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Lionel Messi Australia ArgentinaGetty

Il sorriso della "mistica" e dell'Argentina: Lionel Messi ha fatto pace con il calcio

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Alla voce "Sangre y Corazon", nel grande libro della storia del calcio, è possibile trovare la fatiche dei campioni persi nelle loro stesse imprese: per uno dei più assurdi motivi, il paragone con "l'altissimo", nel vortice delle leggende costrette a scontare la propria pena calcistica ci era finito anche Lionel Messi, in un dato periodo della sua carriera.

La "Pulga" non ne aveva bisogno: qualcuno, però, il bisogno di inserirlo tra i "dannati", coloro che non sono riusciti a completarsi e a completare il loro percorso, la loro missione, lo sentiva, quasi fosse una colpa gravissima quella di non aver ancora vinto con la Seleccion. Per Messi il discorso Argentina non è mai stata una questione semplice, neanche dopo la conquista della Copa America del 2021 che sembrava aver riallineato gli astri e la concezione comune relativa al talento infinito di uno dei più grandi della storia di questo sport.

Il motivo sta, come spesso accade, nelle premesse: una su tutte, il paragone con Diego che per molti Leo può cancellare, archiviare, "risolvere" solo dopo un'ipotetica conquista di una Coppa del Mondo. "L'altissimo", "D10S", non è facile da spiegare razionalmente: Maradona è riuscito in qualcosa in cui Messi non riuscirà mai, trascinare non solo una squadra, ma un intero popolo in paradiso, in un'epoca in cui farlo sembrava sostanzialmente impossibile. Il calcio si è evoluto: l'Argentina ha più volte avuto la possibilità di tornare sul tetto del mondo grazie ai suoi campioni, e se non ci è riuscita è stato non perché il più grande tra loro, Messi, non è stato all'altezza, ma perché imprese come quella di Diego, capace di caricarsi sulle spalle il peso della sua squadra, non sono più realizzabili. Basterebbe riflettere su questo.

Forse c'è altro, comunque, nel sorriso spento che ha caratterizzato gli ultimi anni della carriera di Messi, che dopo il trasferimento al PSG sembra aver perso anche un po' della sua "magia", ma non quella "mistica" che lo ha sempre contraddistinto: il mancino è lo stesso di sempre, il fiato si accorcia con l'avanzare dell'età. Le rughe, rese pesanti dalla barba, non tradiscono lo scorrere del tempo: si stende, sorridente, Leo dopo aver creato l'ennesima occasione della sua gara, nel recupero contro l'Australia. La partita che lo ha riconciliato con il calcio.

Lionel Messi Argentina Australia WCGetty

La sua "millesima" in carriera, la ventitreesima in un Mondiale (raggiungendo Paolo Maldini, a meno uno da Miroslav Klose e a meno due da Lothar Matthaus, che a quota venticinque guida la speciale classifica): li ha visti crescere praticamente tutti, i suoi compagni. A trentacinque anni non è il più anziano della rosa allestita da Lionel Scaloni per vincere il Mondiale, ma ne è il capitano. La guida spirituale: gli altri lo guardano come si guarda un semi-Dio, in campo e fuori. A fine gara corrono ad abbracciarlo, ma non si lasciano trascinare, semmai ne seguono le orme: questa, forse, la più grande differenza con l'Argentina di Diego.

Che torna presente nella consapevolezza generale che forse, e fino a prova contraria offerta come sempre dal campo, ci si trovi di fronte al momento in cui anche Maradona può essere messo da parte, finalmente: quello in cui Leo può risolvere uno dei paragoni più pesanti e insensati della storia. Diego è Diego. Lionel è Lionel. E basta.

Al "Vamos, vamos Seleccion", intonato da tutto lo stadio, con diversi campioni del passato presenti, si è fermato nuovamente il tempo, aprendo quel varco dimensionale che ha restituito al mondo l'immagine di un Messi che non solo non "gioca da fermo" (come qualcuno aveva precisato), ma che sorride dopo ogni giocata. All'incrocio sfiorato, dopo la danza sul posto che ha mandato al bar mezza difesa dei Socceroos nel finale di partita, a qualcuno deve essere venuto in mente il giovane Leo: al goal del primo tempo (il suo nono ai Mondiali, uno in più di Diego e uno in meno di Gabriel Omar Batistuta, e il suo primo in una fase a eliminazione diretta nella competizione), invece, tutto il mondo si è riconosciuto nello scorrere degli anni. Siamo tutti più grandi: siamo cresciuti. Lo abbiamo fatto con Messi.

E Messi è cresciuto con noi, con il popolo argentino e con l'Argentina: con i suoi compagni, nel segno della "mistica". Steso a terra guarda il cielo: è stremato, ma contento. Ha offerto calcio, si è nutrito dello stesso: la prossima tappa è l'Olanda, ma forse ha capito. Cosa che dovrebbero far tutti: l'impresa più grande, a trentacinque anni, non è (solo) vincere un Mondiale. E' riconciliarsi con l'idea di potersi divertire: con la consapevolezza che i paragoni con Diego non reggono, se non nella mente di pochi. Più in generale, con il calcio.

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