Fino a un paio d’anni fa, sugli spalti del Volksparkstadion di Amburgo si poteva scorgere un tabellone luminoso che secondo dopo secondo scandiva il tempo. L’anno zero era il 1963, la data di fondazione della Bundesliga come la conosciamo ora, il campionato tedesco a girone unico. L’HSV era uno dei diciotto club fondatori che aveva conquistato il diritto di far parte della massima serie. Per oltre cinquant’anni, sulle rive dell’Elba si sono alternati giocatori leggendari e fuoriclasse che hanno contribuito a scrivere la storia di uno dei club più nobili di Germania, attratti anche da una big city fortemente identificata nella propria tradizione marittima. Da Uwe Seeler a Kevin Keegan, da Magath a Hrubesch fino al genio della panchina Ernst Happel e Kaltz. Una decina di trofei nazionali, due Palloni d’Oro (entrambi di Keegan), la celebre Champions League vinta nel 1983 ai danni della Juventus. Più un tratto distintivo che più di ogni altro ha riconosciuto e identificato l’Amburgo dal 1963 al 2018: la costante presenza in Bundesliga, che ha fatto guadagnare al club anche un soprannome come Dyno per la sua ‘anzianità’ calcistica. Unica ad essere sempre presente. Fino al 2018.
Anche la mascotte è un dinosauro, per l’appunto. Si chiama Hermann, in onore di Hermann Rieger, per trent’anni massaggiatore del club, al quale è anche dedicata una statua fuori dallo stadio. Ce ne sono due: una per lui, una per il leggendario calciatore UweSeeler. Per la precisone, di quest’ultimo è stato effigiato solo il piede destro.
Dal 12 maggio 2018, il Dyno non esiste più. Rimane la mascotte, rimane il soprannome. È sparito il concetto. Perché in quel giorno di quattro anni fa, l’Amburgo viveva una tragica retrocessione in 2. Bundesliga. La prima nella storia del club. L’aveva sfiorata nel 2014 e nel 2015, salvo poi metterci una pezza nel Relegationsspiel, la sfida tra terzultima di Bundesliga e terza di Zweite, i 180 minuti più tesi del calcio tedesco che decretano la diciottesima squadra della massima serie. Con un sofferto doppio pareggio contro il Greuther Fürth nel 2014, con una punizione nei supplementari del cileno Marcelo Diaz contro il Karlsruher nel 2015. Nel 2017 è servito un colpo di testa di Waldschmidt all’ultima giornata nello scontro diretto col Wolfsburg per evitare lo spareggio, mandandoci proprio i lupi (poi salvi). L’appuntamento col dramma ha preso forma nel 2018, all’ultima giornata. Con un’inutile vittoria contro il Gladbach per 2-1, stavolta insufficiente per raggiungere lo spareggio, vista la contemporanea vittoria proprio del Wolfsburg, finito di nuovo allo spareggio (e di nuovo salvo). L’HSV era caduto in zona retrocessione alla fine del girone d’andata e non ci è più uscito. È anche caduto in uno psicodramma che ancora oggi non riesce a superare.
Insieme all’Amburgo era retrocessa un’altra nobile come il Colonia, più abituata ai saliscendi rispetto ai Rothosen - letteralmente, ‘pantaloncini rossi’. In quell’estate novantanove calciofili tedeschi su cento avrebbero scommesso che entrambe sarebbero tornate immediatamente nella massima serie, dove meritano di stare due piazze così importanti, per il calcio e in generale per la Germania — Amburgo è la seconda città più popolosa, Colonia la quarta. L’effzeh effettivamente ha dominato quel campionato, seppur con qualche inciampo per certi versi naturale in una categoria particolare come la Zweite, dove le sorprese e le gerarchie sovvertite sono all’ordine del giorno. L’Amburgo invece è rimasto intrappolato nelle sabbie mobili. Sono passati quattro anni dalla retrocessione ed ogni primavera una sorta di maledizione colpisce regolarmente la squadra e manda al vento quanto di buono costruito tra estate, autunno e inverno. In altre parole: da quattro anni l’Amburgo trova il modo di danneggiarsi da solo e non riesce a ottenere la promozione.
Come spesso succede per i club tedeschi specialmente di lungo corso, la retrocessione è stata anticipata da un periodo complicato. I tentativi di vivere al di sopra delle proprie possibilità hanno portato ad una gestione scellerata a livello finanziario, con uno sperpero di risorse economiche, investimenti sbagliati a livello tecnico e una serie impressionante di allenatori a libro paga: dieci diversi dall’estate 2010 al 2018, più altri tre ad interim. Un totale di nove cambi a stagione in corso. Solo tre sono durati per l’equivalente di un’intera stagione: Thorsten Fink, Bruno Labbadia e Markus Gisdol. Per non parlare dei continui avvicendamenti a livello dirigenziale e amministrativo. Non una sembianza di stabilità. Né in campo, né in dirigenza.
Da questo punto di vista, la retrocessione sembrava l’occasione migliore per fare piazza pulita, un reset completo. Attuato soltanto parzialmente. L’allenatore ChristianTitz è stato confermato, è arrivato un nuovo direttore tecnico, la squadra è stata sfoltita con le cessioni dei nomi più importanti - tra i quali figurano Filip Kostic e Luca Waldschmidt, protagonisti di Bundesliga e nazionale tedesca degli ultimi anni - con l’inserimento di alcuni giocatori più pratici della categoria e la promozione di un nutrito gruppo di giovani da far maturare.
L’impatto con la Zweite è stato quanto più di traumatico i sessantamila del Volksparkstadion potessero immaginare: umiliazione in casa contro l’Holstein Kiel, uno 0-3 finale che ha fatto tornare gli incubi a tutti i tifosi. Incubi scacciati per quattro partite. Poi lo 0-5 interno subito dal modesto Jahn Regensburg, la peggior sconfitta interna nella centenaria storia del club. E il ciclo della panchina che si riavvia: fuori Titz, dentro un nuovo allenatore, HannesWolf. Giovane, già promosso con lo Stoccarda due stagioni prima. Ha riportato speranza ad Amburgo. Almeno fino alla primavera. Primo posto per una decina di giornate, fino al sorpasso del Colonia di metà febbraio. Il 16 marzo l’inizio della fine: dal 2-0 di vantaggio, l’Amburgo si è fatto rimontare dal Darmstadt fino al 2-3, con goal decisivo di Dursun in pieno recupero. La prima di una serie di otto partite senza mai vincere, ottenendo solo tre punti, precipitando al quarto posto. Le sconfitte negli scontri diretti contro l’Union Berlino e il Paderborn, entrambe promosse a fine stagione, hanno condannato l’Amburgo a un’altra stagione di Zweite.
L’estate del 2019 ha portato quella tanto agognata rivoluzione che i tifosi si aspettavano da un anno: l’arrivo dal Leverkusen di JonasBoldt in società per la gestione della parte sportiva, referenziato da Rudi Völler; la scelta di puntare su Dieter Hecking in panchina, allenatore con alle spalle una quindicina di stagioni di Bundesliga e imprese varie come la finale di DFB-Pokal con l’Alemannia Aachen; il secondo posto, la Pokal e la Supercoppa con il Wolfsburg, portato anche a una tripletta di Ronaldo dalla semifinale di Champions League. Sembrava il proverbiale ‘anno buono’. Ancora una volta, fino all’imponderabile. La sconfitta interna nel derby contro il St. Pauli del 22 febbraio ha riaperto la crisi. Dal rientro in campo di maggio post Covid-19, solo due vittorie, contro ultima e penultima. Fino a 270 minuti dal termine, l’HSV era ancora in zona promozione. Poi ha pareggiato con l’Osnabrück in casa, scivolando al terzo posto. Nella penultima giornata, l’umiliazione contro il piccolo Heidenheim e il sorpasso: 2-1 subito in rimonta negli ultimi minuti, con il goal di Kerschbaumer al 95’ che condanna al quarto posto. Apparentemente, la pietra tombale. Invece no. Quella ce l’ha messa il Sandhausen, club di medio-bassa classifica, nel modo più crudo possibile: 1-5 al Volksparkstadion all’ultima giornata. Mentre l’Arminia Bielefeld - la cui tifoseria è ‘amica’ della curva dell’Amburgo - batteva l’Heidenheim, facendo un favore alla squadra di Hecking, che vincendo sarebbe andata allo spareggio. Sulle sponde dell’Elba però il copione era il solito. Drammatico.
GettyBeffa delle beffe: nel Sandhausen gioca anche DennisDiekmeier, che ha trascorso otto anni ad Amburgo: zero goal in 184 partite con la prima squadra dal 2010 al 2018. In carriera ha segnato solo due goal da professionista: il primo il 26 maggio contro il Wiesbaden, il secondo proprio contro l’Amburgo. Per la precisione, l’1-5. La ciliegina sulla torta. Al contrario.
Nel 2020/21, se possibile, è andata ancora peggio. Iniziato con l’ennesimo cambio in panchina e l’arrivo di DanielThioune dall’Osnabrück, uno dei tecnici più apprezzati per la sua personalità e il suo carisma. Concluso con un’altra serie di risultati sconcertanti per il livello della rosa su cui può contare, ulteriormente rinforzata rispetto agli scorsi anni. La sconfitta contro i Kickers di Würzburg, che sono stati ultimi in classifica per la maggior parte del loro tempo. La rimonta subita dall’Hannover (club gemellato), da 3-0 a 3-3. Un’altra rimonta subita con il Darmstadt da 2-0 a 2-3. La solita puntualissima sconfitta con il Sandhausen (il 4-0 dell’andata non è servito ad esorcizzare). Partite sulla carta da vincere senza problemi che si trasformano in punti persi nella maniera più imbarazzante possibile. Nonostante la presenza di SimonTerodde, uomo promozione dello Stoccarda nel 2017 e del Colonia nel 2019 a suon di goal. Un telepass per la promozione in Bundesliga. Non per l’Amburgo.
Terodde è il recordman assoluto di goal della 2. Bundesliga moderna: ha vinto tre titoli di capocannoniere ed è sempre stato uomo che garantiva la promozione. Ad Amburgo è andata male. Non è neanche arrivato il Torkanone, che si è preso Serdar Dursun del Darmstadt.
Questa stagione, dopo l’ennesima ristrutturazione della rosa con l’aggiunta di altri elementi ‘specialisti’ di categoria, è stata la migliore. La presenza di Schalke 04 (con Simon Terodde) e Werder Brema, oltre all’ascesa di Darmstadt e St. Pauli come candidate alla promozione, rendeva molto complicato l’assalto ai posti promozione. Nonostante tante difficoltà nella prima parte di annata, l’HSV ha esorcizzato la ‘maledizione della primavera’, con 5 vittorie consecutive nelle ultime 5 che complici i crolli di St. Pauli e Darmstadt - quest’ultimo sconfitto nella partita decisiva a Düsseldorf contro il Fortuna, allenato dall’ex Thioune - avevano riportato i Rothosen incredibilmente al terzo posto. La vittoria per 2-3 sul campo dell’Hansa Rostock all’ultima giornata aveva confermato il piazzamento valido per lo spareggio, con 60 punti. Una quota che normalmente, in Zweite, vuol dire promozione. Non quest’anno.
Al Relegationsspiel, contro l’Hertha Berlino del grande ex FelixMagath, tutto sembrava finalmente andare secondo i piani. La vittoria per 0-1 all’Olympiastadion con un tiro-cross, la sensazione di essere in controllo del doppio confronto. Indizi chiarissimi: che fosse l’anno buono? No. La gara di ritorno ha riportato l’Amburgo coi piedi per terra. Goal subito dopo 3 minuti, raddoppio su un altro tiro-cross. Beffa delle beffe. Squadra ancora più in tilt, principi di gioco persi all’improvviso, verve scomparsa. Confusione. 0-2, rimonta, sconforto dei 60mila sugli spalti, promozione nuovamente rimandata. Tutto da rifare. Finito. Raus.
Il copione, da ormai quattro anni, è sempre lo stesso. Non sembrano esistere spiegazioni tecniche. La squadra sembra maledetta. Anche quando le cose vanno per il verso giusto, senza un apparente motivo l’Amburgo spegne la luce ed inizia a brancolare nel buio. Si dimentica di essere una delle realtà tecnicamente più valide mai comparse in 2. Bundesliga, con eccellenze della categoria e giocatori di caratura superiore ad una seconda serie — lo scorso anno il portiere era Sven Ulreich, negli ultimi cinque anni vice di Neuer al Bayern Monaco. Da quattro anni invece l’Amburgo vive stagioni quasi in fotocopia, schiavo della sua stessa maledizione.
Cambiano gli allenatori, si alternano i giocatori, si muovono le pedine anche in dirigenza. L’anno scorso si è dimesso dal ruolo di Presidente del Consiglio di Sorveglianza Marcel Jansen, ex terzino sinistro proprio dell’HSV, del Gladbach, del Bayern e della nazionale tedesca, che si era ritirato a neanche trent’anni. Era diventato presidente a 34 anni, rappresentava un barlume di speranza per i tifosi che in lui vedevano un punto di riferimento già quando in campo batteva la corsia mancina. A febbraio 2021, le dimissioni. Ennesimo scossone. Rielezione del Consiglio. Parallelamente la squadra ha iniziato a perdere partite e consapevolezza. Anche se il capitano Tim Leibold - terzino sinistro da 16 assist nel 2019/20, quest’anno fuori per metà stagione - crede che sia solo una questione di “soluzioni che noi giocatori e lo staff non riusciamo a trovare”. Eppure la squadra è la stessa che ha raccolto 25 punti in 11 partite nel giro di due mesi tra dicembre 2020 e febbraio 2021. Oppure fare 5 vittorie di fila. Per capirci: in Zweite raramente una squadra viaggia ad una media superiore ai 2 punti per partita. E chi se ne va da Amburgo, trova il successo: Terodde con lo Schalke, Kostic con l'Eintracht, Onana al Lille. Giusto per citarne alcuni.
Quando la dirigenza ha provato a dare certezze, è andata male. Nell’aprile 2020 Boldt ha confermato in ogni caso Daniel Thioune in panchina anche per la stagione successiva. Il 3 maggio è tornato sui propri passi, esonerandolo dopo i pareggi con Regensburg e Karlsruher che hanno di fatto compromesso la promozione. Al suo posto è stato chiamato il santone Horst Hrubesch, che ad Amburgo è una sorta di semidio: attaccante di altissimo profilo, era la punta della squadra che tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80 ha vinto tutto. Per oltre vent’anni ha lavorato in federazione con vari compiti, tecnici e dirigenziali. Era tornato nel luglio scorso con una scrivania ad Amburgo, è sceso in panchina ad interim per le ultime tre partite.
Ha iniziato vincendo 5-2 con il Norimberga, ma alla seconda partita ha clamorosamente perso per 3-2 contro l’Osnabrück, l’ex squadra di Thioune, che lotta per non retrocedere. La sconfitta ha messo la parola fine sulle speranze dell’HSV: la matematica lo ha condannato al quarto anno consecutivo in seconda serie, lasciando la promozione e lo spareggio a Bochum, Holstein Kiel e Greuther Fürth, club di gran lunga meno blasonati e molto meno ricchi.
Quest’anno la scelta di puntare su TimWalter è stata decisa e mantenuta fino a fine stagione, anche nei momenti difficili. Effettivamente la crescita finale, soprattutto rompendo la maledizione che vedeva l’HSV non aver mai vinto una partita di Zweite ad aprile, ha lasciato ottime sensazioni. Tanto che alla fine è stato centrato un terzo posto comunque soddisfacente, data la portata delle avversarie. La promozione, però non è arrivata.
GettyOgni anno passato in Zweite per l’Amburgo è una coltellata al bilancio, perché il club negli anni ha accumulato debiti che sta ancora tentando di estinguere. Colpa soprattutto di campagne acquisti scellerate e di un monte ingaggi che è stato reso insostenibile. La Zweite sembrava solo di passaggio. Non è stato così. Il club ha deciso di affidarsi ad una rosa perlopiù di giovani, tra i quali spiccavano nomi come Vagnoman, Ambrosius, Onana, Jatta, Wintzheimer, Reis, più l’inserimento di giocatori più esperti come Ulreich, Leibold, Hunt, Terodde, Glatzel, Schonlau. In più, giocatori da Zweite, di categoria. Il monte stipendi però è competitivo quasi più per la Bundesliga che per la Zweite. Senza gli incassi che porta la Bundesliga, anche a livello di visibilità internazionale più che per diritti tv - la DFL vende insieme i diritti di trasmissione delle prime due serie e il gap tra le ultime della Bundesliga e le prime della Zweite non è così abissale - le casse non riescono ad avere respiro. Boldt ha parlato di “soluzioni creative” da attuare sul mercato in termini di costruzione della rosa.
"La situazione economica non è facile, non ci sono soldi per comprare molti nuovi giocatori. I migliori se ne sono andati, anche altri potrebbero dover essere ceduti. Bisogna concentrarsi sui giovani, mancano i soldi per poter pensare in modo diverso”.
Dieter Hecking all’Hamburger Morgenpost nel luglio 2020
Lavorare sui giovani sta portando buoni frutti in termini di sviluppo, ma la Zweite non si vince soltanto con il talento. Lo ha dimostrato lo Stoccarda di Sven Mislintat: l’ex talent scout del Borussia Dortmund di Klopp, oggi direttore sportivo degli Schwaben, ha dovuto scendere a patti con la seconda divisione acquistando anche giocatori di categoria, oltre che giovani che neanche troppo paradossalmente si sono espressi meglio in Bundesliga che in 2. Bundesliga.
I veterani dello Stoccarda, però, lo scorso anno hanno portato alla promozione immediata. Così come è successo allo Schalke 04 e anche al Werder Brema, risaliti al primo tentativo, come aveva fatto anche il Colonia nel 2019.
L’Amburgo invece, pur avendole provate tutte, è diventato la controfigura di sé stesso e di ciò che è stato. Il ridimensionamento è un rischio concreto: la prospettiva di diventare un club di metà classifica di seconda divisione o di trovarsi costantemente imbrigliato in un continuo saliscendi tra le prime due serie non è poi così lontana. Lo Stoccarda come detto sta provando a uscirne affidandosi ai giovani, il Colonia ci sta provando con risultati alterni. Giusto per rimanere in tema di altre squadre gloriose che rappresentano grandi città. La realtà dell’Amburgo, invece, è quella di un club da quarto-quinto posto in seconda divisione. Per il quarto anno di fila. Con una rosa che probabilmente in Bundesliga avrebbe permesso un piazzamento in zona salvezza.
Nel frattempo l’orologio è stato smontato: non ne è rimasto nemmeno il ricordo, troppo pesante da sopportare. Uno dei club dalla storia più gloriosa oggi non è altro che un enigma irrisolvibile. Una realtà in un perenne stato di psicodramma, che vive nel riflesso dei propri incubi e degli errori del passato. Senza possibilità di appello.


