Pubblicità
Pubblicità
Alex Meier Eintracht FrankfurtGetty

Alexander Meier, il Fussballgott di Francoforte: il capocannoniere del 2015 "troppo scarso" per la nazionale

Pubblicità

In Germania ogni squadra ha il suo “Fussballgott”, il proprio Dio del calcio, un soprannome che distingue attaccamento alla maglia, oltre che talento e grinta in campo. Al Bayern Monaco ultimamente è stato Bastian Schweinsteiger, per esempio. All’Union Berlino sono tutti Fussballgott, dalla prima storica promozione in Bundesliga in avanti. All’Eintracht Francoforte, invece, ce n’è uno solo e probabilmente non ce ne sarà mai un altro: Alexander Meier.

Non parliamo di un giocatore che è arrivato ai grandi palcoscenici europei, che non ha mai giocato in Champions League, che non è nemmeno mai andato nella nazionale tedesca: l’avrebbe meritata, ma non è mai stato chiamato e più o meno ironicamente ha ribadito di essere “troppo scarso” per giocare in nazionale. Sta di fatto che nella lista dei vincitori della classifica marcatori degli ultimi 9 anni (dal 2014), c’è anche lui. In uno dei due titoli lasciati per strada da RobertLewandowski. L’altro è stato di Aubameyang, ma quello di Meier è stato decisamente più storico. Anche perché è stato l’ultimo tedesco ad aggiudicarselo, prima dell’egemonia del polacco. Era il 2015.

Per raccontare che cosa rappresenta tuttora per l’Eintracht Francoforte e per il calcio tedesco il 40enne nativo di Buchholz in der Nordheide, cittadina nei dintorni di Amburgo, bisogna partire dalla fine, più che dall’inizio — saltando la parentesi australiana ai Western Sydney Wanderers che ha di fatto chiuso la sua carriera solo ufficialmente. L’ultimo atto del vero Alex Meier Fussballgott (difficile trovare qualcuno che pronunci solo il nome senza l’epiteto) è stato a St. Pauli, nel club in cui ha mosso i suoi primi passi da professionista, che aveva lasciato nel 2003 per trasferirsi all’Amburgo, ai vicini cattivi. Un trasferimento che non era stato vissuto benissimo dalla calda tifoseria dei Kiezkicker.

Alex Meier DFBGetty Images

Un ritorno che aveva il sapore della redenzione a oltre 15 anni dalla decisione di passare da una sponda all’altra del fiume Elba, quasi come se sapesse di aver qualcosa da farsi perdonare. Perché è vero che non esiste un calciatore che può mettere tutti d’accordo, ma Alex Meier ci ha provato. Nella maniera più genuina possibile. Basterebbe vedere quanta attenzione sia stata riservata alla sua partita d’addio al calcio, il 31 agosto 2022, dopo il Covid. Perché il saluto doveva essere in uno stadio pieno, e poco importa se di fatto aveva smesso già da due anni e mezzo.

La sua ultima immagine ufficiale con la maglia dell’Eintracht Francoforte, invece, è stata quella del 19 maggio 2018, con la Dfb-Pokal tra le mani, il suo primo e unico trofeo di squadra conquistato con le Adler. Niko Kovac non lo aveva inserito nemmeno tra i panchinari, ma non per questo è stato deluso. Anzi, era difficile trovare qualcuno più felice di lui. Come era difficile trovare qualcuno che non si fosse commosso il 5 maggio precedente, quando nel recupero contro l’Amburgo al Waldstadion aveva segnato il suo ultimo goal con l’Eintracht.

Kovac era finalmente riuscito a portarlo almeno in panchina per salutare il pubblico in quella che sarebbe stata la sua ultima partita casalinga. Non era mai stato a disposizione fino a quel momento, colpa di continui problemi, un fisico statuario di oltre due metri (ma con una dolcezza nei piedi rara da trovare nella stragrande maggioranza dei suoi colleghi) martoriato dopo 15 anni di calcio giocando praticamente sempre. Lo ha mandato in campo nei tre minuti finali e dei quattro palloni toccati uno l’ha messo in porta. Su assist di David Abraham, professione centrale di difesa, per l’occasione in fuga sulla fascia: era lui che indossava la fascia di capitano. Segni del destino. E sempre per quel discorso: la rete spinse l’Amburgo verso la prima, storica retrocessione. Lui che nell’Amburgo ci era cresciuto, prima di passare al St. Pauli e tornare in seguito all’HSV.

Quel goal ha coronato un percorso con il club di Francoforte che aveva iniziato nel 2004, quando il club giocava in seconda serie. E pensare che nemmeno rischiava di poterci andare: la mamma non voleva, perché sosteneva che nella capitale dell’Assia ci fossero troppi criminali. Alex convinse anche lei, oltre che i tifosi che all’inizio lo fischiavano e lo criticavano.

Alla fine però le Adler ottennero la promozione immediata e Meier fu assoluto protagonista con 9 reti ed 8 assist. Di lui si parlava già da tempo come promessa inespressa, tanto che aveva fatto parte del “Team 2006”, una selezione di giocatori tedeschi di prospettiva da valutare in ottica Mondiale. Non ci sarebbe andato. Anche se pure nel suo primo anno da titolare nella massima serie aveva mostrato lampi importanti.

A Francoforte avevano capito che fosse speciale, anche perché nel 2011 dopo la retrocessione aveva deciso di rimanere, nonostante avesse tutte le buone motivazioni del mondo per cercarsi un’altra squadra in Bundesliga. Ma non voleva lasciare che il club che gli era stato a fianco quando nel 2008 restò fermo quasi un anno per un grave problema al ginocchio. Sentiva di dover restituire ancora tanto. Come, ad esempio, una seconda promozione. Il meglio però è arrivato nel 2015, l’anno del Torkanone, del titolo di capocannoniere della Bundesliga.

L’allenatore di quella squadra era ThomasSchaaf, alla prima esperienza fuori dal Werder Brema, dopo una vita passata con i Grünweiss. Meier inizialmente partiva spesso dalla panchina perché non era al top, poi dalla quarta alla ventisettesima giornata ha saltato soltanto sei minuti - contro il Werder Brema, uscendo sul 5-2. Ha chiuso l’anno con 19 reti segnate in 27 partite, due in più di Robben e Lewandowski. E non ha nemmeno potuto giocare le ultime sette a causa di un infortunio ai legamenti del ginocchio. Ma non lo prende nessuno. Quando alza il Torkanone al Waldstadion, in campo viene esposto uno striscione che recita: “E se dio fosse uno di noi?”.

La normalità, d’altronde, non è mai stata il suo punto forte. Al rientro nel settembre 2015, dopo cinque mesi di stop, fa tripletta al Colonia. Lì Armin Veh, che era subentrato sulla panchina dell’Eintracht, farà l’ammissione.

“Alex Meier non è un giocatore normale”.

Non era l’unico a pensarlo: in Germania l’opinione era piuttosto diffusa. Prima di Euro 2016, un sondaggio condotto dalla tv tedesca ha rivelato che il 78% dei tedeschi lo avrebbe voluto titolare della Germania, a33 anni. Purtroppo, Jogi Low era nell’altro 22%. L’ultimo treno è andato: zero presenze, mai convocato. Un rimpianto? Niente affatto. Non per Meier, che si era legato talmente all’Eintracht, diventando il Fußballgott - e che oggi lavora nelle giovanili del club.

Di goal ne ha segnati 137, soltanto Nickel ed Hölzenbein lo precedono nella classifica all-time del club. Yeboah e Grabowski inseguono. Non ha nemmeno sfiorato il record di marcature stagionali del club (19, contro le 29 di André Silva nel 2021), ma non gli interessano i numeri. Per lui che si è definito sempre un calciatore normale, ma che normale non è stato mai. Non lo sostiene solo Veh, ma anche Friedhelm Funkel, che lo ha allenato a Francoforte.

“L'allora ragazzo allampanato e timido ora è AMFG14 - ha scritto in una lettera aperta il tecnico, alle Adler dal 2004 al 2009 - I tifosi ti vogliono bene, il club ti deve molto. Sei allo stesso livello di altre leggende del club come Charly Körbel e Jürgen Grabowski. E nella mia classifica personale proprio in cima. Perché eri il tipo di giocatore che ogni allenatore vorrebbe”.
Pubblicità

ENJOYED THIS STORY?

Add GOAL.com as a preferred source on Google to see more of our reporting

0