
La finale di Champions League del 1997 è passata alla storia come ‘la rivincita degli ex’. Quelli che avevano lasciato la Juventus per sposare il progetto del BorussiaDortmund di Ottmar Hitzfeld. Due titoli di Bundesliga nel 1995 e nel 1996, poi il bersaglio grosso, grossissimo. Paulo Sousa, Jürgen Kohler, Stefan Reuter, Julio Cesar. Passati dal bianconero e poi ceduti al club tedesco. Alcuni flop a Torino, altri che hanno lasciato un buon ricordo. E poi c’era Andreas Andy Möller. Probabilmente il più forte di tutti. “Il più grande talento del calcio tedesco” di inizio anni ’90 secondo Beckenbauer. “Mozart” per Otto Rehhagel. Lui sì che a Torino aveva impressionato. Ma la coppa più ambita l’ha alzata con i gialloneri. Dopo averli battuti. Essere un ex, per lui, non è mai stato un problema.
Classe 1967, nato a Francoforte, cresciuto nell’Eintracht. Si è subito imposto come uno dei migliori talenti in circolazione in tutta la Germania. Tanto che a 23 anni si è guadagnato la chiamata della Mannschaft per il Mondiale in Italia del 1990. Vinto. L’inizio di una carriera in cui si è tolto ogni soddisfazione possibile. Mondiale e Europeo con la Nazionale, Bundesliga e Champions League, Coppa UEFA e DFB-Pokal, Supercoppa di Germania e Coppa Intercontinentale. Tutto. Un palmarès quasi irripetibile. Da protagonista, sempre. Anche in Nazionale: 89 presenze, spesso capitano, sempre protagonista. Segnò il rigore decisivo dopo il celebre errore di Southgate nella semifinale di Euro 1996.
Getty ImagesEra diventato campione del mondo da giocatore del Dortmund, dove si era trasferito nel 1988. Prima di tornare a Francoforte, sponda Eintracht. Il richiamo di casa. Era un top, si è confermato ad un livello ancora più alto. Ed ecco le attenzioni internazionali, comprese quelle della Juventus. Nel 1992 sarebbe arrivato in bianconero, dopo una serie di peripezie che avevano messo in dubbio in più di un’occasione il suo passaggio alla Vecchia Signora.
‘Der Spiegel’ raccontò di un trasferimento complicato, con l’intervento addirittura della FIFA per fare chiarezza sull’accaduto. Möller avrebbe voluto giocare un anno in più a Francoforte, ma aveva già ceduto un’opzione d’acquisto ai bianconeri, i quali avevano deciso di esercitarla e portare il giocatore a Torino per l’appunto nell’estate del 1992. Opzione che peraltro i bianconeri stavano per cedere all’Atalanta, prima di tornare sui propri passi. Alla fine a luglio dopo l’Europeo è sbarcato al Delle Alpi, nella squadra di Trapattoni. A Torino non sapevano cosa si sarebbero persi se avessero deciso davvero di ‘regalare’ di fatto quell’opzione ai bergamaschi.
All'ombra della Mole non ci ha messo molto per trovarsi a suo agio. Giocava su tutto il fronte d’attacco, dialogava con Roberto Baggio - che aveva addirittura cambiato la sua posizione per coesistere con il tedesco: in quanti possono vantare una simile considerazione? - e con GianlucaVialli, anche lui appena arrivato a Torino. Un tridente che avrebbe portato i bianconeri fino alla finale di Coppa UEFA. Ironia della sorte, proprio contro il Borussia Dortmund. Quella finale sarebbe stata un ‘no contest’ in favore dei bianconeri, assolutamente dominanti. 3-1 e 3-0. Möller show. Imprendibile.
Getty ImagesForse è stato proprio in quelle serate che il Borussia Dortmund si è convinto di dover andare a riprendere il folletto che nel 1990 si era lasciato scappare. Anche se per la verità il ritorno a Francoforte di quell’anno era un desiderio dello stesso giocatore, comunque vincente, visto il bottino di 13 goal nella sua prima stagione nelle Adler. Un po’ come il ritorno in Germania. In fondo, Andy aveva le idee chiare. Si vedeva nel Dortmund. E sperava nel Dortmund.
Il suo addio alla Juventus è stato burrascoso ed è arrivato al termine di mesi in cui la magia sembrava lentamente svanire. Poco ingraziato al resto dello spogliatoio, pesante a bilancio, troppo per il rendimento. E poi qualcuno parlava di Roberto Baggio e Vialli arrivati a soffrirlo troppo. Tatticamente e non solo. Già all’inizio della sua avventura si era parlato di ‘intralci’. Si era vista qualche difficoltà in Serie A. Non certo in Coppa Uefa. Poi le cose sono cambiate.
La goccia che fece traboccare il vaso, scrisse ‘Repubblica’, fu un “mafioso” che Möller aveva sussurrato all’orecchio dell’arbitro Nicchi, che non era andata giù alla Juventus. Qualche decina di milioni di vecchie lire di multa. Aveva messo d’accordo una dirigenza che in quel momento non sembrava allineata. Era arrivato il momento dell’addio.
Dopo il suo addio, la Juve ha puntato sempre di più su Alessandro del Piero. Ha vinto la Serie A nel 1995 e la Champions League nel 1996. Möller comunque non è stato da meno. Due volte consecutive campione di Germania, in entrambi i casi da protagonista, poi nel 1997 il punto più alto della sua carriera a livello di club: la vittoria della Champions League. Ironia della sorte, di nuovo contro la Juventus. Una finale che aveva già visto e vissuto, insieme al compagno Kohler, quattro anni prima con la maglia bianconera. Era dalla parte dei vincitori. Anche in quell’occasione lo è stato. Con Riedle e la sua doppietta e poi il goal dalla distanza di Ricken. Con due assist partiti proprio dal piede destro di Andi. Dortmund sul tetto d’Europa, qualche mese dopo anche del Mondo, con il successo in Intercontinentale.
Getty Images"Fu la partita più importante della mia carriera - ha ricordato a Goal nel 2015, in occasione della sfida di Champions League tra i bianconeri e il club tedesco - qualcosa che ti resta dentro per sempre e che cambia il tuo modo di vivere il calcio”.
Anche in Bundesliga ha fatto storia. Non soltanto con i suoi colpi di talento. È stato infatti il primo giocatore squalificato per simulazione nella storia del calcio tedesco professionistico. Il 13 aprile 1995 un suo tuffo contro il Karlsruhe gli è costato due giornate di squalifica.
Nel 2000, a 33 anni, ha deciso di infiammare la rivalità tra il Borussia Dortmund e lo Schalke 04 andando a vestire la maglia del club di Gelsenkirchen dopo essere di fatto diventato una leggenda con il club giallonero. Mossa che gli è senza dubbio costata più di qualche punto di stima da parte dei tifosi gialloneri, che raramente hanno visto uno dei loro elementi storici andare a giocare nella squadra meno amata, per usare un ricco eufemismo. Un trasferimento che ha permesso a Möller di togliersi la fastidiosa etichetta di ‘piagnucolone’ che si è portato dietro per quasi tutta la sua carriera. Oltre che zittire chi lo pensava finito tra il 1999 e il 2000, quando sia il Dortmund che la Germania lo hanno ‘lasciato a piedi’.
“Questa campagna che è stata fatta per anni è diventata sempre più in voga nel tempo - ha raccontato a ‘Der Spiegel’ - Era troppo per me, ma ho trovato difficile difendermi. Non sono mai stato un giocatore che si è messo in scena attraverso duelli e gesti potenti. Il passaggio allo Schalke, un tipico club di lavoratori, dove i principi del lavoro onesto, delle maniche rimboccate e del sudore sono molto più pronunciati che altrove, ha sovvertito un po’ le sorti. Affermandomi anche qui come calciatore, ho potuto sistemare la mia immagine. Non ci sarei riuscito a Dortmund”.
Getty Images/GoalMöller per tutti era sul viale del tramonto, ma a Gelsenkirchen, voluto dal compianto Rudi Assauer, si era ritrovato. Vittoria della DFB-Pokal al primo anno, in finale contro l’Union Berlino. Alla faccia di chi lo dava per finito. Nel 2003 è tornato per un ultimo stint a Francoforte, nel suo Eintracht, senza più brillare. Stavolta sì, senza più benzina. Al termine di una carriera quasi ventennale e pluridecorata. Facendo sempre valere quella vecchia massima del goal dell’ex.




