezza delle aspettative e così da un momento all’altro si riscopre nuovamente elemento marginale della rosa.
L’uomo che doveva essere uno dei pilastri immaginati dal Milan per il suo nuovo ciclo, all’ombra del Duomo non dimostrerà praticamente mai di cosa è capace, tanto che da molti verrà ricordato soprattutto per una gomitata ricevuta in un derby da Ronaldo, che varrà una delle due espulsioni rimediate dal Fenomeno nel corso della sua carriera.
“Io sono andato per proteggermi e lui è stato furbo. Ha simulato. Mi ha insultato e minacciato per tutta la partita, questo non è calcio”.
Ayala d’altronde era un duro in campo e la cosa è stata certificata molti anni dopo anche da Christian Vieri.
“Lui era tremendo, era uno che ti spaccava in due. Sembrava che avesse i chiodi in testa, quante testate che ho preso”.
Quando il difensore argentino lascerà nel 2000 il Milan, lo farà con appena 35 presenze complessive all’attivo e accompagnato da quella sensazione diffusa che la sua sia già una carriera incamminata verso il viale del tramonto. Non è un caso quindi che in Italia non trovi nessuno pronto a scommettere su di lui, ma c’è in Spagna un tecnico, suo connazionale, che lo conosce alla perfezione e che sa che in realtà quel giocatore di 27 anni ha ancora moltissimo da dare.
Come Ayala ha giocato nel Ferro Carril, anzi è stato una leggenda del Ferro Carril, è un ex difensore e vede nel ‘Raton’ quel giocatore ordinato e disciplinato al quale affidare l’intera organizzazione del reparto difensivo, una sorta di sua estensione in campo: Hector Cuper.
Il Valencia lo fa suo per una cifra che si aggira sui cinque miliardi di lire, meno di un terzo di quando sborsato un paio di anni prima dal Milan, e nel prenderlo si assicura un giocatore che si guadagnerà un posto d’onore tra i grandi dell’intera storia del club.
Getty ImagesIn Spagna Ayala rinasce e diventa il leader di una difesa fortissima, il reparto meno battuto dell’edizione 2000-2001 della Champions League, quella nella quale il Valencia per la seconda volta consecutiva riesce a spingersi fino in finale.
Le difficoltà delle due annate vissute in rossonero diventano rapidamente solo un vago ricordo e anche quando Cuper si trasferisce in Italia per diventare allenatore dell’Inter, il tecnico che lo sostituisce, Rafa Benitez, lo pone subito al centro del suo progetto.
Vince nel 2002 una Liga da grande protagonista e diventa l’oggetto del desiderio di un Real Madrid che, alla ricerca dell’erede di Fernando Hierro, arriverà ad offrire fino a 14 milioni di euro pur di portarlo in blanco.
L’affare non va in porto e Ayala resta a Valencia dove vincerà un altro campionato, una Coppa UEFA ed una Supercoppa Europea.
Lascerà la squadra solo nel 2007, quando non troverà un accordo con il club per il rinnovo, per ripartire dal Villarreal, ma la maglia del ‘Sottomarino Giallo’ non la indosserà mai. Pochi giorni dopo la firma infatti, il Real Saragozza sborsa la cifra prevista dalla sua clausola rescissoria per portarlo in maniera clamorosa tra le sue fila.
E’ l’anno dell’addio alla Nazionale, che comunica dopo una dolorosa sconfitta in finale di Copa America contro il Brasile. Sarà l’ultima presenza con l’Albiceleste e sarà scandita da un’autorete.
Non il modo migliore per chiudere, ma quella partita complicata non può nemmeno lontanamente cancellare quanto ha fatto per l’Argentina. Dal 1994 al 2007 ha infatti giocato per la sua Nazionale 115 gare, cosa questa che fa di lui, dopo Mascherano, Zanetti e Messi, il giocatore con più presenze in assoluto.
Quando nel 2010 appenderà gli scarpini al chiodo, dopo un’ultima parentesi in patria al Racing, lo farà dopo essere stato eletto miglior difensore della storia del Valencia, dopo aver preso parte a tre Mondiali e quattro Coppe America, dopo aver vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene ed essersi guadagnato a pieno merito lo status di leggenda nel suo Paese.




