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Fabrice MuambaGetty Images

"Per 78 minuti è effettivamente morto": l'ultima partita di Fabrice Muamba

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In 78 minuti di solito ci si gioca buona parte di gara, da subentrato o meno. Sono lunghissimi: puoi segnare, subire una rete. Puoi passare in svantaggio: puoi addirittura rimontare. Segnare nel recupero e scivolare sulle ginocchia, dopo un tiro all’incrocio dei pali: Fabrice Ndala Muamba ne sa qualcosa, di reti decisive siglate in extremis. La sua vita parla da sola.

In realtà, il centrocampista inglese in quel pomeriggio di metà marzo del 2012 a White Hart Lane di minuti di gioco, calcistici, ne gioca solo 42: è il sesto turno di FA Cup e il Tottenham di Joe Jordan ospita il Bolton di Owen Coyle. Lui è regolarmente in campo, nel centrocampo completato da Reo-Cocker. C’è una rimessa affidata a Bogdan, portiere degli ospiti, ma Howard Webb ferma il gioco. Fabrice Muamba è steso a terra, “a pancia sotto”. Accortosi dell’infortunio la regia televisiva spezza le immagini inquadrando la curva. C’è qualcosa di strano.

È alla sua quarta stagione al Bolton e dall’estate del 2010 ha prolungato il suo contratto fino al 2014: a 24 anni hai tutta la vita davanti, soprattutto se giochi a buoni livelli in Premier League. Scuola Arsenal, viene mandato in prestito al Birmingham nel 2006, a 18 anni.

Prima di lasciare Londra viene schierato titolare contro Sunderland e Reading nell’allora Carling Cup, tra fine ottobre e fine novembre 2005: giusto per citare la formazione iniziale mandata in campo da Arsène Wenger allo Stadium of Light, Almunia in porta, Cygan, Campbell, Senderos ed Eboué in difesa. Song, Larsson e Muamba, appunto, in mediana, alle spalle di Owusu-Abeyie, il “nostro” Arturo Lupoli e Van Persie. Risultato finale: 0-3, con doppietta dell’olandese.

Fabrice Muamba Arsenal 2005Getty

Nel 2009, invece, arriva secondo con l’Inghilterra Under 21 agli Europei di categoria, in Svezia, alle spalle della Germania di Neuer, Boateng, Howedes, Khedira e Ozil. Campioni del Mondo in Brasile, nel 2014, mica per nulla.

Quella finale, disputata a Malmo, termina 4-0: una partita senza appello. Negli inglesi, guidati da Stuart Pearce, tra i nomi che verranno ricordati ci sono Rodwell (senza fortune), Richards, Walcott e Milner. Muamba gioca in cabina di regia. L’esperienza non terminerà con la coppa in mano, vero, ma viene comunque inserito nella formazione tipo della competizione.

La stagione 2011/12, al di là di quel che racconteremo più avanti, segnerà il ritorno in Championship del Bolton dopo un decennio in Premier League: concluderà il campionato al diciottesimo posto. Da quell’anno lì in poi non è più riuscito a ritornare in massima serie: per intenderci, attualmente si trova in Football League One, dopo la promozione conquistata nel 2021.

A conti fatti al Bolton sarebbe bastato vincere contro lo Stoke City già salvo all’ultima giornata, e ci stava pure riuscendo: tant’è che al 45’ una doppietta di Kevin Davies aveva portato il risultato sull’1-2, prima che arrivasse la rete di Walters al 77’. Una di quelle giornate vissute con la radiolina su tre campi: al Britannia Stadium come allo Stadium of Light, dove il Manchester United di Sir Alex Ferguson avrebbero vinto per 0-1 grazie a Wayne Rooney, ma soprattutto all’Etihad, nella più memorabile partita che la storia recente della Premier League possa raccontare. Manchester City-QPR 3-2.

Il 2-2 del Britannia condanna il Bolton, però: bastava una vittoria. Solo una vittoria. Ma rientra tutto nelle logiche di una stagione maledetta. Per Muamba è anche quella maggiormente prolifica: segna 2 goal tra Premier League, alla prima contro il QPR, e Carling Cup, contro l’Arsenal. Un cerchio che si chiude.

Rafel Van Der Vaart si porta le mani al volto quando vede il corpo del centrocampista inglese steso a terra, in quella sera del 17 marzo: Webb permette allo staff sanitario di entrare in campo. In pochi istanti si è già creato un capannello di giocatori attorno al giocatore del Bolton. Poi si avvicina anche Coyle, l’allenatore, mentre sugli spalti qualcuno inizia a piangere. Si crea un silenzio surreale. Muamba ha avuto un arresto cardiaco.

Entra anche un cardiologo che stava assistendo al match: i giocatori si mettono a pregare, mentre provano a rianimarlo. Anche Webb è in difficoltà: tiene le mani giunte sulle labbra, mentre cammina avanti e indietro in ogni direzione del campo. Si consulta con i capitani delle due formazioni e sospende la partita.

Da lì per Muamba ne inizia un’altra, però: uscito in barella tra gli applausi di tutto lo stadio, viene trasportato all’Heart Attack Center del London Chest Hospital. Le sue condizioni appaiono sin da subito critiche. A pensarci sembra incredibile. Ha giocato più di 200 partite da professionista, ma quel giorno il suo cuore aveva deciso di smettere di battere, a neanche 24 anni.

“L’altro” match del centrocampista inglese viene disputato su tre fronti: campo, ambulanza e ospedale e fura esattamente 78 minuti. È passato in svantaggio, poi ha lottato e combattuto, rimontando.

“Sono passati 48 minuti da quando è collassato a quando ha raggiunto l’ospedale e altri 30 minuti dopo: era a tutti gli effetti morto”. Morto per 78 minuti, come spiegò nei giorni a seguire Jonathan Tobin, medico sociale del Bolton, alla BBC.
Muamba Tottenham MariborGetty

Non l’abbiamo visto, non avremmo potuto, ma quello siglato da Muamba al 78’ di quella “partita” deve essere stato un goal spettacolare: da quando il suo cuore ha ripreso a battere a quando le sue condizioni sono state definite non più “critiche”, ma “serie” passarono due giorni. Dimesso dall’ospedale ad aprile (con l’impianto di un defibrillatore cardiaco interno), si è trovato di fronte a una scelta importante: riprendere a giocare, seguendo un percorso di riabilitazione (Eriksen ne è l’esempio attuale), o smettere per sempre.

“Dopo aver visto tre dei migliori specialisti al mondo la mia mente ha detto come ‘Basta adesso’. Sentirsi dire ‘No, no, no’ ogni volta può essere molto brutto. Quindi mi sono preso una vacanza: non volevo vedere calcio, non volevo avere nulla a che fare con il calcio. Per me è stata una sensazione agrodolce, ma sono felice e grato di essere ancora qui”, ha poi raccontato a UCFB.

Ha studiato per fare l’allenatore, guidando le giovanili del Rochdale: recentemente gli è stato offerto un ruolo nell’Academy del Bolton. Dopo il ritiro, sempre nel 2012, è stato invitato dal Tottenham a White Hart Lane per la gara di Europa League tra gli Spurs e Maribor. Nel prepartita lo speaker dello stadio annuncia la sua presenza: tira un sospiro, trattiene a stento le lacrime e cammina verso il cerchio di centrocampo, raccogliendo l’applauso dello stadio. Poi si sposta e indica con il sorriso il punto in cui è collassato: un’immagine simbolo. Quella della zolla da cui ha calciato il “pallone” per il goal più importante della sua carriera. Quello che gli ha regalato la vita.

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