Fin dall'inizio, però, l'adattamento di Zavarov al calcio italiano si rivela complicato e ostico. Innanzi tutto per una ragione tattica: Zoff, infatti, lo vede come regista di centrocampo, ruolo che Sasha, schierato invece daLobanovsky da falso nove ante litteram o rifinitore puro, sa interpretare ma non ama particolarmente, anche perché sul piano fisico (è alto un metro e 71 per 70 chilogrammi di peso forma) paga spesso dazio.
Ci sono quindi i problemi ambientali: fatica a imparare l'italiano e a parlarlo, tanto che la lingua diventa una barriera quasi insormontabile fra lui e lo zoccolo duro italiano della squadra, alloggia nell'appartamento che fu di Ian Rush, un villino quadrifamiliare, quasi un segno del destino, e tende a fare vita riservata con hobby non comuni per un calciatore: è colto, gli piacciono la musica e la lettura, che ritiene "indispensabile come il pane e il sale", e quando i giornalisti gli chiedono quale sia il suo sogno più grande nel cassetto lui non dice lo Scudetto o la Coppa dei Campioni, ma risponde "mir", ovvero, "la pace".
Il debutto assoluto in Coppa Italia il 14 settembre 1988 è pressoché disastroso: parte titolare davanti ai 30 mila spettatori paganti accorsi al Comunale principalmente per vederlo in azione, il doppio di quelli accorsi a suo tempo per vedere la prima di Platini e Boniek, e al 16' va già in goal, ma nella porta sbagliata, segnando una mortificante autorete.
Il numero 10 sovietico sembra un pesce fuor d'acqua e quattro minuti dopo Zoff lo richiama in panchina, inserendo al suo posto Cabrini. La Juventus perde 0-2 con l'Ascoli fra i fischi e sarà eliminata prematuramente dalla Coppa nazionale, rimediando la prima delusione della stagione.
A fine settembre Sasha si riscatta segnando una doppietta che stende il Brescia nell'ultimo turno del Girone F, a giochi ormai compiuti. Dei due goal, i suoi primi in Italia, il più spettacolare è il secondo, un calcio di punizione chirurgico dal limite dell'area, con cui infila Marchegiani all'incrocio dei pali.
L'ambiente cerca di dargli fiducia, di coccolarlo. Debutta in Serie A nella prima giornata, il 9 ottobre 1988, Ma il campionato che disputerà, per i motivi spiegati sopra, sarà incolore: 30 presenze e 2 goal contro Cesena e Napoli il magro bottino. L'arrivo a Torino della moglie Olga con i suoi due figli e il suo carattere d'acciaio aumentano il distacco fra Zavarov e il resto della squadra, allontanando da lui anche l'interprete e vanificando gli sforzi fatti per imparare la lingua.
La Juventus di Zoff chiude la Serie A al 4° posto, rivelandosi nettamente inferiore all'Inter dominatrice ma anche a Napoli e Milan. In Coppa UEFA Zavarov gioca unicamente l'andata dei quarti di finale contro il Napoli, gara vinta 2-0 dai bianconeri al Comunale, ma lo 0-3 del ritorno (con il sovietico in panchina) segnerà la fine dell'avventura.
"Sono frastornato e innervosito dall’attenzione che mi circonda- confessa 'Lo Zar' -. Non ero abituato a finire tutti i giorni sui giornali. Non ho problemi fisici, non ho problemi con Zoff e la società: ma devo capire meglio il calcio italiano. Se sarà necessario in futuro accetterò senza problemi la panchina".
Nell'estate del 1989 sono tanti i mugugni sul rendimento deludente di Sasha. I giornalisti scrivono che il numero 10 ricorda più l’orsacchiotto Misha, la paciosa mascotte delle Olimpiadi di Mosca, che non l'Ivan Drago di Rocky IV. La sua conferma in bianconero, nonostante un contratto triennale, è a rischio, tanto che La Vecchia Signora prova nuovamente l'assalto ad Enzo Francescoli e ad un certo punto il suo trasferimento a Torino sembra cosa fatta. L'Avvocato, suo grande estimatore, vola addirittura a Rio de Janeiro assieme a Giampiero Boniperti per vederlo in azione in Copa America.
L'uruguayano firma un precontratto e visiona alcune case in città, ma Legardere, il presidente del Racing Club di Parigi, si mette ancora una volta di mezzo. Alla fine Francescoli firma con il Marsiglia di Bernard Tapie: ancora una volta niente da fare per la Juventus, e 'Il Principe' resterà per l'Avvocato un sogno proibito.
Per Zavarov si era parlato, in caso di arrivo di Francescoli, di una cessione in prestito al Bologna o al Verona. Sfumato l'uruguayano, dopo un'attenta riflessione, la dirigenza bianconera decide di tenersi Sasha e di provare a rivalutarlo. Gli affianca un altro sovietico, il bielorusso Sergej Alejnikov, strappato al Genoa di Scoglio, giocatore di quantità e dinamismo in grado di interpretare più ruoli in mezzo al campo e decisamente più estroverso di Sasha fuori.
In panchina Zoff è confermato, come il suo secondo Gaetano Scirea, che scomparirà tragicamente ad inizio settembre. Salutano la compagnia invece Laudrup, ceduto al Barcellona, e Altobelli, ormai al termine di una carriera gloriosa, passato al Brescia in Serie B. La Vecchia Signora 'ammaina' anche la bandiera Cabrini, che si accasa al Bologna, e a Torino arrivano due attaccanti: il bomber del Messina, Salvatore Schillaci per tutti Totò, e una giovane promessa del Monza, l'ariete Pierluigi Casiraghi.
Per fare sentire a suo agio Sasha, e togliergli l'impaccio del paragone con Platini, Zoff gli accorda anche un cambio di maglia, con il passaggio al numero 9, quello da lui utilizzato alla Dynamo Kiev, al posto della 10, indossata invece principalmente da Giancarlo Marocchi. All'inizio 'la cura' sembra funzionare: Zavarov comincia su alti livelli la sua seconda stagione italiana, il 1989/90, desideroso di lasciarsi alle spalle le delusioni del primo anno.
Tra la fine dell’estate e il mese di novembre Sasha gioca titolare e risulta determinante in più di un'occasione per la sua squadra. Il sovietico è decisivo soprattutto in Coppa Italia. Nel primo turno, al Sant'Elia, contro il Cagliari di Ranieri, neopromosso in Serie B, la partita è più complicata del previsto e lo 0-0 costringe le due squadre ai supplementari. Al 108' Sasha ha uno spunto da campione, che raramente i tifosi gli hanno visto fare in bianconero. Presa palla sulla sinistra, con un'azione in velocità mette a sedere Fadda, taglia in due la difesa rossoblù e con un tiro preciso supera Ielpo e regala la qualificazione ai suoi.
Zavarov si ripete al 2° turno, con la rete che elimina il Taranto (2-1) dopo il vantaggio iniziale di Schillaci, e farà il tris a gennaio, quando firma lo 0-1 all'Adriatico contro il Pescara e dà un apporto essenziale per la qualificazione della Vecchia Signora in semifinale. In Coppa UEFA va a segno contro i polacchi del Gornik Zabrze, in campionato castiga Ascoli e Udinese. È il 19 novembre, il Muro di Berlino è caduto da 10 giorni e in tanti pensano che per 'Lo Zar' di Lugansk sia l'anno del riscatto. Poi, come l'anno precedente, arriva un periodo di appannamento. A inizio gennaio, però, utilizzato da trequartista-rifinitore, nella stessa settimana della rete decisa al Pescara in Coppa Italia, contribuisce anche al 2-2 con la Fiorentina in campionato.
Ma sul più bello Sasha, dopo aver rotto persino con Alejnikov, sembra a causa delle rispettive mogli, cade in un'eclissi difficile da spiegare anche per i suoi estimatori più accaniti. A prendersi il palcoscenico sono allora Schillaci, il nuovo idolo dei tifosi, e Casiraghi.
Se in campionato la Juventus deve rassegnarsi nuovamente ad un ruolo da comprimaria rispetto al Napoli e alle due milanesi, trascinata dai loro goal Madama si fa strada in Coppa Italia, superando la Roma e ottenendo l'accesso alla finalissima contro il Milan, e in Europa, dove si libera di PSG e Karl-Marx-Stadt, estromette l'Amburgo e guadagna l'accesso alle semifinali. Zavarov, in questa cavalcata, è un semplice comprimario, con un rendimento sottotono quando non osserva i compagni dalla panchina.
Ormai appare chiaro che la squadra si esprime meglio senza di lui, che finisce per chiudersi in se stesso. Il sorriso con cui si era presentato in sala stampa lascia spazio alla malinconia e alla tristezza per quel che voleva e non è riuscito ad essere.
Gli ultimi sussulti arrivano in campionato, dove la squadra ottiene un altro 4° posto. 'Lo Zar' segna il 18 marzo 1990 al Comunale contro l'Udinese (1-1) e il 29 aprile al Via del Mare contro il Lecce (2-3 per i bianconeri). Un goal, quest'ultimo, molto particolare perché Sasha non esulta e nessun compagno lo va ad abbracciare.
Senza giocare nemmeno un minuto nella semifinale europea con il Colonia e nelle rispettive doppie finali, complici anche alcuni problemi fisici, secondo alcuni amplificati, vince da spettatore la Coppa Italia a spese del Milan e la Coppa UEFA a spese della Fiorentina. Il sovietico malinconicochiude la stagione 1989/90 con 41 presenze, 9 goal e 4 assist.
Non gli basteranno per essere riconfermato: la società ha già varato la rivoluzione che porterà Montezemolo alla vicepresidenza esecutiva, Chiusano alla presidenza e Gigi Maifredi in panchina. Il contratto di Zavarov è rescisso con un anno di anticipo sulla naturale scadenza.
Zavarov giocherà i deludenti Mondiali di Italia '90, ultimo grande torneo internazionale disputato dall'URSS, e con il Gigante dai piedi d'argilla che sta per crollare e scomparire dallo scenario internazionale, inizierà una seconda parte di carriera in tono minore in Francia. Si congeda da Torino e dall'Italia con appena 13 goal in 76 presenze, e firma con il Nancy, la squadra dove Platini aveva cominciato.
Il suo flop alla Juventus passerà alla storia come uno dei più clamorosi, tanto che qualcuno lo bollerà ingenerosamente come "bidone". La sua verità il calciatore ucraino la rivelerà molti anni dopo.
"Ho riscontrato delle difficoltà per il calcio diverso a cui ero abituato e per il cambio generazionale che c'è stato in quel periodo nella Juventus - dirà a 'Tuttojuve' -. È stato veramente difficile adattarsi a quello stile di gioco. Un altro grande problema è stata la lingua, non capendo bene l'italiano ho fatto fatica ad ambientarmi. Però vedo il bicchiere mezzo pieno: questa esperienza mi ha aiutato tantissimo nel prosieguo della mia carriera. Anche quando, poi, ho appeso gli scarpini al chiodo".
"I compagni erano fantastici, prima che calciatori erano veri uomini. Ricordo bene, inoltre, quanto calorosi fossero i tifosi italiani. C'era un tifo incredibile".
Di lui sarà invece Pasquale Bruno a tracciare un ritratto ai microfoni del 'Corriere della Sera'.
"Zavarov era un buono, incapace di far male a una mosca - racconterà l’ex compagno juventino - ma non parlava una parola di italiano. E le barriere linguistiche, oltre al difficile adattamento a Ovest, per uno che veniva dal blocco comunista, furono forse il più grande ostacolo al suo inserimento nel calcio italiano. Ingiusto definirlo però un bidone, come venne poi etichettato da molti. Gli scarsi eravamo noi, non lui. Venne in una Juve minore, con l’impossibile eredità di Platini da gestire. Lui proveniva dalla fortissima Dinamo Kyev di Lobanovski. E non poteva essere un caso".
"E, comunque, - aggiungerà l'ex difensore - non era a Michel che assomigliava, ma semmai a un Totti, più avanzato, dribbling secco e visione di gioco. Aveva dei buoni spesa per i supermercati e girava per Torino con una Duna. Ma non è che comunque ai tempi noi lo facessimo sentire in difetto: tutti avevamo l’obbligo di andare all’allenamento in Fiat. Io avevo una Panda 4x4, per dire, e nessuno si permetteva di girare in Ferrari, durante il lavoro".
Bruno ha un unico rimprovero da fare allo 'Zar', e non riguarda il terreno di gioco.
"Una debolezza Sasha ce l’aveva: l'alcol - rivelerà -. Negli autobus che ci riportavano dalle trasferte vedevi girare queste bottiglie di vino, non si sa uscite da dove. Puntualmente finivano in fondo, dove guarda caso c’erano sempre lui e Laudrup...".