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Ali Daei IranGetty Images

Ali Daei, dalla laurea in Iran al record di Cristiano Ronaldo: il mito di Ardabil

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Il mito di Cristiano Ronaldo travalica oceani profondi e montagne solitarie, supera le sperdute isole oceaniche e le micronazioni europee. E' radicato indissolubilmente nel mondo del calcio e dello sport, simbolo del nuovo pallone, dell'era dell'apparire. Genera attorno a sè, come del resto Messi, un interesse istantaneo per qualcosa cosa tocchi o chiunque venga accostato alla sua persona. Tra il 2019 e il 2021 si è parlato un giorno sì e l'altro pure, a margine delle gare della Nazionale lusitana, del record impossibile, poi realmente conseguito, di Ali Daei. Un altro mito, un eroe nazional-popolare ancor più oltre il pallone. Il Nazionale iraniano più importante della storia, uno degli sportivi del paese persiano maggiormente ancorati alla leggenda, più che alla realtà.

L'inseguimento senza sosta di Cristiano Ronaldo, così come l'aggancio in testa alla classifica dei maggiori marcatori all-time delle Nazionali, ha cominciato a far conoscere in giro per il mondo Ali Daei. Le nuove generazioni hanno googlato su di lui, rendendosi conto che wow, quando i genitori raccontano come il calcio fosse diverso e forse più duro e difficile, qualcuno riuscisse a superare le 100 reti con la propria rappresentativa. Occhi sgranati, statistiche alla mano, storie da raccontare.

Perchè i 109 goal di Ali Daei in 149 gare (ad una media decisamente superiore a quella ottenuta da Cristiano Ronaldo nell'ultimo ventennio, frutto di 179 partite) sono solamente il punto di partenza per conoscere il ragazzo di Ardabil, città dell'Iran nord-occidentale completamente diversa oggi rispetto al 1969, quando علی دای viene alla luce da una famiglia di etnia azera.

Ali Daei è l'Iran della rivoluzione khomenista, quella che scorrerà nella storia durante il 1969, dieci giorni dopo il decimo compleanno del ragazzino. L'età in cui si comincia a capire seriamente come giocare a calcio, le proprie potenzialità, ciò che si può fare con le proprie dita inarcate e il proprio piede destro, mancino che sia. In Iran il referendum che mette fine alla monarchia dei Pahlavi e del filo-occidentale ultimo Scià di Persia, Mohammad Reza arriva, il mondo cambia attorno ad Ali, a quattordici anni, durante il passaggio ad un nuovo paese, riesce ad entrare nelle giovanili dell'Esteghlal cittadino. Squadra in cui crescerà fino ad esordire nel 1988 in prima squadra, a 19 anni. E' l'inizio di un percorso interno in cui nessuno, se non pochi sognatori eredi della trasmissione orale dei racconti, vede una possibilità all'estero, nella grande Europa calcistica. Grande, dal punto di vista calcistico ovviamente, e non di tutto quello che gira attorno, la vita edonista degli anni '80, l'esplosione materialistica del decennio successivo.

Ha un talento innato voluto da qualcuno, Ali Daei. Non ha costruito, se non con l'allenamento necessario per tenersi in forma, la sua capacità di vedere la giocata prima degli avversari, inventantare per i compagni, bombardare da lontano il malcapitato portiere avversario, farsi trovare al momento giusto della trama temporale. Perchè non è un bomber, non è un assistman, un regista, un giocatore. E' il tutto, è l'unione di abilità e occhi mobili da una parte all'altra, sinapsi collegate per anticipare il pallone, la mente del 5 avversario, i movimenti dell'1 che gioca con l'altra maglia.

E' intelligente, sa sfruttare le occasioni in campo Ali Daei. Sa sfruttare anche quelle fuori da esso, però, consapevole di come, bobdyliana memoria, The Times They Are A Changin. A Sharif, sei ore di macchina da casa sua, di volti magri, capelli a spazzola e baffoni tematici, si laurea in Ingegneria dei materiali. Vede oltre la propria casa e il proprio talento, perchè sì il pallone, ma le opportunità scolastiche, finalmente, possono essere agguantate e realizzate dopo anni di speranze. Tanto che all'esame di ammissione in cui passa, insieme ad altre 799 persone, si presentano in 500.000.

Laurea in tasca, mentalità da studioso, costruisce il proprio impero. Anzi, la propria Repubblica. E per farlo deve spostarsi a Teheran, la grande capitale. Ha vent'anni e stupisce con il Taxirani, passa per il Tejarat Bank F.C. e sopratutto il Persepolis, una delle squadre top, se non la più importante della nazione. E' implacabile sotto porta, tutti cominciano ad effettuare il passaparola tra le città di quel ragazzo, che sta per trasferirsi all'Al Sadd dopo aver saltato l'occasione J-League giapponese, causa servizio di leva obbligatorio. L'arrivederci alla nazione persiana per approdare in Qatar è però solamente temporanea. Inizia la sua era occidentale.

Nella Coppa d'Asia 1996 fa il diavolo a quattro, segnandone quattro di reti, alla Corea del Sud. Sette in quattro gare, prima di rimanere a secco in quella più importante contro l'Arabia Saudita: niente finale e approdo in quella terzo-quarto posto, in cui sarà ancora decisivo. Il momento di fare il grande salto è dovuto a Ernst Middendorp, allenatore giramondo che lo porta in Bundesliga, all'Arminia. Le undici reti bastano e avanzano per attirare a sè i desideri non nascosti, ma visibili, di uno dei più grandi calciatori della storia. Franz Beckenbauer si innamora e nel 1998, nei nuovi anni ruggenti dal Bayern Monaco, lo porta in Baviera.

Ali Daei Bayern MunichBongarts

Non c'è un anno che sia stato simbolico per Ali Daei. Diversi hanno avuto un grande significato nella sua vita. Il 1979, come già evidenziato, il 1989, quando si trasferisce in Iran, e sì il 1998. A ben vedere, ogni fine decennio, si crea qualcosa, in stile Kashan, della creazione e origine del viaggio, secondo il mito, dei Tre Magi. Il Mondiale francese, prima del trasferimento in Germania, non è calcio, è vita. E' guerra, lontana, è avvicinamento prossimo oltre la politica, del popolo che sa pensare con la propria testa, autodeterminarsi, difendere i propri ideali.

Nello stesso girone, la Jugoslavia è forse l'unica estranea al cosmo di Ali Daei. C'è la Germania, nuova patria del nostro. C'è il suo Iran, che ha contribuito a portare in maniera decisiva al Mondiale (per la seconda volta nella propria storia, un ventennio dopo le due sconfitte e un pari). E ci sono gli Stati Uniti, la Nazione che durante la sua infanzia slogan, altoparlanti dai furgoni, striscioni e interventi radiofonici hanno etichettato come satanica, il Grande. In campo la Nazionale persiana vince 2-1, senza sue reti, ma con un assist decisivo per il raddoppio. Nel girone G non riuscirà mai a segnare, ma porterà felicità in giro per il mondo. Nessuna smanceria, solo la realtà.

Sì, perchè in Iran i due goal prima e la vittoria poi, sarà festeggiata come la conquista di un trofeo. Strade bloccate dal traffico incessante, ancor più del solito, bandiere sulla pelle e sulle vetture, slogan, Iran-Iran-Iran, urlato col rischio continuo di perdere la voce. La prima vittoria al Mondiali, la vittoria contro gli Stati Uniti. Una vittoria politica, considerando gli abbracci dei giocatori, le strette di mano, i fiori bianchi in segno di pace. Un passo in avanti dallo sport, in contrapposizione al calcio visto come ventidue uomini sudaticci che corrono all'inseguimento di una sfera.

Nella foto celebrativa dell'unione calcistica di Iran e Stati Uniti, Ali Daei si trova ad abbracciare David Regis, che guarda caso gioca in Germania (nel Karlsuhe), e Cobi Jones, uno dei simboli della Nazionale a stelle e strisce. Poesia stampata per sempre. Non durerà invece per sempre la sua era occidentale e in particolare al Bayern Monaco. Una sola stagione, prima di trasferirsi all'Hertha in quel di Berlino, senza fortuna. In Germania rimarrà per cinque stagioni, con una manciata di goal ma tanti ricordi. Diventa il primo asiatico a giocare in Champions League con la maglia dei bavaresi, si fa largo dietro Jancker vincendo la Bundesliga, con sei reti.

Da lì tornerà a patria, con passaggio del mezzo negli Emirati Arabi Uniti, aumentando man mano lo score in Nazionale, in cui esordisce nel 1993, segnando le prime reti ufficiali nelle qualificazioni al Mondiale, mancato, del 1994. Il 1998 è come detto uno dei simboli immutabili di Ali Daei, ma sarà anche l'anno che lo vedrà più volte di seguito senza reti con l'Iran. Escludendo tale anno, sarà un sali senza scendi, continuativo con pause fisiologiche, necessarie, per i 109. I tre numeri saranno raggiunti guarda caso a Teheran, il 17 novembre 2004, nel 7-0 contro il Laos: poker e record.

Un record che Cristiano Ronaldo ha agganciato diciasette anni dopo, con più gare, più pressione mediatica. Era destino, era legge statistica. Era il modo per far conoscere علی دای al mondo.

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