L’11 settembre 2001, il giorno che ha cambiato per sempre il nostro modo di vivere, è stato anche il giorno in cui il calcio perse una grandissima occasione per mostrare la propria sensibilità alle cose del mondo.
I fatti, innanzitutto. La sera di martedì 11 settembre è in programma la prima giornata della Champions League 2001/02, e le italiane in campo sono la Roma (in casa contro il Real Madrid) e la Lazio (a Istanbul contro il Galatasaray). In particolare, c’era grande attesa per i giallorossi, che tornavano nel massimo torneo continentale dopo 17 anni e accoglievano il Real Madrid del neoacquisto Zidane (squalificato quella sera), in un Olimpico tutto esaurito con 4 miliardi di lire di incasso (2 milioni di €) e 35 televisioni collegate.
Anni dopo, in un’intervista a Sky, Vincenzo Montella raccontò la sua testimonianza di quella sera: “Eravamo basiti, incollati allo schermo, come tutti. Le immagini parlavano da sole, sconvolgenti... Furono momenti di sgomento, ma noi dovevamo anche pensare che di lì a poco ci saremmo trovati di fronte il Real... E invece arrivammo allo stadio discutendo solo delle notizie che provenivano da New York. Ci guardavamo in faccia soltanto in attesa di avere qualche novità. Finché, all'ultimissimo istante, non ci comunicarono che si sarebbe giocato”.

Una scelta motivata da motivi di ordine pubblico, e che riguardò tutte le partite di quella sera, giocate in un clima irreale, con la netta sensazione – in campo come nelle tribune e nelle case – che il minuto di silenzio prima del calcio d’inizio fosse un paravento piccolo come una briciola, davanti all’evidenza di un momento storico in cui tutto, anche una giornata di Champions League con annesso indotto economico, sarebbe dovuto passare in secondo piano.
Le cronache di quel giorno parlano di un Franco Sensi determinato sulla posizione di non voler giocare la partita (a fine gara dirà “dalla fine della guerra non ricordo niente di più tragico”) al pari di Franco Carraro, piegati – come tutti – solo dalla ferrea volontà del Segretario Generale della UEFA Gerhard Aigner, che minacciò lo 0-3 a tavolino per chi non si fosse presentato in campo.
Fabio Capello, nelle dichiarazioni del dopo-partita, quando la sconfitta per 1-2 non aveva alcuna importanza per nessuno, rincarò la dose: “Ero convinto che non avremmo giocato e questo era anche il pensiero dei ragazzi. Sarebbe stato più giusto dare un segnale al mondo intero. Non si poteva trattare di una festa, siamo scesi in campo portandoci dietro un peso grosso come un macigno”.
Il giorno dopo, la UEFA rinviò le partite in programma, tra cui Porto-Juventus, dopo che i bianconeri avevano vissuto ore di tensione, costretti a lasciare il loro albergo perchè troppo vicino a un obiettivo sensibile. Una decisione tardiva e maldestra, che rese ancora più evidente il fatto che non fosse possibile, quella sera, parlare di calcio.
