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Adriano Fiorentina 2002Getty

La Fiorentina all’’inferno’: quando nemmeno Adriano riuscì a salvarla

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La Fiorentina, nel corso della sua storia più o meno recente, è stata spesso protagonista di annate complicate. Se si chiede tuttavia ad un tifoso viola quale sia stata la più dura in assoluto, probabilmente non avrà dubbi nel rispondere che è stata quella del 2001-2002.

Che quella potesse essere una stagione avara di soddisfazioni, lo si era capito già il 19 agosto. Da mesi si parlava di problemi societari e del fatto che la stessa sopravvivenza della società fosse addirittura in dubbio, ma vedere sul campo il risultato di uno sfacelo rappresentò un qualcosa di diverso dal leggerlo sui giornali.

A raccontare di una situazione drammatica era stato il modo in cui era stato condotto il mercato: nessun tentativo di rafforzare il gruppo, ma semmai solo movimenti atti a soddisfare la necessità di vendere i migliori per garantirsi un minimo di ossigeno. Rui Costa andò quindi al Milan, Toldo all’Inter, Repka al West Ham. La colonna vertebrale di una formazione che solo poche settimane prima aveva vinto quello che ancora oggi è l’ultimo trofeo messo in bacheca dal club gigliato, la Coppa Italia dell’edizione 2000-2001, venne sacrificata sull’altare della permanenza nel calcio che conta.

Proprio la conquista della Coppa aveva garantito la possibilità di sfidare la Roma campione d’Italia nella gara che avrebbe assegnato la Supercoppa Italiana e se già nel leggere le distinte la sensazione che tra le due compagini potesse esserci un abisso in termini di qualità, il vedere la cosa all’atto pratico fece una certa impressione.

Roberto Mancini, che proprio in viola aveva iniziato pochi mesi prima una carriera che poi l’avrebbe portato ad essere uno dei tecnici più apprezzati dell’intero panorama calcistico mondiale, in quella calda notte d’estate si affidò all’Olimpico ai pochi giocatori di spessore rimasti, ma contro i Samuel, i Candela, i Totti, i Batistuta e i Montella non ci fu nulla da fare: 3-0 per i giallorossi senza appello. I tanti tifosi viola accorsi nella capitale nella speranza di assistere ad un miracolo fecero ritorno a casa con una certezza in più: ad attenderli ci sarebbero stati mesi di sofferenza.

Una settima dopo la Fiorentina verrà sconfitta per 2-0 in casa e al debutto in campionato da una squadra che mai aveva giocato un solo minuto in Serie A e che a detta di molti era destinata ad un ruolo di semplice comparsa (che errore…), il Chievo, mentre nella seconda giornata verrà invece travolta dal Milan con netto 5-2.

Angelo Di Livio FiorentinaGetty

In casa viola quindi i mesi scappano via tra delusioni, voci di problemi economici sempre più insistenti e la certezza che la squadra non abbia semplicemente la forza per contrastare una situazione insostenibile. Si arriva così a gennaio e la speranza di molti è che almeno in sede di calciomercato si possa fare qualcosa al fine di rafforzare un gruppo sfiduciato e sempre più diviso, ma resta un problema: come può una società senza liquidità poter anche solamente sedersi ad un tavolo per trattare l’arrivo di un giocatore?

Il presidente Vittorio Cecchi Gori assicura che i soldi ci saranno, ma di fatto nelle casse viola non arriverà nulla. A muoversi quindi in prima persona è Roberto Mancini che, pur di accogliere qualche ‘pezzo nuovo’ che possa consentire ad una formazione in piena zona retrocessione di rialzare la testa, si mette al telefono sperando che tra i suoi contatti possa esserci qualcuno pronto ad abbracciare la causa viola.

Chiama l’amico Sinisa Mihajlovic che, nonostante il parere sfavorevole di molti di coloro che gli sono vicini, risponde presente. Si trova un accordo con la Roma anche per il prestito di Ivan Tomic e, soprattutto, a tendergli la mano nella maniera più generosa possibile è Massimo Moratti, il presidente dell’Inter che da sempre è un suo estimatore e che tanto l’avrebbe voluto vedere con la maglia nerazzurra numero 10 addosso quando era calciatore.

Con Moratti si trova subito un accordo per il ritorno in prestito in riva all’Arno di Anselmo Robbiati e poi arriva anche l’intesa per il trasferimento in viola di quello che all’epoca era considerato uno dei più grandi talenti del calcio mondiale: Adriano.

Il ragazzo brasiliano, appena cinque giorni prima di quel 19 agosto 2001 che fece scattare l’allarme nel cuore dei tifosi gigliati, si era rivelato al mondo nel modo più fragoroso possibile e sul palcoscenico più prestigioso possibile: il Santiago Bernabeu.

L’Inter era impegnata con il Real Madrid proprio nel ‘Trofeo Bernabeu’ ed il risultato era fermo sull’1-1 quando Hector Cuper decise di gettare nella mischia Adriano. Al 90’, l’attaccante prelevato poche settimane prima dal Flamengo, prima si procura un calcio di punizione dal limite e poi di sinistro spara alle spalle di Iker Casillas un pallone imparabile. Allora si parlò di una bordata da oltre 170 Km/h, ma soprattutto della possibilità concreta che i nerazzurri avessero scovato un potenziale baby-fenomeno.

Poco più di un mese più tardi arriverà anche il primo goal in Serie A, contro il Venezia nel terzo turno di campionato, tuttavia è fin da subito chiaro che c’è un problema: in una squadra che punta allo Scudetto come quella meneghina, lo spazio per un ragazzo che ha ancora tanto da dimostrare, non può che essere ridotto ai minimi termini.

E’ per questo motivo che l’Inter a gennaio, con un Ronaldo ormai recuperato pronto a prendersi il suo posto al fianco dell’intoccabile Vieri, decide di cedere in prestito Adriano. Il club nerazzurro ha sul tavolo offerte vantaggiose di Venezia e Udinese, Moratti tuttavia decide di rinunciare ad ogni possibile guadagno e di aiutare una grande decaduta come la Fiorentina. Il gesto è di quelli nobili e che fanno tirare un sospiro di sollievo a Mancini ma, paradossalmente, il tecnico che tanto si era prodigato per avere il brasiliano in viola, a Firenze non lo allenerà mai.

Il giorno infatti in cui l’attaccante approderà in riva all’Arno, il tecnico annuncerà attraverso un comunicato il proprio addio.

“Rilascio un semplice comunicato stampa per consentire alla squadra di poter lavorare il più serenamente possibile in previsione di una partita difficile come quella di domenica prossima.

Dopo l’incontro tecnico svoltosi ieri a Roma con il dott. Vittorio Cecchi Gori, il direttore sportivo signor Giuseppe Pavone ed il segretario generale rag. Raffaele Righetti, al mio rientro a Firenze nella notte sono stato aggredito verbalmente sotto casa da cinque tifosi che, nonostante lo scambio di idee, hanno minacciato di inasprire la gravità delle aggressioni.

Il timore di creare turbative a mia moglie e ai miei tre figli, mi hanno spinto a credere che il mio lavoro a Firenze non possa proseguire.

Ringrazio la signora Valeria Cecchi Gori e il dott. Vittorio Cecchi Gori di avermi dato la possibilità di allenare una società gloriosa come la A.C. Fiorentina Spa e di vivere in una splendida città.

Il pubblico fiorentino da molto tempo si è reso conto di quanto sia difficile la situazione della Fiorentina.

Mi auguro di aver contribuito positivamente comunque dando sempre il meglio di me stesso.

Sottolineo la grande professionalità ed attaccamento ai colori che hanno sempre contraddistinto i miei calciatori e tutti i collaboratori, nonostante le difficoltà quotidiane abbiano raggiunto i limiti della normale sopportazione.

Ringrazio i Presidenti che hanno dimostrato sensibilità nei nostri confronti, concedendo il prestito gratuito dei loro calciatori”.

Adriano FiorentinaGetty Images

Nel frattempo Tomic alla Fiorentina non arriverà mai, mentre Sinisa Mihajlovic, che pure un allenamento con la tuta viola addosso l’aveva svolto, lascerà Firenze dopo appena ventiquattro ore per un motivo molto semplice: la Fiorentina è sommersa dai debiti e quindi non possono essere apposte le firme sui contratti.

Tutte le speranze del popolo viola ricadono quindi su Adriano che, nonostante tutto, accetta la sfida, ma si affretta anche a spiegare come non possa essere lui la panacea di tutti i mali.

“Spero di poter giocare perché non scendo in campo da più di cinquanta giorni. Spero di poter fare un buon lavoro e di segnare molti goal, ma non vorrei essere considerato il salvatore della patria perché ho solo diciannove anni.

So che la Fiorentina non è in una buona posizione di classifica, ma conosco anche il passato di questa società e per questo l’ho scelta”.

Ad accoglierlo ci sarà Luciano Chiarugi, bandiera viola designata a tenere la panchina in caldo ad Ottavio Bianchi che, a sette anni dalla sua ultime esperienza da allenatore, è pronto a svestire i panni di direttore tecnico per provare a dare una mano sul campo.

Il brasiliano si presenta in buona forma, nonostante venga da un periodo di inattività e già due giorni dopo il suo arrivo viene schierato titolare in casa dei Chievo al fianco di Nuno Gomes. Al 90’ i ‘Mussi’ sono avanti 2-1 da tre minuti quando proprio Adriano, ad un passo dal triplice fischio, con un gran colpo di testa trova la rete del pareggio. Per la Fiorentina il punto messo in cascina è pesante, perché regala morale e soprattutto torna a far muovere la classifica.

Una settimana dopo la storia si ripete: al Franchi il Milan è avanti 1-0 al 90’ quando Ezequiel Gonzalez serve Adriano che di sinistro stoppa il pallone in area, resiste al contrasto di Costacurta spazzandolo letteralmente via con una spallata, e trafigge Abbiati. Il popolo viola torna ad esplodere sugli spalti come non faceva da tempo e a credere che la salvezza non sia poi impossibile con un giocatore così in squadra.

La Fiorentina poi perde 2-0 con l’Atalanta, ma già una settimana dopo il futuro ‘Imperatore’ segna un altro goal straordinario: i viola sono in vantaggio 1-0 contro la Roma quando Adriano, con una punizione da trentacinque metri, non lascia scampo ad Antonioli. E’ una rete di pura potenza, una prodezza balistica sotto gli occhi di Batistuta (in campo con la maglia giallorossa), ma che non varrà la vittoria. Finirà infatti 2-2, il che vuol dire che le tre prodezze in quattro presenze saranno valse solo tre punti. Serve altro per un cambio di passo che non arriverà mai.

Il talento brasiliano segnerà anche nella sconfitta contro la Juventus e nella vittoria (l’unica in quel girone di ritorno) contro il Verona. Il 30 marzo successivo, proprio contro l’Inter e al Franchi, arriverà la sconfitta che sancirà una retrocessione tanto anticipata quanto scontata.

Da lì in poi ogni sforzo sarà vano, così come inutile sarà il goal, l’ultimo in maglia gigliata, segnato contro il Parma nella penultima giornata di campionato.

L’avventura di Adriano in viola si chiuderà con sei reti in quindici partite giocate. Un bottino importante se si pensa al contesto nel quale sono state segnate. Era arrivato a Firenze per provare a salvare a salvare la Fiorentina e per dimostrare di essere un giocatore pronto per la Serie A: la prima cosa non gli riuscì, la seconda assolutamente sì.

Il club gigliato da lì a pochi mesi sarebbe fallito, mentre Adriano sarebbe ripartito da Parma. Proprio in gialloblù troverà l’ambiente giusto per esplodere in maniera definitiva e per guadagnarsi un’ulteriore chance, questa volta da grande protagonista, all’Inter. Il resto è storia.

Considerato uno dei più forti e completi attaccanti della sua generazione, l’Imperatore poi nel corso della sua carriera si arrenderà a problemi che con il calcio poco avevano a che fare. Tanto devastante in campo, quanto fragile fuori, diventerà alla lunga sinonimo di rimpianto. Rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato, rimpianto perché prima di lui solo raramente su un terreno di gioco si erano viste prodezze come le sue e sfornate con una facilità quasi disarmante.

Un potenziale fenomeno e in definitiva l’ultimo grande centravanti ad aver vestito la maglia della ‘prima’ Fiorentina. 

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