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Genoa-Siena maglie GFXGoal

"Via le maglie", ma Sculli non ci sta: Genoa-Siena, la gara dell'assurdo

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Dare la maglia, sudare la maglia, ricevere la maglia: un gesto così semplice, ma dal significato simbolico immenso, intriso d'appartenenza a un ideale calcistico e a una squadra. Marchio indelebile che ti accompagna sempre, nel bene e nel male: in qualche modo, fa parte di te.

Riconoscersi e non lasciarsi: in una parte del globo tra quelle in cui viene praticato uno dei migliori prodotti dell'uomo, il calcio, per qualche ora la concezione stessa di maglia è venuta meno, esasperata fino allo storpiamento dei sensi e per questo motivo persino vituperata, tra lo stupore generale. È la storia di uno dei più incomprensibili episodi che la Serie A abbia regalato negli ultimi anni: è la storia di una domenica pomeriggio genovese surreale.

La stagione 2011/2012 non è tra le migliori vissute dal Genoa, pur con un inizio non tra i peggiori: quello vissuto dai club della massima serie, comunque, è un precampionato atipico, fatto di scioperi dei giocatori e possibili rinvii. In ogni caso, e in qualche modo (con la prima giornata recuperata a dicembre), si comincia. E il Grifone non fa poi così male: sette punti in tre partite con Alberto Malesani in panchina, sulla scia dell’entusiasmo dell’anno passato, culminato, in termini di emozioni, con il derby della lanterna che, di fatto, condannò la Sampdoria a una clamorosa Serie B. Genova, sponda rossoblù, piazza esigente, si aspetta conferme: ciò che arriva, invece, è un girone d’andata altalenante e uno di ritorno quasi disastroso.

Una prima avvisaglia di crollo i tifosi genoani la ricevono prima della pausa natalizia, nel recupero della prima giornata contro il Napoli: 6-1 al San Paolo ed esonero per Malesani (che poche settimane prima sarà protagonista dell'ormai celebre conferenza del "Mollo? Ma che mollo?"). Al suo posto, Pasquale Marino: il Grifone sembra rialzare la testa, ma il rendimento lascia poco spazio all'immaginazione. Una vittoria, una sconfitta, una vittoria, una sconfitta: l'esperienza dell'ex allenatore di Catania, Udinese e Parma dura quattordici gare, dopo quasi due mesi senza successi. Preziosi richiama Malesani: ma non è ancora finita. Se c'è un mese in cui si decidono in maniera sostanziale i campionati, quello è senz'altro aprile.

Alla fine dello stesso mese il Genoa è quart'ultimo a più due dal Lecce, terz'ultimo e in zona retrocessione: il rischio di essere risucchiati è vivo e si presente di domenica in domenica. Il 22 aprile al Ferraris si presenta il Siena, che ha tre punti di vantaggio sui rossoblù e cerca quella che sarà, alla fine, la sua ultima salvezza in Serie A: all'intervallo i bianconeri conducono per 0-3.

Al rientro dagli spogliatoi i tifosi assistono a un'altra rete subita, quella di Giorgi per lo 0-4 momentaneo al 49': esplode il finimondo. In tutti i sensi. Lancio di fumogeni e cori contro i giocatori di casa: contestazione in linea con quanto visto qualche settimana prima, dopo l'1-1 contro il Cesena. Ma non solo. "Via le maglie", urlano alcuni tra gli esponenti del tifo organizzato: il clima diventa surreale. Nessuno sa bene cosa fare. La partita, intanto, già sospesa, non importa più a nessuno.

Il capitano, Marco Rossi, scortato dalle forze dell'ordina prova a dialogare: gli ultras, però, sembrano dettare condizioni, più che instaurare un confronto. Il nulla, per qualche minuto, interminabile: Tagliavento, arbirtro di quella sfida, fa rientrare le squadre negli spogliatoi. La prima a lasciare il campo è il Siena, mentre il Genoa rimane sul rettangolo verde. Rossi ordina ai suoi di togliersi la maglia, seguendo il diktat dei gruppi organizzati. Non tutti, però, lo ascoltano.

Giandomenico Mesto oppone resistenza, poi cede: Giuseppe Sculli no. Rimane con la maglia addosso, quindi si dirige verso i capi ultras. "Me la devo togliere anche io?", chiede. Si arrampica sul muro che divide il campo dagli spalti, raggiunge una tregua: i compagni rimettono la casacca di gioco rossoblù. Si gioca.

"Spero a questo punto che ci venga squalificato il campo ed andremo così a giocare fuori in maniera più serena", dirà il presidente, Enrico Preziosi, sceso sul terreno verde in quei momenti assurdi. Tutto il mondo del calcio rimane attonito, in un periodo già caratterizzato da momenti delicati, ultimo tra tutti la morte di Permario Morosini (avvenuta una settimana prima).

La gara, per la cronaca, riprese e si concluse per 1-4: da lì in poi, i dibattiti su quanto accaduto, prima affrontati nei salotti TV, passarono in aula, in un processo che coinvolse sia alcuni degli esponenti del tifo organizzato del Genoa, sia lo stesso Sculli: "Andai da uno di loro, che conoscevo, per dirgli che se l'arbitro Tagliavento sospendeva la partita per i disordini il Genoa avrebbe avuto una penalizzazione che significava retrocessione certa. Insomma volevo solo calmare la situazione".

Di quella domenica, però, non resta che l'amaro in bocca, misto al senso di farsa, generato dalla scena: una situazione placata solo dal totale svuotamento della cisterna interna della rabbia, a tal punto da giustificare persino la sconfitta, prima della calma ristabilita. Un nuovo ordine che però non può cancellare quanto accaduto: quarantacinque minuti di sospensione che rimarranno nella storia del calcio italiano, tra i più assurdi mai vissuti.

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