Palestina squadraGetty Images

Palestina fuori dal Mondiale, ma il ct sogna ancora: "Giochiamo per i bambini e gli anziani"

Sognava ancora per qualche mese, almeno, la qualificazione al Mondiale 2026. La Palestina, invece, ha visto le proprie speranze svanire all'ultimo minuto, quando un rigore assegnato all'Oman ha permesso al team avversario di pareggiare e guadagnare l'accesso alla fase successiva del percorso asiatico. Una beffa enorme e crudele, considerando quanto la Nazionale rappresenti un barlume di speranza a Gaza, dove nell'ultimo biennio sono state uccise oltre 50.000 persone.

"Il modo in cui abbiamo perso è stato assurdo" racconta Ehab Abu Jazar, ct della Palestina, a 'Repubblica'. La partita si è svolta in Giordania, visto che tra l'occupazione israeliana e la guerra in corso la Nazionale non può giocare in patria da diversi anni, anche considerando come lo stadio locale sia stato distrutto e ricostruito nel 2021, quando in teoria i giocatori sarebbero nuovamente dovuti tornare in campo dopo una lunga attesa.

"Il rigore è stato visto solo l'arbitro che non è andato a rivederlo al VAR... Perché? Tutto questo ha lasciato alla nostra gente un enorme senso di ingiustizia. In momenti del genere non c'è molto da dire ai tuoi giocatori, solo che sappiano che stavano per fare la storia e che prima o poi la scriveremo. È una squadra giovane, una generazione d'oro per il calcio palestinese".

  • CONCENTRARSI SUL CAMPO

    Dopo mesi, il mondo sembra pian piano accorgersi realmente del genocidio in atto a Gaza. Ehab Abu Jazar racconta di come sia stato alquanto complicato concentrarsi sul campo, dove la Palestina si è avvicinata realmente alla nuova fase di qualificazione che mette in palio altri due posti al Mondiale 2026 per le squadre asiatiche, nonchè uno ulteriore eventuale da giocarsi negli spareggi internazionali.

    "Non è semplice da raccontare" racconta il ct della Palestina. "Ero in ritiro mentre mia madre, i miei fratelli e le loro famiglie erano sfollati a Khan Younis e vivevano in una tenda. Si sono riuniti per guardare le nostre partite grazie a dei pannelli solari".

    "Mentre i giocatori si allenavano e giocavano, i loro parenti erano sotto i bombardamenti a Gaza, altri nei campi profughi in Libano e in Cisgiordania, mentre l’occupazione israeliana assediava città come Nablus, Ramallah, Betlemme e Gerusalemme, da dove provengono alcuni di loro. Eppure, sopra ogni cosa, siamo riusciti a rappresentare la Palestina giocando a calcio, a trasmettere un messaggio positivo di resilienza, della nostra esistenza".

  • GIOCARE NONOSTANTE TUTTO

    Come fa la Palestina ad avere la forza di giocare in questo contesto? Il ct risponde in maniera secca, diretta:

    "Abbiamo forse un'alternativa? È così che la nostra gente viene trattata dal 1948. La Federazione ha denunciato questi crimini e le violazioni degli statuti FIFA, ma finora nessuno ha agito. Ci aspetteremmo maggiore solidarietà dal mondo dello sport. Ma in assenza delle istituzioni, abbiamo dalla nostra parte molti calciatori e migliaia di tifosi che sventolano bandiere palestinesi negli stadi. Sappiamo di non essere soli".

    Ehab Abu Jazar parla, in particolare, di come la Palestina abbia chiesto alla FIFA di escludere Israele dalle competizioni ufficiali, come già fatto con la Russia. Attualmente, però, non c'è stata ancora una risposta netta e decisa da parte dell'organizzazione internazionale. A settembre, nell'ambito delle qualificazioni europee, Israele arriverà a Udine per sfidare la Nazionale azzurra guidata da Rino Gattuso.

  • DOLORE, SPERANZA

    "Ciò che mi addolora di più è quanto la nostra gente si fosse emozionata di gioia per una partita di calcio dopo tanto dolore" evidenzia con rammarico il 44enne allenatore. "Ma eccoci qui, di nuovo in piedi, perché sappiamo cosa rappresentiamo".

    "Siamo professionisti ed eravamo concentrati come lo sarebbe stata qualsiasi altra nazionale. Ma siamo anche esseri umani. Come pensa che possa sentirmi quando vengo a sapere che ci sono bombardamenti vicino alla tenda di mia madre? Tuttavia, mi lasci dire una cosa: un filosofo tedesco una volta ha detto "ciò che non ti uccide ti rende più forte". Ed è così che mi sento. Supereremo anche questo".

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  • LA PERDITA E IL PERDONO

    Inutile dire che anche anche il ct, il suo staff e i giocatori hanno perso persone care:

    "Non troverà nessuno a Gaza che non abbia perso un parente o un amico. Ora il mio pensiero è uno solo: cercare di salvare mia madre e i miei fratelli".

    "Giochiamo per i bambini della Palestina, ma anche per gli anziani che probabilmente non avrebbero mai immaginato di vedere una nazionale riconosciuta competere per andare al Mondiale. Nessuno è stato risparmiato. Non si tratta di perdono, ma di giustizia. Una volta che ci sarà giustizia, tutti potremo raggiungere la pace. Una volta che anche io, palestinese, sarò visto come un essere umano con gli stessi diritti degli altri, vivremo tutti in pace".

    A novembre la Palestina tornerà in campo per sfidare la Libia nelle qualificazioni dell'Arab Cup. Sperando che a quel punto, in quel di Gaza, sia arrivato il cessate il fuoco già da diversi mesi.

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