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Daniele De RossiGetty

Da cosa deve ripartire De Rossi dopo Roma-Inter: il primo tempo, la mentalità e la libertà di pensiero

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Si dice, spesso, che una squadra è lo specchio del carattere e della mentalità del suo allenatore. "L'atto" di un processo ben preciso che trasforma in concretezza l'idea "in potenza". Forse è ancora presto per dire che con la Roma di Daniele De Rossi sta accadendo proprio questo.

Quattro partite sono un dato troppo stretto per comprendere se i giallorossi hanno imboccato la strada che consentirà loro di svoltare definitivamente e di costruire un progetto vincente. Non lo sappiamo, non lo sa nessuno.

Quel che consegna Roma-Inter, le dichiarazioni postpartita e l'atteggiamento mostrato dalla squadra, in particolare nel primo tempo, rappresentano, però, un buon punto di partenza per capire da dove e cosa può e deve ripartire la formazione di Daniele De Rossi.

  • FIGLIO DI SPALLETTI

    Partiamo proprio dalle parole rilasciate da Daniele De Rossi al termine di Roma-Inter, ai microfoni di DAZN. Chiare, senza troppi giri di parole.

    "Sono un figlio calcistico di Spalletti, e lui non voleva complimenti per una partita persa".

    Nello sguardo del tecnico, mostrato dalle telecamere dopo il pareggio di Gianluca Mancini, c'è molto del senso della scelta di chiamare DDR sulla panchina giallorossa.

    Guarda i suoi, fa una smorfia rabbiosa. Il rimando a Spalletti non può che incorniciare il resto: De Rossi non sa se l'anno prossimo sarà ancora sulla panchina della Roma. A tratti sembra quasi non importargli, per quanto è immerso nella missione di dare una direzione giusta ai suoi ragazzi.

    Questo, forse, è il lato che più lo accomuna all'attuale Commissario Tecnico: "Uomini forti, destini forti". Se si perde, si è perso anche se si è giocato bene. Questa la sintesi: il primo passo verso una maggior consapevolezza.

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  • UN PRIMO TEMPO PERFETTO

    Il dato che aiuta a comprendere meglio il primo tempo della Roma lo consegna direttamente l'Inter: solamente in altre due occasioni, contro Sassuolo e Bologna, in questa stagione di Serie A la formazione di Siimone Inzaghi aveva subito due reti.

    E, tra l'altro, in entrambi i casi mai nel primo tempo. La decisione con cui i giallorossi scendono in campo contro i nerazzurri è talmente sorprendente che fino alla rete di Francesco Acerbi l'Inter fatica a mettere in pratica la dote che, con ogni probabilità, gli viene riconosciuta di più. Il palleggio.

    De Rossi in questo dimostra di saper studiare le partite: un'altra squadra capace di mettere in difficoltà i nerazzurri in questo modo era stata il Napoli in finale di Supercoppa Italiana. Anche in quel caso, Walter Mazzarri aveva dato compiti ben precisi ai suoi: possesso inter ai minimi, Hakan Calhanoglu senza vie di passaggio pulite.

    A differenza degli azzurri, però, la Roma ha saputo sfruttar meglio le occasioni in transizione: a DDR va dato il merito di aver permesso a Lorenzo Pellegrini di ritrovarsi. Questa una delle chiavi di volta del match dell'Olimpico: un giocatore che fa alla perfezione ciò che gli viene chiesto nelle due fasi e che rifinisce con qualità, anche meglio di Paulo Dybala. Ritmo, corsa e precisione. E idee chiare, soprattutto.

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  • Lukaku Roma InterGetty

    DA COSA RIPARTIRE: DECENTRALIZZARE LUKAKU

    Lo si è visto, in parte, nelle prime tre partite: decentralizzare Romelu Lukaku è servito. Poi, ovvio, non dipende mica da Daniele De Rossi se "l'attaccante principe" della Roma prima sceglie di superare Yann Sommer, pur non avendo dalla sua doti da dribblatore, e poi butta alle ortiche un goal ciccando il pallone dopo aver preso perfettamente il tempo su Alessandro Bastoni.

    Più in generale, però, decentralizzarlo ha giovato al gioco dei giallorossi, o così pare. Allunga la squadra, ma non è più il perno delle azioni offensive della Roma (come, invece, voleva José Mourinho). Far ciò ha permesso a Pellegrini e Dybala di agire in maniera libera sulla trequarti e di allargare il fronte d'attacco, decongestionando le vie centrali. Non è un caso che la formazione di DDR abbia creato le migliori occasioni sulle vie esterne, nelle ultime giornate.

    Inoltre, dal punto di vista progettuale decentralizzarlo non è un dramma. Si tratta pur sempre di un giocatore che al termine della stagione farà rientro alla base, lasciando la capitale (salvo scenari clamorosi e, al momento, irrealizzabili). Poi sì: Lukaku fallisce i big match, questo sì, ma non dipende da De Rossi.

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  • PRIMO OSTACOLO: L'EUROPA COME ESAME

    Fallito il primo vero banco di prova della sua gestione, Daniele De Rossi si trova dunque a fare i conti con il primo vero esame del suo percorso sulla panchina giallorossa.

    Aveva ragione alla vigilia: "Tutte le squadre al mondo sono battibili". L'inter non è stata, forse, anche perché parecchio avanti nel percorso di consapevolezza rispetto a una formazione che si è trovata a vivere una rivoluzione in panchina dopo due anni e mezzo di progetto basato su altri principi.

    Il Feyenoord ha dato tanto alla Roma, in termini simbolici, durante l'esperienza Mourinho: la Conference League, una svolta nella stagione in cui i giallorossi hanno raggiunto la finale di Europa League.

    Solo dopo gli olandesi si potrà realmente capire a cosa stiamo assistendo: se a una effettiva trasformazione della Roma o a una traversata verso il futuro. Per ora, comunque, DDR ha già offerto spunti dai quali ripartire.

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