Impegnati com'eravamo a riprenderci un po' della vita che ci era stata tolta, nella più strana delle estati che, a memoria, hanno caratterizzato la nostra storia recenti, non siamo riusciti a restituire pienamente la dimensione dell'impresa sfiorata dall'Atalanta nel 2020, in Champions League. Logiche superiori (e, chiaramente, ben più importanti del calcio) ci hanno obbligato a una frettolosa analisi: un "Sì, davvero un peccato" condito da troppi "Se" e "Ma". "Se" la difesa avesse tenuto qualche secondo in più, "se" Marquinhos non avesse mai siglato il pari. "Se", "se", "se": e alcuni "ma". "Ma" alla fine va bene così, "ma" rimarrà comunque un bel ricordo. E così è stato.
Improbabile, comunque, pensare dopo quella sera a qualcosa di diverso da una favola senza eguali: ed è vero. È stato così: non ha avuto eguali. Ma non era una favola: non è una favola, quest'Atalanta. È sbagliato trattarla come tale, cadendo nell'equivoco che separa a fatica le belle cose, fatte con criterio e raziocinio, con programmazione, da quelle casuali.
La vittoria dell'Europa League della formazione di Gian Piero Gasperini è la realizzazione del progetto dei Percassi: faticoso, all'inizio, visionario poi. Quando l'Italia aveva perso il guizzo del sogno, la Dea ci ha insegnato a saper sognare. Di nuovo.
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