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Wenger Arsenal FarewellGetty Images

Il mito Arsène Wenger: l'uomo che ha cambiato la storia dell'Arsenal

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Basterebbe solo il nome. Arsène. Arsenal. Sembrava già tutto scritto, sin dall’inizio. Eppure, pensare a un rapporto lungo 22 anni nel calcio rasenta quasi la follia. Legarsi in modo indelebile e per certi versi inderogabile a un solo club è raro, specialmente per gli allenatori. Wenger, però, lo ha fatto. Andando sempre per la sua strada. A volte vincente, in alcuni casi meno. A modo suo. L’Arsenal di Arsène, dall’inizio alla fine, dal 1996 al 2018.

Quando nel settembre di 26 anni fa i londinesi decidono di affidarsi all’uomo che ne avrebbe cambiato la storia, non tutti erano così convinti. Già la scelta di un manager non britannico era già un primo punto di rottura con le abitudini inglesi. Wenger veniva dopo il deludente interregno di David Rioch, ma soprattutto dal decennio sotto George Graham, il quale aveva reso l’Arsenal un club magari poco spettacolare, ma tremendamente solido.

In più, l’allenatore alsaziano classe 1949 aveva trascorso la stagione precedente non in un top campionato, anzi, addirittura fuori dall’Europa: in Giappone, con i Nagoya Grampus in cui militava l’ex Stella Rossa e Marsiglia Dragan Stojkovic e fino a un anno prima anche Gary Lineker. Era stato contattato dai vertici della Toyota, la società che gestiva il club, nel suo periodo di lavoro con la FIFA (era membro del comitato tecnico). Gli era stata offerta una sfida diversa, nuova. L’aveva accettata, anche se la squadra era ultima in classifica. Nel giro di una stagione ne ha ribaltato le sorti, portandola fino al secondo posto e alla vittoria della Coppa dell’Imperatore e in Supercoppa. Curiosamente, prima della stagione della rinascita aveva deciso di andare in ritiro a Versailles con il gruppo. Una svolta.

L’artefice del suo arrivo all’Arsenal è stato David Dein, il vice-presidente del club. Per riuscire a portare l’allenatore alsaziano a Londra il corteggiamento è durato sette anni, come ha raccontato alla ‘BBC’.

“Lo conoscevo, ma fino al 1989 non ci avevo mai parlato. Poi all’improvviso l’ho visto ad Highbury a vedere una partita. Era lì per caso. Mia moglie lo ha avvicinato e ha iniziato a parlargli. Poi all’intervallo l’ho raggiunto, abbiamo parlato un po’ e la sera è venuto a cena con noi. Siamo andati spesso in Francia a vedere le partite del suo Monaco.

Nel 1995, con le dimissioni di Graham, volevo Wenger, ma il board non era convinto di un allenatore che veniva da fuori. Volevano qualcuno che conoscesse il calcio inglese. Abbiamo scelto Rioch. Lui intanto era andato in Giappone, gli mandavo i video delle vecchie partite e poi via fax mi mandava i suoi commenti”.

Arsene Wenger | Arsenal | 1996

Grazie alla concessione del club nipponico, l’1 ottobre 1996 è iniziata l’era Wenger all’Arsenal. Non benissimo, per la verità. Era stato accolto da titoli di giornale che mettevano in dubbio le sue capacità. “Arsène chi?” era il titolo più gettonato.

Neanche i giocatori sembravano molto convinti, tanto che al momento dell’annuncio da parte della dirigenza al gruppo qualcuno se ne uscì con un “e chi ca… è?”. Stop all’alcol, stop al junk food. I calciatori chiedevano il permesso di bere, puntualmente veniva negato. Una specie di shock culturale.

“All’inizio mi chiedevo cosa potesse sapere quel francese di calcio. Sembrava più un maestro di scuola con quegli occhiali. Non sarebbe mai stato all’altezza di Graham. Non ero neanche sicuro che parlasse bene inglese - ha rivelato in seguito Tony Adams al ‘Telegraph’ - Avrebbe messo a rischio la nostra stagione con tutte quelle decisioni”.

Per chi conosceva Wenger, come Dein, queste cose non erano certamente nuove. In Francia si era fatto conoscere più come allenatore che come calciatore, nonostante qualche anno nello Strasburgo, la sua città natale. Sin da giovane studiava da manager e viaggiava nella vicina Germania per andare a vedere partite. Era più apprezzato per le sue abilità cognitive, anche in campo, sebbene la sua carriera sia stata soprattutto nelle serie inferiori o nelle squadre riserve, anche se verso i trent’anni ha raccolto anche qualche presenza con la prima squadra dello Strasburgo. Il suo futuro però era in panchina. Erano tutti concordi.

Un anno di apprendistato al Cannes, poi una telefonata da Aldo Platini, il presidente del Nancy, dove il figlio Michel aveva mosso i primi passi da calciatore. Con la prima carica da manager, è arrivata anche la prima rivoluzione culturale in una squadra senza aspettative, risalita fino a metà classifica grazie alle intuizioni dell’allenatore e alle decisioni extra campo, come l’assunzione di un dietologo che seguisse i giocatori.

Nemmeno i deludenti risultati nelle due annate successive - con la cessione di gran parte dei giocatori in rosa e la retrocessione del 1987 - avevano messo in dubbio le doti di Wenger, che nel 1987 sarebbe stato contattato dal Monaco.

Nel Principato il tecnico alsaziano è rimasto per 7 anni, allenando sì giocatori importanti come l’ex Inter Ramon Diaz, Hoddle, Klinsmann, l’ex Juve Rui Barros o Enzo Scifo dopo la parentesi al Torino. Ha anche vinto il campionato nel 1988, al primo anno. Le sue migliori soddisfazioni però sono state la crescita di talenti sopraffini come Petit e Grimandi, che avrebbe ritrovato all’Arsenal, o di un altro centrocampista d’élite come Djorkaeff, fino ad arrivare ai due più grandi, Lilian Thuram e George Weah. Partiti dal Monaco, arrivati alla leggenda.

Soprattutto, l’eredità più grande, l’esordio del suo Thierry Henry - l'uomo con cui poi ha fatto la storia all'Arsenal, prendendolo dalla Juventus - il 31 agosto 1994. Contro il Nizza, da titolare. Due settimane dopo avrebbe lasciato il club. Lo aveva cercato persino il Bayern Monaco, nel frattempo. Invece scelse l’avventura giapponese. Scelta particolare, ma che gli ha permesso poi di arrivare alla guida dell’Arsenal.

Il resto è storia. Letteralmente. Il 12 ottobre 1996, la prima partita da manager dei Gunners contro il Blackburn, vinta per 2-0 grazie a una doppietta di Ian Wright. La prima di 1235 partite, la prima di 716 vittorie, la prima di una lunga storia che ha fatto di Wenger un mito per l’Arsenal.

Il capolavoro, indubbiamente, rimane la vittoria della Premier League 2003/04 da imbattuto, unico a riuscirci negli ultimi cent’anni nella massima serie inglese, con una squadra costruita a propria immagine e somiglianza. Ne aveva già vinta una nel 1998 e una nel 2002, ma la vera impresa fu con la squadra che ancora oggi i tifosi dell’Arsenal conoscono a memoria, come un mantra. Lehmann, Lauren, Touré, Campbell, Cole, Ljungberg, Gilberto Silva, Vieira, Pires, Henry, Bergkamp. Il perfetto mix tra concretezza ed estetica.

PS WengerGoal

Oltre il campo, Wenger nella storia dell’Arsenal ha giocato un ruolo chiave anche a livello istituzionale. Al momento della sua assunzione nel 1996, gli erano stati dati pieni poteri manageriali anche sul mercato. Con il passare degli anni e con il consolidarsi della sua posizione - che nelle prime stagioni era stata messa in dubbio in più di una circostanza, con tanto di sfuriate rivolte alla stampa dal tecnico - le sue competenze si sono allargate fino a renderlo un plenipotenziario.

Si è preso la responsabilità della costruzione di un nuovo impianto, l’Emirates Stadium, dicendo addio a quello che è stato un simbolo per l’Arsenal e per la sua storia, cioè Highbury.

“C’era qualcosa di speciale ad Highbury. A volte ci passavo solo per piacere, perché era un posto speciale. C’erano finestre nello spogliatoio, i giocatori parlavano con i tifosi all’esterno.

Nella costruzione dell’Emirates sono stato coinvolto in prima persona, anche dal punto di vista tecnico, ho lavorato con gli architetti. Ho spinto il club a farlo perché avevamo bisogno di più pubblico. Era un progetto difficile anche sotto il profilo finanziario.

Guardare oggi l’Emirates, che abbiamo costruito solo con gli sforzi del club senza finanziatori esterni, mi rende orgoglioso”.

Arsene Wenger Arsenal EmiratesGetty Images

Sotto il suo regno è stata ricostruita l’academy di Hale End, il centro d’allenamento è stato rimodernato. Tutti passi che oggi vengono dati per scontati, ma non erano tali quando Wenger aveva preso le redini del club.

Lo stesso Emirates che il 6 maggio 2018 lo ha salutato in una commossa cerimonia d’addio. Da tempo gran parte della tifoseria lo voleva lontano dalla squadra, specie per le difficoltà sul mercato, l’opposizione alle grandi cifre che circolavano - celebre la frase su Rob Holding, prelevato dal Bolton per 2 milioni: “Scusate se non è costato 50 milioni” - e per l’assenza di trofei tra il 2005 e il 2014. Negli ultimi quattro anni la conquista per tre volte dell’FA Cup non è bastata. Uno striscione ha campeggiato all’Emirates per anni: “Arsène, thanks for the memories but it’s time to say goodbye”. “Grazie per ciò che hai fatto, ma è ora di salutarci”.

“Il mio cuore è ancora lì, ci penso sempre molto. Sono fiero di ciò che ho fatto. Soprattutto dell’attitudine che ho avuto nel mettermi a disposizione nel club”.

Fuori dall’impianto che ospita le gare interne dei Gunners ci sono le statue di Henry e Bergkamp, di Tony Adams, Ken Friar ed Herbert Chapman. All’interno del Directors Diamond Club, il lounge che dà accesso alla pancia dello stadio, ci sono i mezzi busti dei dirigenti e dei tecnici: Dennis e Peter Hill-Wood, Chapman, Friar e, ovviamente, Wenger. Per la statua all’esterno, comunque, è solo una questione di tempo.

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