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28 maggio 2017: 7 anni fa Francesco Totti lasciava il calcio

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Sono trascorsi già 7 anni da quel 28 maggio 2017 durante il quale, per una volta, un post-partita fece più ascolti di una partita. Già, perché il saluto di Francesco Totti alla sua Roma piazzò immobili davanti allo schermo milioni di appassionati, romanisti e non, amanti del calcio ma non solo. Perchè quella contro il Genoa non fu l’ultima partita di un calciatore con la maglia della sua squadra, ma l’ultimo atto d’amore, tra un ragazzo e la sua gente, tra un uomo e la sua città.

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Per molti, tra calciatori, addetti ai lavori e amici di Totti, quel giorno Francesco ha giocato la partita più iconica della sua carriera . No, niente cucchiai, niente assist “alla cieca”, niente goal. Anzi, ad essere onesti, anche una prestazione piuttosto anonima. Quel giorno, però, Totti ha raccolto quanto seminato nei suoi 25 anni di carriera, vale a dire l’amore dei suoi tifosi e la silenziosa stima di tutti gli avversari, anche quelli che lo hanno amato poco ma che quel giorno non hanno potuto far altro che riconoscerne coerenza, valori e devozione alla causa.

Quella “corsa al biglietto”, iniziata nel momento in cui ‘Il Capitano’ aveva annunciato su Facebook che sì, quella contro il Genoa sarebbe stata davvero la sua ultima partita, e conclusa con un emozionante show di spontaneità lungo 45 minuti, tra giro di campo, consegna di regali, abbraccio con i compagni e discorso al microfono.

Francesco Totti RomaGetty Images

Le emozioni di quel giorno, lo stesso Totti, le ha definite “senza precedenti”. E in effetti, anche a distanza di anni, rivedendo le immagini emerge sempre un qualcosa di speciale, di nuovo. Un volto, un dettaglio, un'emozione. C'è il celebre striscione  "Speravo de morì prima", che sintetizza con geniale ironia e in appena quattro parole il pensiero di tutti i tifosi accorsi all'Olimpico e in lacrime al momento del saluto al Capitano. C'è la commozione di quasi tutti i compagni, la stretta di mano con Daniele De Rossi che no, quel giorno il coraggio di guardare in faccia il suo amico Francesco non ce l'ha proprio. 

E ancora, le parole di conforto riservate ad Emerson Palmieri, uscito dal campo in stampelle quel giorno, poi lo sguardo complice con Nainggolan, ma anche la fredda stretta di mano con Spalletti e, soprattutto, gli occhi spesso posati sui tre figli che, marcati stretti da Ilary , scorrazzano sul terreno dell'Olimpico, probabilmente senza rendersi conto di trovarsi al centro di una scena destinata a diventare immortale.

Po il pallone lanciato in Curva Sud , il buffetto a Perotti (del resto è tutto merito suo se il Genoa non è riuscito a rovinare la festa), le lacrime di Manolas, El Shaarawy e Florenzi, le canzoni di Venditti ad accompagnare il giro di campo del Capitano. Immagini che tornano in mente, una dopo l'altra.

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Ma ciò che forse in pochi sanno, eccezion fatta per coloro i quali hanno letto la biografia “Un Capitano”, scritta a quattro mani col giornalista Paolo Condò, è che il passaggio dal calcio al post-calcio, per Francesco Totti è stato davvero repentino.

Proprio quel giorno, infatti, quasi a volerlo aiutare ad accettare il nuovo status delle cose, il destino gli giocò un brutto scherzo che però lo stesso Totti definì fondamentale per voltare pagina.

Una volta conclusa la festa all’Olimpico – racconta Totti nel libro – Ilary lo portò a cena fuori, in un ristorante nel quale aveva radunato a sorpresa circa 150 persone, le più vicine al marito, tutti con addosso la proverbiale maglietta con su scritto “6 unico”. Dopo la divertente serata, Francesco e Ilary fecero rientro a casa, ma ad attenderli trovarono una brutta sorpresa, così sintetizzata dallo stesso Capitano:

“Torniamo a casa alle due e mezza, Cristian e Chanel sono distrutti dal sonno, il cancello corre sui binari e Ilary nota subito le luci accese in cucina. Che succede? La faccio scendere prima di portare la macchina in garage, e quando entro in casa l’agitazione è massima. Isabel (la figlia più piccola) fatica a respirare, il trambusto delle tate nasce da lì. Ilary chiama sua madre, che abita accanto a noi, e insieme partono per il pronto soccorso del Bambino Gesù. Io metto a letto gli altri due e mi piazzo sul divano in attesa di notizie. L’angoscia è tale che improvvisamente ho dimenticato tutto, la giornata, i mesi precedenti, la mia carriera: l’emergenza di Isabel prevale su ogni cosa. Voglio che lei stia bene, è l’unica cosa che chiedo e il sospiro di sollievo che tiro quando Ilary, con un sms, mi segnala che sta reagendo bene alle cure, l’avranno sentito in tutta Italia. Il medico ha detto che si tratta di un laringospasmo dovuto a qualche allergia o virus. Quando realizza che è mia figlia, e che quindi ha passato il pomeriggio a rotolarsi sul prato dell’Olimpico, dice che l’ha preso sicuramente lì. Nulla che un antibiotico non possa guarire.

Naturalmente non c’è alcuna connessione – se non appunto la presenza sul prato – fra il mio ritiro e lo choc che ha preso Isabel. Ora che sono più tranquillo, però, non posso fare a meno di pensare che la vita vera mi abbia inviato subito un segnale di festa finita: Francesco, ti sei divertito abbastanza”.

Già. E hai fatto divertire abbastanza anche tutti noi, fidati.

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