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Il "guardiolismo" incompleto: la missione a "metà" di Pep in Champions League

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I nastri al vento del Dragao, in uno stadio semivuoto, reso anonimo, ahinoi, da una pandemia che stava solo alleggerendo la sua presa, prima di abbandonare per sempre (si spera) la missione di rovinarci in termini sociali e culturali, suggeriscono un epilogo che ha smesso di sorridere a Pep Guardiola poco prima che Mateu Lahoz fischiasse la fine del primo tempo. Tra l’altro, su un’azione che è apparsa come il perfetto manifesto dell’anti-guardiolismo: un filtrante lungo metà campo che va a bucare la difesa altissima del Manchester City, e che costringe Ederson a un’uscita priva di ragione. Guardiola è battuto.

Anni luce, in termini calcistici, rispetto alla perfezione espressa dal suo Barcellona: dal punto più alto della sua rivoluzione. Dal momento in cui il calcio lo ha eletto (salvo poi pentirsi più avanti) a profeta venuto a salvare le sorti di tutto. Giusto un po’ eccessivo.

  • IL "PRIMO GUARDIOLISMO"

    Ha avuto una data di scadenza, il “primo guardiolismo” (su quello in corso ci riserviamo un’altra possibilità di revisione, post finale di Istanbul): andava consumato “entro e non oltre” il 28 maggio del 2011. Il giorno della rivincita di Wembley, due anni dopo Roma: la partita in cui, per intenderci, il globo terracqueo ha riconosciuto all’unanimità che una squadra come quel Barcellona non sarebbe mai più arrivata. Che quella bellezza non sarebbe mai stata raggiunta.

    Non c’è stata partita, se non tra gli attaccanti blaugrana e Edwin van der Sar: ed è comunque durata poco. Dopo mezz’ora il Barça è già avanti, con Pedro. Neanche il pari siglato da Wayne Rooney può cambiare gli equilibri.

    Ricapitoliamo, insieme, la formazione iniziale di quella gara lì. Giusto per comprendere. Davanti a Victor Valdes ci sono Dani Alves, Javier Mascherano, Gerard Piqué ed Eric Albidal. In mediana i soliti Andres Iniesta, Sergio Busquets e Xavi (che fa l’assist, proprio, per la rete di Pedro). Tridente composto da Lionel Messi, David Villa e Pedro.

    C’è qualcosa di diverso, rispetto a Roma: in difesa Mascherano, arretrato alla linea più bassa, offre una completezza maggiore rispetto a Charles Puyol. Davanti David Villa è semplicemente perfetto: duttile, agile, tecnico. E poi c’è la perfetta espressione di Leo, che si è rivelato, in maniera decisa, nel doppio Clasico in semifinale contro il Real Madrid. Iconico, inarrivabile: ingiocabile.

    È lì, comunque, che si è esaurito il “primo guardiolismo”: con la concessione della fascia di Puyol a Eric Abidal. Uno che in quell’anno, il 2011, scopre di avere un tumore al fegato e che, dopo l’operazione, torna in campo per alzare la Champions League. Ma in tutti i sensi, eh: fisicamente. Quel gruppo aveva superato i canoni tecnici: era diventato semplicemente “metafisico”.

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  • IL "SECONDO GUARDIOLISMO"

    “L’area divenne una trincea e l’ho fatto senza vergogna”. (Diego Pablo Simeone)

    La verità è che c’è stato un momento in cui tutti hanno iniziato a pensare a Guardiola come un allenatore non più rivoluzionario, quanto capace di vincere più Champions League in scioltezza, grazie a un gioco quasi impossibile da prevedere, nella sua tessa prevedibilità. E non è così.

    Il punto, messo in mostra nel corso del “post-Wembley” (che dura ancora oggi e che chiameremo, come periodo, il “secondo guardiolismo”), è che le squadre di Guardiola a un certo punto si sono incartate, piegate sulle loro stesse premesse.

    Nel 2016 il suo Bayern Monaco è la migliore squadra al mondo. Ma, attenzione: come lo è stato il suo Manchester City nel 2022, pur avendo preso due gol in un minuto dal Real Madrid in semifinale. O come la squadra che ha affrontato il Chelsea di Thomas Tuchel: superiore, secondo i pronostici.

    Ecco, nel 2016 è stato messo in pratica più o meno lo stesso delitto, operato, nella forma e nella sostanza, da una squadra che è sembrata a tratti talmente superiore da mostrare il suo lato debole. La tensione, il nervosismo. L’incapacità di render concreto quel che in potenza è perfetto.

    Il goal di Robert Lewandowski, al 74’ della partita contro l’Atletico Madrid, in semifinale, ne è la dimostrazione: i bavaresi hanno appena siglato il pari, ma all’andata è finita 1-0 per i Colchoneros. È impressionante, quella sfida lì: il Bayern potenzialmente può chiudere il primo tempo sul 4-0. Come minimo: e invece no, finisce 1-1. Finisce 1-1 e il Bayern di Pep viene eliminato da quello che verrà definito un catenaccio (operato da Diego Pablo Simeone), nel senso puro della parola.

    “Io non sono mai capace di fare catenaccio: però ammiro la sua capacità di resistere e resistere e resistere perché sa che a un certo punto la squadra creerà la giusta occasione”.

    Amen. Guardiola, stressato da un calcio più efficace, crolla con il suo castello costruito su concetti ornamentali. Siamo andati persino oltre, in quel caso, la fine.

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  • GuardiolaGetty

    QUANTE CHAMPIONS HA VINTO PEP GUARDIOLA?

    Le due vinte nel 2009 e nel 2011 rimangono le uniche Champions League di Pep Guardiola: due delle massime espressioni di calcio mai viste nell’epoca moderna. Esaltate da un Lionel Messi, in entrambi i casi, messaggero dai buoni e dolci concetti, delicati come il mancino che batte Iker Casillas in semifinale, nel Clasico, o come il colpo di testa che supera Van der Sar, a Roma.

    Il guardiolismo puro, prima del secondo: due finali vinte, una persa: questa, la quarta, segna il futuro. Segna, per tutti, il divisorio tra Pep e la sua stessa immagine da vincente, consegnata al calcio al 90’ di una partita che di combattuto ha avuto poco. Il 2-0 pulito, emblematico: profeta del tiki-taka, esteta fino al midollo. Narcisista, forse: anzi, sicuro. Come quando, al Dragao, non toglie la medaglia e la bacia. Ma che baci? Bacia il secondo posto: ecco uno spot per lo sport, dicono. No: ecco il volto di un uomo che ha perso, ancora.

    Si gratta la testa, in conferenza stampa all’Ataturk, alla vigilia della finale contro l’Inter: “E’ un sogno, non un’ossessione”. E qualche frase qua e là, piazzata strategicamente e volta a creare tensione. Verso il “terzo guardiolismo”: comunque vada.

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