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Pinardi GFXGoal

Alex Pinardi, il '10' esploso all'Atalanta: talento e sliding doors

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Tra i gioielli sfornati dalla Dea c'è anche lui. Un bresciano a Bergamo. Alex Pinardi si forma nel vivaio dell'Atalanta, che tra fine anni '90 e inizio 2000 diventa una fucina di gioiellini capaci di impreziosire il nostro calcio. I vari Donati, Zauri, Bellini (suo grande amico e testimone di nozze), i gemelli Zenoni, Pelizzoli, Fausto Rossini e Regonesi per intenderci. La nidiata del periodo regala anche questo fantasista esile e dal talento sopraffino, che coi mezzi tecnici a disposizione non può passare inosservato.

In quel periodo l'Atalanta è trascinata da Cristiano Doni, '10' proprio come Pinardi, che lavora a testa bassa fino a guadagnarsi l'approdo in prima squadra. Giovanni Vavassori (con cui vince il Trofeo Dossena nel 1997 e lo scudetto Primavera nel '98) lo alleva come un figlio, come se fosse certo che i due si sarebbero ritrovati in Serie A.

Pinardi il debutto assoluto con gli orobici lo vive in B, contro il Ravenna, con Bortolo Mutti al timone: è lì che comincia il suo viaggio nel pallone, abbandonando i piccini e realizzando un sogno. La scelta del club di affidare la guida tecnica al 'Vava', poi, fa il resto. Con loro due l'Atalanta torna in Serie A, punta sul vivaio e costruisce un progetto intrigante.

"Il mister è stata una persona importante ed un punto di riferimento per la mia crescita, soprattutto dopo la scomparsa di mio papà - ricorda a 'Gianlucadimarzio.com' - insieme a lui abbiamo fatto campionati straordinari".

Della 'new generation' che incendia la Dea fa parte anche Pinardi dunque, gettato nella mischia da Vavassori l'1 ottobre del 2000 contro la Lazio: una manciata di secondi, giusto il tempo di toccare il cielo con un dito e festeggiare l'esordio in A.

"Era la prima giornata. Sono entrato in campo e mi tremavano le gambe... vedo Nesta da lontano, non uno qualunque. Mi avvicino e gli chiedo timidamente: 'Sandro, dopo mi regali la maglietta?', mi guarda, annuisce e risponde: 'Ci vediamo nel tunnel!'. Al fischio finale ero convinto che si fosse dimenticato di me, ed invece mi è venuto a cercare per consegnarmi la sua 13… Che emozione!".

Spezzoni, chances da titolare, qualità e un ruolo da alter ego di capitan Doni talvolta sconvolto dalle scelte di Vavassori: Pinardi cresce e si fa apprezzare. Ambidestro, tecnico, visione: un fantasista che agisce centralmente o parte dall'esterno. Un magic moment avviato dal goal alla Roma in Coppa Italia (partita che scatenerà la contestazione dei tifosi giallorossi nei confronti di un giovanissimo Totti & co.) e culminato nel primo timbro in A, che decide Udinese-Atalanta del 3 marzo 2002. La classica ciliegina su una torta in quel momento gustosissima, resa prelibata dalla gemma a Buffon in un Atalanta-Juve ( "Il mio goal più bello" , confida a 'L'Eco di Bergamo') o ad esempio dalla doppietta in un pirotecnico 2-3 a Bologna.

"Ero nel giro della Nazionale Under 21, Milan, Juve e Roma mi volevano, ma il presidente decise di non farmi partire. Restai a Bergamo, ed il treno per una grande squadra non passò mai più".

A fronte di ciò Pinardi però si prende la Dea in tutto e per tutto, tanto da diventarne capitano e leader. Nel 2003/2004, con la nuova discesa in cadetteria dei bergamaschi, nella testa di Alex però scatta altro.

"Con Mandorlini è arrivata la mia consacrazione, fare il capitano a 22 anni è stato un onere ed un onore, ma… alla sesta stagione nei professionisti sentivo che mi mancava qualcosa. Stesse facce, stessi campi, stessa vita da 17 anni. Avete mai avuto la sensazione di voler cambiare? Avevo bisogno di stimoli e l’ultimo giorno di mercato Zeman mi chiamò a Lecce! Cosa ho fatto? Ho preso il sacco e ho seguito il boemo".

Alex Pinardi LecceGetty

In Salento disputa due stagioni ricchissime di soddisfazioni ( "Ero il pupillo di un maestro come il mister, che piuttosto lasciava fuori uno tra Vucinic e Bojinov. Sfiorammo l’Europa" ), esaltato dal 4-3-3 di Zemanlandia. La vita, però, ti regala gioie ma anche batoste: il figlio Niccolò (di lui parleremo più avanti) ha problemi cardiaci e necessita del giusto sostegno, così Pinardi torna al Nord.

"In quel momento, il pallone è passato in secondo piano. La categoria non contava più, dovevo tornare vicino a casa, dovevo farlo per mia moglie, per i miei figli e soprattutto per me; perché il sostegno, a volte, è la miglior medicina".

Lecce-Modena solo andata, dalla A si va di nuovo in B. Il viaggio in Puglia di Pinardi si conclude per motivi extra-calcistici, ma in Emilia inizia un matrimonio florido.

"Sono stato fortunato a trovare Modena ed i modenesi. Non so come spiegare il legame che è nato tra me e quella tifoseria in quei 4 anni. Dal punto di vista umano mi hanno dato tanto e da quello sportivo abbiamo fatto cose incredibili. Dopo 4 anni mi chiamavano ‘sindaco’. Mi fermavano per strada ogni minuto per salutarmi. Ero l’Ilicic gialloblù, per i tifosi il secondo miglior giocatore della storia del club dopo Milanetto".

Alex Pinardi ModenaGetty

Una love story bellissima, interrotta dal richiamo del palcoscenico chiamato Serie A: Cellino lo vuole, lo corteggia e gli strappa il sì, portandolo a Cagliari.

"Avevo 30 anni e la voglia di confrontarmi di nuovo con la massima categoria era grande, a Modena era cambiata la proprietà e così ho firmato col Cagliari. Ecco, se dovessi trovare una scelta sbagliata nel mio percorso, beh, credo sia stata quella di lasciare Modena. Ogni anno, ogni giorno, ogni momento, ho sognato di tornare, era casa mia. Lì avevo lasciato la mia vita e lì volevo tornare".

I Pinardi in Sardegna non si ambientano, il campo non si incastra col privato.

"I miei bambini non si trovavano bene lì. Ho scelto di far felice la mia famiglia. Chiunque al mio posto l’avrebbe fatto. Sono passato al Novara, dove abbiamo conquistato la A nella finale playoff col Padova".

In 6 mesi Alex ritrova il paradiso, peccato che il progetto tattico dei piemontesi gli lasci poco margine.

"Tesser è stato sincero nel dirmi che non avrebbe utilizzato il trequartista per provare a salvarsi, così, dopo un ottimo inizio, ho rifatto le valigie".

Alla soglia dei 32 Pinardi man mano si ritrova lontano dai riflettori, seppur accompagnato dai guizzi di chi la stoffa ce l'ha nel DNA. Vicenza ultima tappa in B, poi si scende in terza serie: Cremonese, Feralpisalò (dove arretra il proprio raggio d'azione diventando regista) e Giana Erminio. Senza rammarico, sia chiaro.

"Sembra una frase fatta, ma ho passato la carriera a mettermi in gioco; ho capito tardi che prima della categoria bisogna stare bene".

L'ultimo step in Franciacorta, dietro casa, dove a 38 primavere il bresciano esploso a Bergamo sposa la causa dei dilettanti dell' Adrense: un modo per avere tutto a portata di mano e divertirsi ancora un po'. Una stagione, poi il ritiro e il ritorno sul Garda, stavolta in altre vesti.

Pinardi è responsabile del settore giovanile della Feralpisalò, un vivaio nel quale - ve l'avevamo promesso - ha figurato anche il primogenito Niccolò (centrocampista nel segno di papà oggi al Desenzano Calvina). Colui che ha portato Alex a sacrificare le luci della ribalta, una scelta che rende onore all'uomo e non cancella i lampi di classe dispensati da calciatore. Anzi.

"Mi piace scindere le due cose. Lui, è giusto che faccia il suo percorso. Io devo fare il mio. Io parlo da padre, è un bravo ragazzo. Poi, ciò che farà sul campo, non spetta a me giudicarlo".

Talento e sliding doors: quello di Pinardi è stato un viaggio complicato, ma tanto tanto emozionante.

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