"Caleb Okoli è un ragazzo molto semplice, in realtà": c'è un aspetto che noti subito, in Caleb. Il sorriso mostrato, senza ritrosia, alla visione di un campo da calcio, anche nel suo "day off". Certe "sintonie" le percepisci al volo: ti coinvolgono, ti attraversano.
Quella di un anno fa, per lui, è stata un'estate differente: conquistata la Serie A con la Cremonese, da protagonista, e rientrato all'Atalanta, non aveva ancora fatto i conti con le trame del destino. Lo stesso che lo avrebbe portato, a breve, a realizzare il sogno più grande. L'esordio in Serie A con la Dea, contro la Sampdoria ad agosto.
"Sono arrivato all’Atalanta dopo una stagione alla Cremonese, arrivati secondi e dopo aver vinto il campionato, con tantissime certezze, ed ero sicuro di fare il mio esordio. Ero carichissimo, non vedevo l’ora: è arrivato alla prima giornata di campionato. Quando sono entrato in campo ho sentito i tifosi e una buona dose d'ansia, ma col passare dei minuti questa cosa, grazie ai miei compagni, si è sciolta e mi ha dato la giusta carica per le partite successive".
Si siede, Caleb Okoli: lo fa davanti alla porta, quasi "a difesa" dell'area di rigore. E' il suo ruolo, d'altronde. E nel frattempo si racconta a GOAL Italia, partendo dal passato, dai pilastri: dalla famiglia e da quanto questa ha saputo trasmettergli.
"Son cresciuto in una famiglia che è venuta dalla Nigeria, molto umile. Ho sempre lavorato molto e questa penso sia una delle mie caratteristiche più importanti. Il duro lavoro e la costanza. In realtà non ho mai pensato di fare altro, oltre al calcio: è sempre stato il mio piano A. Non c’erano piani B: mi son sempre detto che avrei fatto questo e che avrei dovuto farlo bene, quindi mi auguro di fare la miglior carriera possibile", spiega.

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