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Oleksandr Zavarov e il flop alla Juventus: 'Lo Zar' malinconico che girava in Duna

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"Come Maradona, Zavarov ha una tecnica incredibile, può decidere una partita in qualsiasi momento, sa organizzare il gioco e difendersi" - Valery Lobanovsky.

Giocatore di maggior talento dell'URSS e della Dynamo Kiev di Valery Lobanovsky, Oleksandr Zavarov, o Aleksandr, se si utilizza la grafia russa,l'uomo in grado di 'accendere' il calcio scientifico del 'Colonnello' con le sue geometrie, gli assist al bacio per i compagni, i lanci precisi, le punizioni calibrate e i goal di pregevole fattura tecnica, approda non senza sorpresa alla Juventus nell'estate 1988.

Primo sovietico a giocare in Serie A, messosi in luce nella Coppa delle Coppe 1985/86, nei Mondiali di Messico '86 e ad Euro '88 con la maglia rossa con la scritta 'CCCP', a fronte di grandi attese, la pesante etichetta di 'erede di Platini' che gli sarà appiccicata fin dal suo arrivo a Torino e le difficoltà di ambientamento in un calcio molto diverso da quello cui era abituato, uniti alla tendenza caratteriale a isolarsi e a non fare gruppo, ne determineranno il clamoroso flop.

In due stagioni Sasha, come lo chiamavano in Ucraina, soprannominato 'Lo Zar' per lo strapotere tecnico mostrato in patria, vincerà una Coppa Italia e una Coppa UEFA, dando tuttavia un apporto limitato alla squadra guidata da Dino Zoff, e venendo ricordato dai tifosi bianconeri soprattutto per quell'aria malinconica che aveva in campo e fuori e per girare per le vie di Torino con una Fiat Duna.

  • LA JUVE E LA RICERCA DELL'EREDE DI PLATINI

    Quando Michel Platini decide di ritirarsi dal calcio giocato a soli 32 anni al termine della stagione 1986/87, prende un po' controtempo la dirigenza bianconera, che si ritrova nel compito tutt'altro che facile di individuare un erede che raccolga la sua pesante eredità e vesta la maglia numero 10 della Juventus.

    Il primo tentativo, operato nella stagione seguente, il 1987/88, va evidentemente a vuoto. Rino Marchesi, confermato sulla panchina della Vecchia Signora, sceglie 'la via italiana' e punta tutto su Moreno Magrin, onesta mezzala sinistra acquistata dall'Atalanta.

    I risultati non saranno quelli sperati, e con una squadra che chiude al 6° posto con lo spareggio vinto sul Torino che le consente di qualificarsi in Coppa UEFA nell'anno successivo, si ritrova punto e a capo nella caldaestate 1988, che precede la nuova stagione 1988/89 e le Olimpiadi calcistiche di Seul.

    L'Avvocato Gianni Agnelli e il suo braccio destro, il presidente Giampiero Boniperti, sondano il calciomercato alla ricerca del nuovo numero 10 bianconero che non faccia rimpiangere 'Le Roi'.

    La prima idea, caldeggiata da Giampiero Boniperti, porta al 'Divino' Lajos Detari, talentuoso numero 10 ungherese. L'Avvocato però non è convinto, e dopo averlo visto in azione dal vivo contro il Borussia M'Gladbach, nonostante le referenze di Boniperti, decide che non sarà lui a indossare la 10 bianconera.

    "Nel 1988 i dirigenti della Juventus erano venuti in Germania per parlare con il mio procuratore,- racconterà l'ungherese - e tutto sembrava ormai deciso. Per me vestire la maglia bianconera era un sogno che si avverava. Invece le cose andarono diversamente...".

    Agnelli ha del resto il suo debole per un giocatore uruguayano che veste la maglia numero 10 del Racing Club di Parigi. È nato a Montevideo, lo chiamano 'Il Principe' e il suo nome èEnzo Francescoli. Lui lo incontra più volte nella capitale francese, ma siamo in un'epoca in cui sono i club a decidere il futuro dei tesserati. Il Racing Club Parigi non lo lascia partire e la società bianconera deve virare su altri obiettivi.

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  • L'ACQUISTO DI ZAVAROV E IL PESO DELLA 10

    Sfumati Detari e Francescoli, va trovata una soluzione e in fretta, per scongiurare il rischio di ripetere l'errore della stagione precedente. Ed è in quel momento che, nell'anno dell'apertura al terzo straniero, le attenzioni di Agnelli e Boniperti si spostano sul biondo 'Zar' di Lugansk.

    Nato nel capoluogo del Donbass il 26 aprile 1961, ha 27 anni e alle spalle un'esperienza internazionale di alto livello con l'Unione Sovietica e la stessa Dynamo Kiev, con cui ha vinto la Coppa delle Coppe nel 1986, ed è reduce da un ottimo Europeo chiuso al 2° posto dietro l'Olanda di Gullit e Van Basten.

    I bianconeri approfittano della nuova politica di cauta apertura all'Occidente decisa dal presidente sovietico Mikhail Gorbaciov, la 'Perestrojka', e imbastiscono una lunga e anomala trattativa, perché condotta con lunghe telefonate fra la Juventus e i rappresentanti del governo sovietico nel mondo sportivo.

    Da una parte del filo c'è Giampiero Boniperti, dall'altraVictor Galaev, funzionario del Dipartimento rapporti con l'estero del Comitato olimpico dell'URSS. Le interlocuzioni tra Torino e Mosca hanno successo e la trattativa per Zavarov, seppur laboriosa, giunge ad una conclusione positiva.

    Boniperti, affidata la panchina a Dino Zoff, dopo aver pescato in Portogallo il funambolo Rui Barros e aver prelevato dal Bologna il centrocampista Giancarlo Marocchi, dato il benservito al deludente bomber gallese Ian Rush, a sorpresa veste di bianconero lo 'Zar' per la cifra di 7 miliardi di vecchie Lire, pari a cinque milioni di dollari, di cui 2 vanno al ministero dello Sport sovietico, 2 alla Dynamo Kiev e uno al Governo.

    Le firme sul contratto sono apposte a ridosso del Ferragosto 1988: ci sono Anatoly Pogrebnoy, capo del Dipartimento rapporti con l'estero del governo sovietico, il suo funzionario Galaev e naturalmente Boniperti per la Juventus. Dopo che tutto è messo nero su bianco, si festeggia con champagne e vodka il felice esito dell'operazione.

    La Vecchia Signora completerà il suo calciomercato ingaggiando a costo zero lo svincolato di lusso Alessandro Altobelli, ma tutte le attenzioni degli appassionati sono riposte su Zavarov, il primo sovietico della Serie A, che mister Zoff decide di schierare in campo con quella 10 che era stata di Platini.

    L'ingaggio di Sasha è assaimodesto per un campione, come si confà agli atleti sovietici sotto il Comunismo, che sono formalmente dipendenti statali: economicamente Sasha incassa infatti 1200 dollari al mese, circa un milione e 650 mila Lire. Senza ombra di dubbio è il meno pagato della Serie A, ma soltanto perché il resto del suo stipendio va al governo sovietico.

    A tutte le esigenze ci pensa del resto la Juventus: il contratto firmato con il club bianconero gli garantisce anche dei buoni pasto per fare la spesa al supermercato, una FIAT Duna(di seconda mano) per girare per le vie di Torino e il pagamento delle spese scolastiche del figlio.

    Per lui garantisce Nikita Simonyan, Direttore generale di tutte le Nazionali sovietiche:

    "Lo conosco da quando era un ragazzo e, a mio parere, oggi Sasha non ha rivali in Europa - afferma -. Grande calciatore ma anche uomo simpaticissimo, con lui la Juventus si è assicurata l’uomo che le mancava. Dotato di enorme personalità, Zavarov è un leader nato e anche fuori dal campo sa farsi apprezzare per l’equilibrio e il carisma che possiede".
    "A mio parere, la sua partenza per l’Italia sarà un affare per tutti: per la Juventus che, con lui, si è assicurata il Platini del futuro; per lui che, a contatto con un mondo assolutamente nuovo, potrà cominciare a fare quelle esperienze che ancora gli mancano, e per il calcio sovietico, perché, grazie a lui e agli altri che sono già partiti e che stanno per partire, comincerà a uscire da quell’isolamento in cui è praticamente sempre rimasto".

    Alle insistenti domande sull'eredità di Platini, Sasha invece replica:

    "Giocare in una squadra come la Juventus nel campionato più difficile che ci sia da un lato mi intimorisce, e dall’altro mi esalta. Paura? Direi proprio di no, anche se non posso nascondermi, le difficoltà le incontrerò tutte le domeniche. A Torino c’è chi mi vuole erede diretto di Platini e sostituire un fuoriclasse come lui è la cosa più difficile che possa capitare a un calciatore. Platini è stato un maestro: io sono e continuerò a essere solo me stesso. Anche se mi piacerebbe poter vincere, in bianconero, quello che ho vinto in Unione Sovietica con la maglia della Dinamo Kiev e quello che ha vinto lui in Italia, in Europa e nel mondo con quella della Juventus".
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  • Olegsandr Zavarov Rui Barros Michael LaudrupWikipedia

    IL PRIMO SOVIETICO IN SERIE A E L'ESORDIO CON AUTORETE

    Zavarov aveva appreso della trattativa con la Juventus in occasione di un'amichevole agostana giocata in Italia e dopo la firma sul contratto sbarca a Torino la sera di giovedì 8 settembre, quando le squadre sono impegnate nella fase iniziale della Coppa Italia, approfittando dell'avvio ritardato ad ottobre della Serie A per le Olimpiadi di Seul.

    Sasha, come riporta il quotidiano 'La Stampa', raggiunge il capoluogo sabaudo soltanto alle 23.15, complice un ritardo, dopo quella che per lui è stata una lunga giornata: lascia Mosca alle 18.55 locali, le 16.55 italiane, a bordo di un areo sul quale assieme a lui viaggiano anche l'ambasciatore sovietico a Roma, Lunkov, e il portiere Dasaev. Il volo fa scalo a Fiumicino dalle 20.45 alle 22.10, per poi partire alla volta di Torino.

    Al suo arrivo all'aeroporto di Caselle i tifosi bianconeri, circa duecento, lo accolgono con grande entusiasmo. Il calciatore sovietico è accompagnato dal Ds bianconero Francesco Morini e dall'interprete che gli è stata assegnata, Tatiana Grechi, una signora moscovita che viveva da 25 anni a Livorno. Ai cronisti presenti si mostra con un viso assonnato e poche parole per dare a tutti appuntamento al giorno seguente con la conferenza stampa di presentazione.

    "Sono molto felice e onorato di giocare in questo campionato - dichiara 'Lo Zar' di Lugansk -. Voglio salutare tutti i tifosi italiani, in particolar modo gli juventini. Sono molto stanco e se siete d'accordo vi invito tutti domani alla conferenza stampa a Torino".
    "Con lui vogliamo vincere subito, il nostro non sarà un anno di transizione", chiosa Boniperti.

    L'indomani ecco Zavarov raggiante in sala stampa, capace di contagiare, con il suo sorriso, persino Dino Zoff:

    "Faremo tutti insieme il possibile per non deludere i tifosi - assicura -. Qui in Italia ci sono i migliori campioni del calcio mondiale, ma io non temo nessuno. Spero che la Juve possa dare spettacolo, senza mai perdere di vista i risultati. Ma lo dico qui per l'ultima volta: non sono Platini. Lui è stato grandissimo, però credo che presto comincerete ad apprezzare anche Zavarov".
  • LE DIFFICOLTÀ DI AMBIENTAMENTO E IL FLOP

    Fin dall'inizio, però, l'adattamento di Zavarov al calcio italiano si rivela complicato e ostico. Innanzi tutto per una ragione tattica: Zoff, infatti, lo vede come regista di centrocampo, ruolo che Sasha, schierato invece daLobanovsky da falso nove ante litteram o rifinitore puro, sa interpretare ma non ama particolarmente, anche perché sul piano fisico (è alto un metro e 71 per 70 chilogrammi di peso forma) paga spesso dazio.

    Ci sono quindi i problemi ambientali: fatica a imparare l'italiano e a parlarlo, tanto che la lingua diventa una barriera quasi insormontabile fra lui e lo zoccolo duro italiano della squadra, alloggia nell'appartamento che fu di Ian Rush, un villino quadrifamiliare, quasi un segno del destino, e tende a fare vita riservata con hobby non comuni per un calciatore: è colto, gli piacciono la musica e la lettura, che ritiene "indispensabile come il pane e il sale", e quando i giornalisti gli chiedono quale sia il suo sogno più grande nel cassetto lui non dice lo Scudetto o la Coppa dei Campioni, ma risponde "mir", ovvero, "la pace".

    Il debutto assoluto in Coppa Italia il 14 settembre 1988 è pressoché disastroso: parte titolare davanti ai 30 mila spettatori paganti accorsi al Comunale principalmente per vederlo in azione, il doppio di quelli accorsi a suo tempo per vedere la prima di Platini e Boniek, e al 16' va già in goal, ma nella porta sbagliata, segnando una mortificante autorete.

    Il numero 10 sovietico sembra un pesce fuor d'acqua e quattro minuti dopo Zoff lo richiama in panchina, inserendo al suo posto Cabrini. La Juventus perde 0-2 con l'Ascoli fra i fischi e sarà eliminata prematuramente dalla Coppa nazionale, rimediando la prima delusione della stagione.

    A fine settembre Sasha si riscatta segnando una doppietta che stende il Brescia nell'ultimo turno del Girone F, a giochi ormai compiuti. Dei due goal, i suoi primi in Italia, il più spettacolare è il secondo, un calcio di punizione chirurgico dal limite dell'area, con cui infila Marchegiani all'incrocio dei pali.

    L'ambiente cerca di dargli fiducia, di coccolarlo. Debutta in Serie A nella prima giornata, il 9 ottobre 1988, Ma il campionato che disputerà, per i motivi spiegati sopra, sarà incolore: 30 presenze e 2 goal contro Cesena e Napoli il magro bottino. L'arrivo a Torino della moglie Olga con i suoi due figli e il suo carattere d'acciaio aumentano il distacco fra Zavarov e il resto della squadra, allontanando da lui anche l'interprete e vanificando gli sforzi fatti per imparare la lingua.

    La Juventus di Zoff chiude la Serie A al 4° posto, rivelandosi nettamente inferiore all'Inter dominatrice ma anche a Napoli e Milan. In Coppa UEFA Zavarov gioca unicamente l'andata dei quarti di finale contro il Napoli, gara vinta 2-0 dai bianconeri al Comunale, ma lo 0-3 del ritorno (con il sovietico in panchina) segnerà la fine dell'avventura.

    "Sono frastornato e innervosito dall’attenzione che mi circonda- confessa 'Lo Zar' -. Non ero abituato a finire tutti i giorni sui giornali. Non ho problemi fisici, non ho problemi con Zoff e la società: ma devo capire meglio il calcio italiano. Se sarà necessario in futuro accetterò senza problemi la panchina".

    Nell'estate del 1989 sono tanti i mugugni sul rendimento deludente di Sasha. I giornalisti scrivono che il numero 10 ricorda più l’orsacchiotto Misha, la paciosa mascotte delle Olimpiadi di Mosca, che non l'Ivan Drago di Rocky IV. La sua conferma in bianconero, nonostante un contratto triennale, è a rischio, tanto che La Vecchia Signora prova nuovamente l'assalto ad Enzo Francescoli e ad un certo punto il suo trasferimento a Torino sembra cosa fatta. L'Avvocato, suo grande estimatore, vola addirittura a Rio de Janeiro assieme a Giampiero Boniperti per vederlo in azione in Copa America.

    L'uruguayano firma un precontratto e visiona alcune case in città, ma Legardere, il presidente del Racing Club di Parigi, si mette ancora una volta di mezzo. Alla fine Francescoli firma con il Marsiglia di Bernard Tapie: ancora una volta niente da fare per la Juventus, e 'Il Principe' resterà per l'Avvocato un sogno proibito.

    Per Zavarov si era parlato, in caso di arrivo di Francescoli, di una cessione in prestito al Bologna o al Verona. Sfumato l'uruguayano, dopo un'attenta riflessione, la dirigenza bianconera decide di tenersi Sasha e di provare a rivalutarlo. Gli affianca un altro sovietico, il bielorusso Sergej Alejnikov, strappato al Genoa di Scoglio, giocatore di quantità e dinamismo in grado di interpretare più ruoli in mezzo al campo e decisamente più estroverso di Sasha fuori.

    In panchina Zoff è confermato, come il suo secondo Gaetano Scirea, che scomparirà tragicamente ad inizio settembre. Salutano la compagnia invece Laudrup, ceduto al Barcellona, e Altobelli, ormai al termine di una carriera gloriosa, passato al Brescia in Serie B. La Vecchia Signora 'ammaina' anche la bandiera Cabrini, che si accasa al Bologna, e a Torino arrivano due attaccanti: il bomber del Messina, Salvatore Schillaci per tutti Totò, e una giovane promessa del Monza, l'ariete Pierluigi Casiraghi.

    Per fare sentire a suo agio Sasha, e togliergli l'impaccio del paragone con Platini, Zoff gli accorda anche un cambio di maglia, con il passaggio al numero 9, quello da lui utilizzato alla Dynamo Kiev, al posto della 10, indossata invece principalmente da Giancarlo Marocchi. All'inizio 'la cura' sembra funzionare: Zavarov comincia su alti livelli la sua seconda stagione italiana, il 1989/90, desideroso di lasciarsi alle spalle le delusioni del primo anno.

    Tra la fine dell’estate e il mese di novembre Sasha gioca titolare e risulta determinante in più di un'occasione per la sua squadra. Il sovietico è decisivo soprattutto in Coppa Italia. Nel primo turno, al Sant'Elia, contro il Cagliari di Ranieri, neopromosso in Serie B, la partita è più complicata del previsto e lo 0-0 costringe le due squadre ai supplementari. Al 108' Sasha ha uno spunto da campione, che raramente i tifosi gli hanno visto fare in bianconero. Presa palla sulla sinistra, con un'azione in velocità mette a sedere Fadda, taglia in due la difesa rossoblù e con un tiro preciso supera Ielpo e regala la qualificazione ai suoi.

    Zavarov si ripete al 2° turno, con la rete che elimina il Taranto (2-1) dopo il vantaggio iniziale di Schillaci, e farà il tris a gennaio, quando firma lo 0-1 all'Adriatico contro il Pescara e dà un apporto essenziale per la qualificazione della Vecchia Signora in semifinale. In Coppa UEFA va a segno contro i polacchi del Gornik Zabrze, in campionato castiga Ascoli e Udinese. È il 19 novembre, il Muro di Berlino è caduto da 10 giorni e in tanti pensano che per 'Lo Zar' di Lugansk sia l'anno del riscatto. Poi, come l'anno precedente, arriva un periodo di appannamento. A inizio gennaio, però, utilizzato da trequartista-rifinitore, nella stessa settimana della rete decisa al Pescara in Coppa Italia, contribuisce anche al 2-2 con la Fiorentina in campionato.

    Ma sul più bello Sasha, dopo aver rotto persino con Alejnikov, sembra a causa delle rispettive mogli, cade in un'eclissi difficile da spiegare anche per i suoi estimatori più accaniti. A prendersi il palcoscenico sono allora Schillaci, il nuovo idolo dei tifosi, e Casiraghi.

    Se in campionato la Juventus deve rassegnarsi nuovamente ad un ruolo da comprimaria rispetto al Napoli e alle due milanesi, trascinata dai loro goal Madama si fa strada in Coppa Italia, superando la Roma e ottenendo l'accesso alla finalissima contro il Milan, e in Europa, dove si libera di PSG e Karl-Marx-Stadt, estromette l'Amburgo e guadagna l'accesso alle semifinali. Zavarov, in questa cavalcata, è un semplice comprimario, con un rendimento sottotono quando non osserva i compagni dalla panchina.

    Ormai appare chiaro che la squadra si esprime meglio senza di lui, che finisce per chiudersi in se stesso. Il sorriso con cui si era presentato in sala stampa lascia spazio alla malinconia e alla tristezza per quel che voleva e non è riuscito ad essere.

    Gli ultimi sussulti arrivano in campionato, dove la squadra ottiene un altro 4° posto. 'Lo Zar' segna il 18 marzo 1990 al Comunale contro l'Udinese (1-1) e il 29 aprile al Via del Mare contro il Lecce (2-3 per i bianconeri). Un goal, quest'ultimo, molto particolare perché Sasha non esulta e nessun compagno lo va ad abbracciare.

    Senza giocare nemmeno un minuto nella semifinale europea con il Colonia e nelle rispettive doppie finali, complici anche alcuni problemi fisici, secondo alcuni amplificati, vince da spettatore la Coppa Italia a spese del Milan e la Coppa UEFA a spese della Fiorentina. Il sovietico malinconicochiude la stagione 1989/90 con 41 presenze, 9 goal e 4 assist.

    Non gli basteranno per essere riconfermato: la società ha già varato la rivoluzione che porterà Montezemolo alla vicepresidenza esecutiva, Chiusano alla presidenza e Gigi Maifredi in panchina. Il contratto di Zavarov è rescisso con un anno di anticipo sulla naturale scadenza.

    Zavarov giocherà i deludenti Mondiali di Italia '90, ultimo grande torneo internazionale disputato dall'URSS, e con il Gigante dai piedi d'argilla che sta per crollare e scomparire dallo scenario internazionale, inizierà una seconda parte di carriera in tono minore in Francia. Si congeda da Torino e dall'Italia con appena 13 goal in 76 presenze, e firma con il Nancy, la squadra dove Platini aveva cominciato.

    Il suo flop alla Juventus passerà alla storia come uno dei più clamorosi, tanto che qualcuno lo bollerà ingenerosamente come "bidone". La sua verità il calciatore ucraino la rivelerà molti anni dopo.

    "Ho riscontrato delle difficoltà per il calcio diverso a cui ero abituato e per il cambio generazionale che c'è stato in quel periodo nella Juventus - dirà a 'Tuttojuve' -. È stato veramente difficile adattarsi a quello stile di gioco. Un altro grande problema è stata la lingua, non capendo bene l'italiano ho fatto fatica ad ambientarmi. Però vedo il bicchiere mezzo pieno: questa esperienza mi ha aiutato tantissimo nel prosieguo della mia carriera. Anche quando, poi, ho appeso gli scarpini al chiodo".
    "I compagni erano fantastici, prima che calciatori erano veri uomini. Ricordo bene, inoltre, quanto calorosi fossero i tifosi italiani. C'era un tifo incredibile".

    Di lui sarà invece Pasquale Bruno a tracciare un ritratto ai microfoni del 'Corriere della Sera'.

    "Zavarov era un buono, incapace di far male a una mosca - racconterà l’ex compagno juventino - ma non parlava una parola di italiano. E le barriere linguistiche, oltre al difficile adattamento a Ovest, per uno che veniva dal blocco comunista, furono forse il più grande ostacolo al suo inserimento nel calcio italiano. Ingiusto definirlo però un bidone, come venne poi etichettato da molti. Gli scarsi eravamo noi, non lui. Venne in una Juve minore, con l’impossibile eredità di Platini da gestire. Lui proveniva dalla fortissima Dinamo Kyev di Lobanovski. E non poteva essere un caso".
    "E, comunque, - aggiungerà l'ex difensore - non era a Michel che assomigliava, ma semmai a un Totti, più avanzato, dribbling secco e visione di gioco. Aveva dei buoni spesa per i supermercati e girava per Torino con una Duna. Ma non è che comunque ai tempi noi lo facessimo sentire in difetto: tutti avevamo l’obbligo di andare all’allenamento in Fiat. Io avevo una Panda 4x4, per dire, e nessuno si permetteva di girare in Ferrari, durante il lavoro".

    Bruno ha un unico rimprovero da fare allo 'Zar', e non riguarda il terreno di gioco.

    "Una debolezza Sasha ce l’aveva: l'alcol - rivelerà -. Negli autobus che ci riportavano dalle trasferte vedevi girare queste bottiglie di vino, non si sa uscite da dove. Puntualmente finivano in fondo, dove guarda caso c’erano sempre lui e Laudrup...".
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