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Atalanta Bayer LeverkusenGetty

L'Atalanta ci ha insegnato a saper sognare (ma non è una favola)

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Impegnati com'eravamo a riprenderci un po' della vita che ci era stata tolta, nella più strana delle estati che, a memoria, hanno caratterizzato la nostra storia recenti, non siamo riusciti a restituire pienamente la dimensione dell'impresa sfiorata dall'Atalanta nel 2020, in Champions League. Logiche superiori (e, chiaramente, ben più importanti del calcio) ci hanno obbligato a una frettolosa analisi: un "Sì, davvero un peccato" condito da troppi "Se" e "Ma". "Se" la difesa avesse tenuto qualche secondo in più, "se" Marquinhos non avesse mai siglato il pari. "Se", "se", "se": e alcuni "ma". "Ma" alla fine va bene così, "ma" rimarrà comunque un bel ricordo. E così è stato.

Improbabile, comunque, pensare dopo quella sera a qualcosa di diverso da una favola senza eguali: ed è vero. È stato così: non ha avuto eguali. Ma non era una favola: non è una favola, quest'Atalanta. È sbagliato trattarla come tale, cadendo nell'equivoco che separa a fatica le belle cose, fatte con criterio e raziocinio, con programmazione, da quelle casuali.

La vittoria dell'Europa League della formazione di Gian Piero Gasperini è la realizzazione del progetto dei Percassi: faticoso, all'inizio, visionario poi. Quando l'Italia aveva perso il guizzo del sogno, la Dea ci ha insegnato a saper sognare. Di nuovo.

  • UNA DEA "UMANA"

    Ha fatto tutto quel che doveva fare, l'Atalanta, per consentirci (nessuno escluso) di riabbracciare la dimensione del calcio che avevamo perduto, allontanato, faticosamente relegato a "impossibile", forse "improbabile" in alcuni casi, anche e soprattutto dopo la passata stagione, quando Inter, Roma e Fiorentina avevano quasi confezionato il ritorno del calcio italiano ai vertici europei.

    Neanche la vittoria della Conference League della Roma ha restituito quel senso di "impresa" che è riuscito a costruire il gruppo di Gasperini: anche perché i giallorossi partivano da una premessa fondamentale. José Mourinho.

    L'Atalanta, quando ha preso Gasperini, ha appena concluso un campionato al tredicesimo posto: certo, Gasp la porta subito in Europa League. Ma "a priori" nessuno avrebbe potuto pensare a qualcosa lontana dalla dimensione dei sogni.

    La tripletta di Ademola Lookman si inserisce in quel contesto di spesa intelligente che ha contribuito a costruire il successo ddi Dublino, elevando il concetto di "umanità" rapportato alla Dea.

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  • LA RIVINCITA DI GASPERINI

    Non si può ignorare, né trascurare, il valore che questa vittoria ha anche per Gian Piero Gasperini: settantatré giorni all'Inter, che non è il titolo di un film, ma una sorta di incubo pieno zeppo di preconcetti e pregiudizi calcistici.

    Forse, finalmente, sarà terminato anche il quantitativo di "premesse" puntualmente anteposte a qualsiasi analisi sulla possibilità di rivedere Gasp in una "Big": può star simpatico o meno. Forse meno, un po' troppo "meno" a volte, ma come tecnico non può essere in alcun modo messo in discussione.

    Il dito posto sulle labbra, a zittire Xabi Alonso, la vera rivelazione della stagione calcistica europea col suo Bayer Leverkusen, restituisce la dimensione dell'anima. Quella di un allenatore che ha saputo prendersi la sua rivincita piano piano, annata dopo annata. Con pazienza.

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  • È LA FINE DEL CICLO?

    Con la vittoria in Europa League qualcuno potrebbe anche pensare, o averlo già fatto, alla chiusura del cerchio e, di conseguenza, del ciclo dell'Atalanta di Gian Piero Gasperini. Una meravigliosa realtà, e non una favola, che conta tre terzi posti, un quarto (un settimo, un ottavo e un quinto posizionamento) in Serie A, due finali di Coppa Italia e questa perla di Dublino.

    In mezzo, la crescita di giocatori e l'esplosione di altri: dal blocco "Papu" Gomez-Josip Ilicic (con Duvan Zapata e Luis Muriel) alla rinascita di Charles De Ketelaere.

    Se Gasperini lascerà l'Atalanta, alla fine della stagione, lo farà avendo comunque compiuto un'importante missione non solo per la Dea, ma anche per il calcio italiano. E, in qualche modo, riconciliando tutti con l'immagine del Parma campione in Coppa UEFA del 1999: che un po' somiglia, nelle intenzioni, alla sostanza dei nerazzurri. Finalmente senza la nostalgia: abbiamo ripreso a sognare le squadre "medie" diventare "grandi". Con tutto ciò che viene dopo.

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