Ci piace tanto rimanere ancorati al passato, incapaci di andare avanti, burocraticamente fermi e senza desiderio di guardare ad una realtà che cambia. Anche nel mondo del calcio si cerca, in tanti aspetti, di restare immobili e continuamente attaccati a vecchie leggi non scritte, anche se ormai ampiamente superate.
Basti pensare alla famosa quota 40, quella che un tempo aveva senso nei discorsi salvezza e che da anni, e non pochi, non ha più il minimo senso. Parlare di permanenza in Serie A solamente una volta raggiunta questa fatidica cifra è sbagliato, considerando che la storia recente, e il presente, disegnano una massima serie in cui si è sicuri di rimanere con un punteggio nettamente inferiore.
Da Calciopoli in avanti, da quando il pallone italiano è stato sgonfiato da inchieste, penalizzazioni e retrocessioni, la Serie A non è più stata la stessa, il che ha portato tantissimi tifosi delle big, specialmente, a urlare indignati, alla ricerca di un riducimento delle squadre. Insomma, dalle venti attuali alle diciotto del passato.
Con enorme sommossa popolare da parte dei fans delle squadre pronvinciali o in continua lotta per arrivare a fine anno, alla fine il campionato non è cambiato, ancora con venti squadre al via e tre retrocesse nella Serie B successiva.
Indubbiamente ed oggettivamente, però, la quota salvezza del passato non è più così alta. Chiamarla quota 40? Basta così.
Per rimanere in Serie A occorre raggiungere un totale di punti decisamente più basso. La differenza tra le big assolute in lotta per la Champions e quelle per rimanere nella massima serie è ogni anno sempre più elevata, ma è indubbio che lo stesso valga per quella tra le retrocesse e le squadre alla fine classificate tra il 13esimo e il17esimo posto.


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