"Vestire la maglia della Nazionale italiana? Sarebbe un onore, un orgoglio per me": sono da poco finiti gli Europei del 2012 quando Jorginho si reca in Comune, a Verona, per firmare il rito legato alla realizzazione di un sogno, quello di diventare italiano a tutti gli effetti.
Lui, pronipote di Giacomo Frello, il vicentino di Santa Caterina di Lusiana che a fine 1800 ha lasciato l'Italia per cercar fortuna in Brasile, allora era solo "uno dei tanti" giocatori potenzialmente interessanti del panorama calcistico italiano: aveva seguito la Nazionale di Cesare Prandelli da casa, una volta terminata la sua prima stagione completa con il Verona, sognando Andrea Pirlo. Non ha mai pensato sul serio, forse, di poter riscattare la sconfitta di Kiev contro la Spagna.
"Questa è incredibile", spiega a Sky Sport indicando la medaglia al collo. "Grazie ai miei genitori ho continuato a giocare. Non ci sono parole: quando ha fischiato l'arbitro ho detto 'ma dove siamo arrivati?'".
E' il 29 maggio, 9 anni dopo: nella vita di Jorginho sono successe diverse cose. Ha giocato nel Napoli, diventando un perno fondamentale del progetto di Maurizio Sarri, salvo poi seguirlo a Londra, al Chelsea. Vince un'Europa League, quindi guida la formazione poi divenuta di Thomas Tuchel alla vittoria della Champions League contro il Manchester City.
"Ho i brividi: abbiamo ancora tante emozioni da vivere. E' stato un passo importante della mia carriera, ma non finisce qui", aggiunge.
GettyPerché di "Jorgi" si può discutere: ad alcuni non piace. Al suo arrivo a Londra ci ha messo un po' ad ambientarsi, ad esempio: a Napoli viene addirittura escluso dalla lista UEFA stilata da Rafa Benitez, dopo il suo arrivo avvenuto nel gennaio del 2014. Trascorre momenti difficili: poi rinasce, con il solito sorriso. E, sì: come fai a non credere a quel "non finisce qui?" pronunciato al Do Dragao?
E pensare che il suo 2021 si era aperto con una panchina, proprio contro il Manchester City, in Premier League: in perfetta controtendenza con il leitmotiv di un anno che gli avrebbe restituito i sacrifici compiuti in una vita intera.
Chiusa la valigia e rientrato dal Portogallo, Jorginho ha portato con sé la medaglia vinta con il Chelsea a Coverciano: un campione d'Europa in una squadra che mirava almeno a far dimenticare quanto accaduto nel novembre del 2017. Quanto vissuto in prima persona a San Siro: 90 minuti da incubo. Di partite Jorginho ne ha giocate: come quella, però, nessuna.
Forse è anche per questo che ad un certo punto non credeva neanche più alla possibilità di vincere qualcosa: una notte del genere, come quella contro la Svezia, distrugge i sogni e ne frena la ricrescita. La forza di "Jorgi", come degli altri, è stata quella di non fermarsi.
GettyFatto sta che i 43 giorni vissuti tra la finale del Do Dragao e quella di Wembley fanno scuola a chiunque nutre anche il minimo dubbio di fronte alla realizzazione di un progetto lungo una vita: gioca tutte le gare degli Europei con l'Italia, dalla prima all'ultima. In semifinale, contro la Spagna, si presenta dal dischetto come il predestinato di un incarico riservatogli dal destino: rincorsa, finta e palla in rete. Un Paese intero esulta.
In finale, contro l'Inghilterra, lo rifa: rincorsa, finta e parata. Un Paese intero sussulta. C'è di più: ci deve essere di più. Ci pensa Gianluigi Donnarumma e il sogno si realizza. Gli Europei con l'Italia sono la perfetta chiusura di quel percorso iniziato all'indomani di EURO 2012, con l'acquisizione della cittadinanza italiana. Era un sogno: è diventato realtà.
Quel che viene dopo non riesce comunque a macchiare un 2021 magico: gli errori dal dischetto contro la Svizzera, all'andata e al ritorno, nelle qualificazioni ai Mondiali in Qatar del 2022 sono solo una piccola frenata in un percorso vissuto di corsa.
Finisce anche terzo nella classifica del Pallone d'Oro: segno tangibile della bontà del lavoro svolto, ben al di là dello scetticismo e delle critiche.
Sempre con le geometrie e la visione di chi dirige il proprio destino dalla cabina: proprio come un film dal finale già scritto in cui i buoni vincono sempre, tenendo una medaglia in mano pur senza crederci.


