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Quando Andriy Shevchenko sfiorò la Champions con la Dinamo Kiev di Lobanovsky

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Icona, simbolo, leggenda: Andriy Shevchenko è stato per la Dinamo Kyiv e per il calcio ucraino quello che oggi viene definito un ‘generational player’, un giocatore in grado di segnare un’era e di lasciare un’eredità che va ben al di là dei risultati sportivi.

Cinque stagioni in prima squadra e 94 goal nel periodo d’oro degli anni Novanta; altre tre tra l 2009 e il 2012, per il ritorno a casa prima di appendere gli scarpini al chiodo. Ma per raccontare cosa ha rappresentato e Shevchenko per l’Ucraina bisogna andare ben oltre i goal.

Mai poteva immaginare quel ragazzino smilzo, costretto a 10 anni a scappare da Kiev per sfuggire agli effetti del disastro di Chernobyl, di diventare il successore al trono di Oleg Blokhin, un’autentica divinità della storia del calcio ucraino. D’altronde non aveva neanche superato il test d’ingresso in una scuola sportiva di Kiev, corrispondente del nostro Isef: bocciato proprio all’esame di calcio, in una prova sul dribbling.

Ma nel suo destino c’era la Dinamo Kyiv, le cui porte si aprirono dopo essere stato notato da uno scout, Alexander Shapkov, durante un torneo amatoriale. Da lì il cammino nelle giovanili, la prima tappa italiana, ad Agropoli, nel 1989 per un torneo che lo vede protagonista di 5 goal in 20 minuti, fino all’approdo, nella stagione 1992-1993, alla seconda squadra della Dinamo Kyiv.

A suon di goal Shevchenko scala posizioni e arriva a meritarsi la chiamata della prima squadra, allora allenata da Josef Szabo, con il quale vince i suoi primi due campionati. Una storia, quella di Andriy, che può cambiare nel 1996, quando i dirigenti dello Sporting Gijon non se la sentono di sborsare l’equivalente di 1.5 milioni di euro per un attaccante promettente ma semisconosciuto. Ma la vera svolta è dietro l’angolo e arriva nella stagione 1996-1997, quella dell’incontro di Andriy con quello che diventerà il suo secondo padre: il ‘Colonnello’ Valery Lobanovsky.

"Lobanovsky è il Dio del calcio ucraino, la persona più importante, il padre del calcio ucraino”.

Andriy ShevchenkoGetty

Un incontro che contribuisce a render ancor più rigide e meticolose le abitudini di Andriy, che nonostante l’attenta e severa educazione data dal padre Nikolay, militare dell’esercito sovietico, stava iniziando a lasciarsi sedurre dalle sirene del successo e da qualche peccato di gioventù, su tutti il fumo. Leggenda narra che fu proprio Lobanovsky, con metodi drastici, a costringere Shevchenko a dire addio alle sigarette.

“Da giovane quando l'ho conosciuto pensavo tanto a me stesso, lui ha spiegato a tutti cosa significava lavorare con il collettivo. Ci ha aiutato a capire che con concentrazione, voglia e senso del gruppo si può battere qualsiasi avversario, anche più forte di te. Mi ha influenzato in tanti modi, mi ha fatto cambiare la visione del calcio, il modo di pensare anche come persona".

La crescita di Andriy è costante ed evidente: da talentuoso ma testardo solista a letale terminale offensivo di una macchina pressoché perfetta. La Dinamo Kyiv di quegli anni è un fenomeno oggetto di studio in tutta Europa, una squadra rimasta nell’immaginario collettivo per imprese memorabili, come la magica notte del Camp Nou. 5 novembre 1997, quarta giornata della fase a gironi di Champions League: gli ucraini si presentano in Catalunya da leader del gruppo C, forti del 3-0 rifilato all’andata al Barcellona di Rivaldo, Figo e Van Gaal. Ed è proprio sul prato che fino a pochi mesi prima aveva fatto da teatro alle magie di Ronaldo che Andriy Shevchenko si annuncia al mondo come ‘the next big thing’ del calcio europeo. Tre goal in un tempo, 44 minuti per ammutolire i 55mila de Camp Nou e fare innamorare tifosi e addetti ai lavori. Da lì i primi paragoni con il Fenomeno, che accompagneranno Sheva negli anni a venire, alimentati anche dalle opinioni taglienti dello stesso Lobanovsky.

“Ronaldo non migliora. L'ho visto una volta. Nel primo tempo e' rimasto fermo ad aspettare, finche' cinque minuti prima dell'intervallo non ha segnato. Ma cosa sarebbe successo se non ci fosse riuscito? Perché si deve avere una stella se non fa alcun lavoro? Shevchenko anche se non segna è comunque utilissimo alla squadra: è questo il calcio del futuro. Prendete Shearer: non sono sicuro che lo vorrei nella mia Dinamo. Abbiamo fatto un video di una sua partita. Ha toccato dieci palloni in tutto, nove dei quali voltando le spalle alla porta. Non ha fatto un solo tiro. Senza speranza. Ma è una stella..."

La corsa in Champions della Dinamo si interrompe ai quarti di finale, nella doppia sfida contro la Juventus di Lippi, dalla quale Andriy esce con qualche giudizio negativo sui giornali e una Mercedes distrutta dopo la gara d’andata.

La sua popolarità continua però a crescere in patria e all’estero: con quel talento, il fisico slanciato e la faccia pulita fioccano ammiratrici (Sheva racconterà di essere letteralmente subissato di lettere dalle ragazzine) e offerte dagli sponsor.

Sempre guidato dal Colonnello Lobanovsky e con il suo personalissimo ‘Robin’ al fianco, Sergey Rebrov, Sheva torna alla carica in Europa l’anno successivo, trascinando la Dinamo Kyiv a suon di goal. E dopo aver steso il Barcellona nell’edizione precedente, il numero 10 (maglia che in rossonero lascerà in modo ossequioso a Boban, optando per il 7) rafforza il suo status di superstar planetaria demolendo il Real Madrid di Raul, campione in carica, nei quarti di finale, andando a segno nell’1-1 dell’andata al Bernabeu e soprattutto firmando una storica doppietta nel return match all’Olimpisky.

Una marcia che si conclude davvero a un passo dalla finale di Barcellona: in semifinale la Dinamo Kyiv si ferma davanti al Bayern Monaco, nonostante l’ennesima prova monstre di Shevchenko (due goal nel 3-3 dell’andata), che si laurea ugualmente capocannoniere della manifestazione con 8 goal, al pari di Dwight Yorke.

Dopo l’ultima gara ufficiale con la Dinamo (con ennesima doppietta nella finale di Coppa d’Ucraina), per Andriy arriva il momento di congedarsi dalla sua Kiev, dal Colonnello e dalla squadra del suo cuore: ad accoglierlo a braccia aperte, dopo un corteggiamento durato anni e un’attesa di 6 mesi, a seguito dell’accordo raggiunto tra Surkis e Berlusconi sulla base di 40 miliardi di lire, c’è il Milan, la più convinta delle italiane (ci avevano provato anche Roma, Juventus e Parma) nell’assalto a Sheva. Il resto è storia (rossonera)…

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