E’ passato poco più di un mese dalla finale di Coppa Italia che ha sancito la vittoria della Juventus ai danni dell’Atalanta che, per la seconda volta nelle ultime tre stagioni, ha visto sfumare la possibilità di conquistare una coppa proprio sul più bello. Un trofeo che avrebbe impreziosito il quinquennio d’oro della formazione bergamasca, coinciso con l’approdo in quel di Bergamo di Gian Piero Gasperini, capace di trasformare la compagine orobica in una nobile del pallone nostrano.
La sconfitta nell’ultimo atto della coppa nazionale ha spento il sogno di una città e di un popolo che sognavano di replicare la magica serata di cinquantotto anni fa che permise alla Dea di mettere in bacheca quello che, ad oggi, rimane l’unico trofeo ufficiale vinto.
Per intenderci è necessario riavvolgere il nastro sino al 2 giugno 1963, giorno della finalissima di Coppa Italia tra Atalanta e Torino, chiamate a contendersi la coccarda nazionale sul palcoscenico dello Stadio San Siro di Milano. La Dea approda all’appuntamento al culmine di un grande percorso e la prima tappa della marcia trionfale a tinte nerazzurre è rappresentata dal derby lombardo contro il Como, dove i bergamaschi faticano più del previsto prima di avere la meglio.
Al 'Sinigaglia' l’Atalanta la indirizza subito grazie alle reti di Da Costa e Domenghini ma i ‘lariani’ risalgono la china nel segmento finale di partita e acciuffano l’insperato 2-2 sull’asse Carminati-Morelli. Verdetto rimandato ai tempi supplementari, dunque, dove per staccare il pass qualificazione serve un altro squillo di Domenghini e il punto esclamativo targato Nova che mette a referto il definitivo 2-4.
La formazione allenata da Paolo Tabanelli fa suo il primo round e accede di diritto al tabellone dei sedicesimi di finale. Al ‘Brumana’ – attuale Gewiss Stadium – arriva il Catania e il fattore campo sorride agli orobici, che sbrigano la pratica grazie alla doppietta di Christensen . Di Caceffo il punto della bandiera di marca siciliana, insufficiente però per sovvertire l’inerzia di una qualificazione mai stata in discussione.
La Dea vola ai quarti e il sorteggio le riserva il confronto contro il Padova, da disputarsi nuovamente nel fortino di casa che si rivela sempre più talismano nelle notti di coppa. I nerazzurri non tradiscono le aspettative e dopo un primo tempo di totale ‘stallo’ rompono gli indugi nella seconda frazione di gioco: Da Costa al 50’ e Calvanese dieci giri d’orologio più tardi blindano ogni discorso a tripla mandata e griffano il passaggio in semifinale.
A differenza di quanto avviene ai giorni nostri anche la semifinale si gioca in gara ‘secca’. Un dentro-fuori senza appelli, insomma, e per la terza gara consecutiva l’Atalanta gioca con il favore del pubblico. Morale della favola? Arriva un’altra vittoria, di misura, contro il Bari: pugliesi piegati dalla terza rete nel torneo del brasiliano Da Costa.
Percorso netto, senza intoppi. La Dea vestita di nerazzurro infila quattro vittorie di cui tre nei tempi regolamentari e conquista, di forza, la prima finale della sua storia. L’ultimo ostacolo che la separa dall'alloro tricolore è il Torino. I granata sono una delle squadre più vincenti del panorama italiano a fronte di sei scudetti e due coppe nazionali vinte e proprio con le finali in gara secca vantano una tradizione più che favorevole, vedere per credere i due successi in altrettante partecipazioni.
L'obiettivo dichiarato in casa piemontese è quello di riportare nel capoluogo il primo titolo successivo alla tragedia di Superga del 4 maggio 1949 dove persero la vita tutti gli esponenti del ‘Grande Torino’.
Dopo aver superato la Triestina ai supplementari e il Bologna soltanto ai calci di rigore con Benjamin Santos in panchina, il Toro cambia passo alle porte del 1963 quando il tecnico argentino viene esonerato e sostituito da Giacinto Ellena. Con l’allenatore italiano al timone vengono regolate anche Sampdoria e Verona, ultimi ostacoli prima della sfida decisiva all’Atalanta.
Si arriva, quindi, alla calda serata milanese del 2 giugno. Gli orobici schierano la formazione tipo che vanta ben sette bergamaschi su undici: Pizzaballa, Pesenti, Nodari, Veneri, Gardoni, Colombo, Domenghini, Nielsen, Calvanese, Mereghetti e Magistrelli. Risponde il Torino con Vieri, Poletti, Buzzacchera, Bearzot, Lancioni, Rosato, Danova, Ferrini, Hitchens, Peirò e Crippa.
Come ogni finale che si rispetti, ci si attende un confronto all’insegna dell’equilibrio ed invece si assiste ad un autentico monologo dove a recitare la parte dell'attore protagonista è uno scatenato Angelo Domenghini. Il numero 7 la sblocca al 4’ infilando Vieri di testa sugli sviluppi di una punizione calciata da Nielsen. Il centrocampista – che in carriera ha giocato anche nell’Inter ed è stato inserito nella ‘Hall of Fame’ del Cagliari – si ripete anche al 48’ inserendosi sul tocco di Magistrelli prima di scaricare sotto la traversa un mancino di rara potenza.
A dieci dalla fine Domenghini mette il punto esclamativo sul proprio personale show, vincendo un rimpallo con un difensore granata prima di mettere a sedere Vieri e depositare in rete il pallone del 3-0, quello della tripletta personale. La Coppa Italia prende inevitabilmente la strada di Bergamo e la rete di Ferrini non rovina la festa.
I bergamaschi festeggiano il primo grande trofeo a 56 anni di distanza dalla fondazione del club. Un titolo centrato al primo tentativo buono ma che, da quel momento, trasformerà in un vero e proprio tabù il rapporto tra l’Atalanta e la Coppa Italia. Nel corso degli anni, infatti, seguiranno altre quattro finali dal retrogusto amaro: nel 1987 arriva la sconfitta 3-0 per mano del Napoli, nel 1996 il doppio ko contro la Fiorentina (1-0 e 0-2 con il format andata-ritorno), fino ad arrivare ai recenti tonfi contro Lazio e Juventus datati 2019 e 2021.
Una sorta di maledizione che il popolo atalantino sogna di spezzare al più presto, per rivivere una notte da sogno come quella indimenticabile del 2 giugno 1963.


