Festeggiare il terzo Scudetto quest'anno, a Napoli, suonava come una battuta. La rivoluzione attuata da Aurelio De Laurentiis e dai suoi fedelissimi non convinceva e sapeva di ridimensionamento, invece la vittoria del tricolore ha sovvertito ogni previsione azzerando dubbi, malumori e contestazioni.
GOALTRA 'A16' E PESSIMISMO
In estate Dimaro e Castel di Sangro erano tutte un 'A16', denominazione dell'autostrada che collega il capoluogo campano ad una Bari dove ADL ha risollevato le sorti dei Galletti affiancando la gestione dei biancorossi a quella degli azzurri. Un modo che i tifosi partenopei utilizzavano per dire "Vendi e vattene", figlio del malessere legato a scelte di mercato ritenute inadeguate e ad una scarsa voglia di portare il Napoli al successo.
Striscioni ed un clima pessimistico hanno accompagnato l'intero ritiro della banda Spalletti: il popolo azzurro, reduce da uno Scudetto accarezzato nella precedente annata e dall'addio dei senatori Insigne, Koulibaly e Mertens, quando c'era da immaginarsi cosa sarebbe potuto accadere non intravedeva nulla di positivo.
Getty ImagesDALL'ILARITÀ AL SUCCESSO
Aspettarsi che l'innesto di 'punti interrogativi' come Kim e Kvaratskhelia rendesse il 2022/2023 il punto più alto dell'era De Laurentiis, ai nastri di partenza del campionato, risultava fantacalcio. Profilo e morale talmente bassi da scatenare l'ilarità della piazza quando il patron, durante una conferenza stampa di fine maggio con accanto Spalletti, lanciava messaggi ambiziosi/rassicuranti.
"Faremo di tutto per portare lo Scudetto a Napoli. Tutti insieme. Ma se non ci riuscissimo non dovremo deprimerci. Dire che devo vincerlo a tutti i costi significa che poi se non succede faccio una figuraccia, per questo uno fa il prudente. Ma si punta sempre al massimo".
Parole alle quali hanno fatto seguito addii pesanti ed acquisti poco altisonanti, alimentando scetticismo attorno ad una squadra troppe volte ad un passo dallo step decisivo e mai in grado di superarlo.
Invece, grazie all'esplosione dei volti nuovi e ai dogmi Spallettiani, il Napoli ha messo in bacheca un titolo inatteso che rappresenta la ciliegina sui 19 anni di ADL al timone del club, risollevato dalle ceneri del fallimento e riportato in Serie A nonchè in Europa nel giro di 4 stagioni.
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ADL-NAPOLI, UN BINOMIO ALTALENANTE
Rispetto dei conti, salary cap e condizioni contrattuali ben precise hanno rappresentato i cardini di un progetto cresciuto nel tempo tra tantissimi alti, passi falsi e delusioni: un naturale mix di gioie e dolori che, al netto di scelte spesso criticate, ha collocato nuovamente gli azzurri sul tetto d'Italia rendendoli protagonisti anche al di fuori dei nostri confini.
Quello tra DeLa e Napoli è un rapporto vissuto sulle montagne russe tra chi ne elogia le doti imprenditoriali e chi invece storce il naso davanti ad iniziative (non ultimo, ad esempio, il rincaro biglietti per il quarto di Champions col Milan oggetto di forti contestazioni, poi azzerate dalla pace tra patron ed ultras alla vigilia di Napoli-Verona) o uscite ritenute poco felici: un binomio da sempre complicato all'interno del quale, però, da un lato la passione di una realtà col pallone nel sangue e dall'altro l'arguzia nel tenere la nave a galla e con le vele spiegate, creano un cocktail proficuo ed esplosivo.
GIOIELLI E NON CAMPIONI
Preferire il Fabian Ruiz di turno ad uno Yaya Tourè, per intenderci, è ciò che nel momento in cui c'era da spingere definitivamente in alto gli azzurri gran parte dei tifosi hanno sempre imputato alla società: a maggior ragione quest'estate, quando al posto di un totem come Koulibaly è stato preso un coreano dal campionato turco (Kim) e per sostituire Insigne ci si è affidati ad un georgiano poco più che 20enne scovato in Russia (Kvara).
Sfiducia trasformata in trionfo, una filosofia societaria che ha fatto preferire gioielli da valorizzare e su cui costruire il futuro, a top player assoluti (l'Higuain di turno rappresenta una rara eccezione) con stipendi da capogiro: una crescita progressiva che ha sì acuito la fame di chi fremeva per rivivere l'epoca d'oro di Diego, ma che adesso consente alla piazza di scrollarsi da dosso il peso di un 'vorrei ma non riesco' godendosi la festa.
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SCALATA TRICOLORE
Le 3 Coppe Italia, la Supercoppa alzata a Doha e gli ottavi di Champions contro Chelsea e Real - alla luce del tricolore cucito sul petto quest'anno - potevano apparire come palliativi, in realtà invece hanno rappresentato i tasselli su cui il Napoli di De Laurentiis ha poggiato la propria rinascita per coronare la scalata allo Scudetto, affiancandola allo storico approdo ai quarti nell'Europa dei grandi poi persi col Milan.
Contestazione divenuta gioia nel momento meno immaginabile, scenari ribaltati che avvalorano la decisione di affidare a Spalletti il compito di rialzare squadra e tifosi dopo la doppia missione fallita da Ancelotti e Gattuso, gli uomini messi in panchina da ADL dopo la favola Sarrista con cui la scintilla non è scoccata.
Big Luciano uomo giusto al momento giusto e profilo in grado di mentalizzare a dovere una rosa acerba in quanto a palmares: campionato sfumato e smobilitazione avevano fatto temere alla città che il Napoli fosse destinato ad annate poco ambiziose, invece le cose sono andate esattamente al contrario.
Un ciclo azzerato e ricco di incognite trasformatosi in manna dal cielo, che ha rigenerato motivazioni ed entusiasmo e consentito a De Laurentiis di fare 'scacco matto' su campionato e contestazioni.

