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Atalanta HDGoal

Non è solo la rivincita di Gasperini: è la consacrazione del suo progetto tecnico

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Ha ragione, Beppe Bergomi, quasi in chiusura di telecronaca a Dublino. Ha ragione perché l'hanno notato tutti: il primo coro dei tifosi dell'Atalanta è sempre per Gian Piero Gasperini. Sempre.

Quando arriva sulla panchina della Dea, ha appena concluso una stagione alla guida del Genoa all'undicesimo posto. La priorità, in quel caso, era la salvezza. I nerazzurri, sempre in quell'annata, si erano piazzati tredicesimi: c'era voglia di cambiare, ma nessuno, nel 2016, avrebbe mai pensato di vederlo "zittire" Xabi Alonso in finale di Europa League a Dublino.

Non c'era modo di prevederlo, neanche volendo. Anche perché poche settimane dopo la sua nomina ad allenatore dell'Atalanta occupa il penultimo posto in massima serie ed è subito a rischio esonero. Se non vince contro il Crotone viene mandato a casa: con la coppa in mano, a Dublino, sappiamo tutti come è andata otto anni fa.

  • "CONTA COME ABBIAMO VINTO"

    A "caldo", il massimo che Gian Piero Gasperini ha saputo fare, ai microfoni di Sky Sport, è stato togliersi qualche sassolino sul percorso, in un anno in cui gli è stato più volte ribadito il timore di lasciare l'Atalanta senza vincere alcun trofeo.

    "Non è solo il fatto che abbiamo vinto, ma come abbiamo vinto: abbiamo battuto il Liverpool che era primo in Premier League, lo Sporting che ha vinto il suo campionato e il Bayer Leverkusen che ha dominato la Bundesliga".

    Fiero, Gasp può davvero aver chiuso il suo ciclo in nerazzurro con un trofeo. Che non era conditio sine qua non per giudicare positivamente il suo percorso, ma che sicuramente restituisce il senso della sua impresa.

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  • GASP COME PEP?

    "Ai tempi si parlava di Guardiola, possiamo parlare di Gasperini? Ha trasformato il calcio".

    German Denis, Gasperini lo ha sfiorato. "El Tanque" è andato via pochi mesi prima della nomina di Gasp ad allenatore dell'Atalanta. Eppure alla Dea è sempre rimasto legato.

    La provocazione lanciata sul terreno di gioco di Dublino dall'argentino è forte, certo, ma ci aiuta ad approfondire una questione: per essere come Pep Guardiola serve vincere qualche Champions League in più. In termini di progetto tecnico, e di proposta calcistica, Gian Piero Gasperini può dire di aver dato il suo contributo al calcio moderno, questo sì.

    Intensità e ritmi altissimi, gioco in verticale, asfissiante: ha dei "discepoli", dichiarati, che portano avanti il suo verbo in maniera non velata. Ivan Juric e Raffaele Palladino, tra gli altri. Non serve più nascondersi: la vittoria dell'Europa League consacra la sua idea calcistica. Forse anche "finalmente".

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  • "NON È UN ALLENATORE DA BIG"

    Se c'è una costante, nella carriera di Gian Piero Gasperini, quella si lega alla frase, piena di supponenza, "Non è un allenatore da Big". Forse è vero, forse no, ma chi lo sa?

    Nell'analisi su quello che può o non può fare Gasp, per alcuni, incidono senza dubbio quei settantatrè giorni all'Inter: la possibile svolta della sua carriera trasformatasi in incubo.

    "Fuori posto", verrebbe da dire, arrivato con l'etichetta di "uomo Juventus" in anni in cui dimenticare José Mourinho, e non comprendere pienamente le difficoltà che sarebbero arrivate di lì a poco, sembrava proprio impossibile.

    Magari è proprio vero: Gasperini non è un allenatore da Big. Ma ha reso una squadra "media", provinciale, una Big. Questo basta.

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