28 dicembre 1993: Roberto Baggio vince il Pallone d'Oro. È il primo italiano a riuscirci undici anni dopo Paolo Rossi, il terzo in assoluto dopo ‘Pablito’, appunto, e Gianni Rivera.
È un trionfo mai in discussione nell’anno in cui il Milan di Fabio Capello domina la Serie A ma perde la finale di Champions League contro il Marsiglia, mentre la Juventus guidata da Giovanni Trapattoni chiude il campionato al quarto posto, ma riesce a portarsi a casa la Coppa Uefa.
Una Coppa Uefa che, mai come quella volta, ha un solo cognome: Baggio. Doppietta di Roby e goal di Dino all’andata, doppietta di Dino al ritorno: così i bianconeri travolgono il Borussia Dortmund nella doppia finale valsa alla Vecchia Signora il terzo trionfo nella competizione.
Roberto Baggio, quell’anno, è praticamente ingiocabile. Reduce da una stagione conclusa al secondo posto, la Juventus getta le fondamenta per quella che sarà la squadra in grado di conquistare lo Scudetto prima e la Champions League e la Coppa Intercontinentale poi. Arrivano, appunto, Dino Baggio, Moeller, Platt, Ravanelli e Vialli, ma anche lo sconosciuto Moreno Torricelli. Gli ultimi tre diventeranno i pilastri della Juventus di Lippi.
Ma torniamo alla Juve del Trap: con Baggio, Moeller, Vialli, Ravanelli e Di Canio in avanti, i bianconeri divertono e fanno divertire. In fase difensiva, però, le crepe sono troppe come testmoniato dai 47 goal subiti in 34 giornate. Tantissimi. Tre in più del Brescia retrocesso, per intenderci.
È quello il grande limite di quella Juve che, pur potendo contare su difensori affidabili come il tedesco Kohler, il brasiliano Julio Cesar, Carrera e De Marchi a difendere la porta di un giovane Angelo Peruzzi, e nonostante la fama – spesso immeritata – di ‘catenacciario’ del Trap, diverte ma subisce. E alla fine chiude il campionato al 4° posto, alle spalle del superMilan, dell’Inter e del sorprendente Parma.
Tuttavia, Roby Baggio, è lo spettacolo nello spettacolo. Trova 21 goal, quell’anno, tenendo conto del solo campionato: soltanto Beppe Signori riesce a farne di più, 26, ma con ben sette rigori trasformati. È la stagione in cui, di fatto, si conclude la carriera di Marco Van Basten, che col Milan gioca solo il girone d’andata e quella in cui, in Serie A, debutta il giovanissimo Francesco Totti.
È l’anno in cui la Fiorentina di Batistuta, Effenberg e Laudrup retrocederà incredibilmente in Serie B e l’anno in cui viene introdotta la regola che "vieta" il retropassaggio. È l’inizio di una nuova era nel calcio, e Baggio è l’esponente più brillante di quello italiano.
Non solo goal, per il Codino più famoso del Mondo. Baggio incanta, stupisce, travolge. Quando è in giornata di grazia è inarrestabile. Come quando, nel dicembre del 1992, batte praticamente da solo l’Udinese con quattro goal (e mezzo) che valgono il 5-1.
Ma, come detto, in Coppa Uefa è un tornado. Fa goal nel primo turno con l’Anorthosis, poi si defila un po’ per tornare protagonista nelle sfide determinanti. È sua la doppietta nella semifinale d’andata contro il Paris Saint Germain, giocata al Delle Alpi e vinta dai bianconeri per 2-1 in rimonta dopo il goal di Weah. Al ritorno, al Parco dei Principi, la Juve vince 1-0: il goal, neanche a dirlo, porta la firma di Roberto Baggio.
GettyIn finale, come detto, non ce n’è per nessuno: il Borussia Dortmund passa in vantaggio con Rummenigge, Dino Baggio pareggia e poi è Roberto a chiudere di fatto i conti con una doppietta, pennellando un calcio di punizione tra i più belli della storia del calcio.
Al ritorno finisce 3-0 per i bianconeri: è festa, è tripudio.
Nell’estate del 1993, a Torino, arrivano anche un giovanissimo Alex Del Piero, Porrini, il compianto Andrea Fortunato e ‘soldatino’ Di Livio, ma è sempre Roby Baggio la stella più lucente. E più il gioco si da duro, più il numero 10 si esalta: contro l’Inter e il Milan dà sempre il meglio, sfoderando prestazioni da urlo e goal decisivi.
La seconda parte del 1993 è sfavillante tanto quanto la prima e lo consacra di diritto come miglior giocatore del Mondo. Non c’è storia, il Pallone d’Oro è suo. Alle sue spalle si piazzano Dennis Bergkamp, passato in estate dall’Ajax all’Inter, e la stella del Manchester United Eric Cantona.
Col Pallone d’Oro in tasca, Baggio non si ferma. La seconda parte della sua stagione è, se possibile, ancor più devastante: chiude il campionato con 17 goal all’attivo, terzo in classifica marcatori e si presenta ad Usa ’94 come protagonista annunciato e, dopo un inizio un po’ travagliato, diventa la stella assoluta della Nazionale azzurra e dell’intero Mondiale.
In finale, però, complici anche il caldo asfissiante ed alcuni problemi fisici, stecca. Si vede poco o nulla e poi, ironia della sorte, condanna l’Italia alla sconfitta spedendo alle stelle quel calcio di rigore che, di tanto in tanto, fa ancora capolino tra i suoi incubi. Probabilmente quel Mondiale l’avrebbe vinto comunque il Brasile ma, di fatto, l’ultimo pallone toccato in quel Mondiale è quello. È quello a rimanere iconico e a costargli con ogni probabilità il secondo Pallone d’Oro consecutivo che va a Hristo Stoichkov, capocannoniere del Mondiale (al pari del russo Oleg Salenko) e trascinatore della Bulgaria fino alle semifinali.
GettyUn premio che ha forse premiato oltre i propri meriti il bulgaro che, dopo quel Mondiale, sparirà gradualmente dai radar del grande calcio. Baggio, che Stoichkov e la sua Bulgaria li aveva estromessi dai Mondiali con una doppietta, si dovette accontentare del secondo posto, davanti a Paolo Maldini. Un secondo posto che, quasi certamente, non sarebbe stato tale se la finale dei Mondiali a Pasadena avesse avuto un altro esito. Ma quella è tutta un’altra storia e, per fortuna, Baggio nella propria bacheca può comunque vantare il riconoscimento più ambito al Mondo e conquistato nel 1993. 28 anni fa. Quando, in Italia, tanti ragazzini improvvisavano altrettanti improbabili codini per somigliare a lui. A Roberto Baggio. Al Divin Codino. Al calciatore più forte del Mondo.


