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Una vita lontana dai riflettori: 'Garrafa' Sanchez, colui che annientò l'Argentina di Simeone

"Ci sono certi giocatori che potremmo definire 'cult'. Dovrebbero restare indipendenti dai risultati. Non li metti per vincere, li metti per giocare. Sono giocatori che non vanno nemmeno tanto bene, ma vederli giocare è un piacere. Il primo esempio è José Luis 'Garrafa' Sánchez".
Alejandro Dolina

La fama, il denaro, la gente che ti ferma per strada chiedendoti una foto o un autografo, autostima che sale a mille e adrenalina da vendere in corpo: chi, almeno per un secondo, ha sognato una vita così, fatta di soddisfazioni in serie sia nella sfera privata che nel campo lavorativo? Probabilmente tutti, o forse no. A José Luis Sanchez non importava nulla di tutto ciò e, per essere felice, gli bastavano un pallone, un campo da calcio e la sua Fiat Uno rossa, passata alla storia come il simbolo del calciatore 'atipico', che alle luci dei riflettori preferisce la normalità di un'esistenza semplice e senza troppe pressioni.

D'altronde questa semplicità era l'unica strada percorribile per via delle origini umili di una famiglia dedita al lavoro: dal padre ereditò il soprannome, 'Garrafa', ossia 'bombola a gas', come le tante vendute in qualità di dipendente di una catena di distribuzione. Quasi una previsione su una carriera sempre sul punto di esplodere e vissuta prevalentemente tra i bassifondi del calcio argentino, fatta eccezione per una breve parentesi negli ultimi anni.

Nato a Laferrere - città situata nella provincia di Buenos Aires - il 26 maggio 1974, Sanchez era il classico enganche, il trequartista dotato di buona tecnica come ormai non ne nascono più. In partita era facilmente riconoscibile, e non solo per le giocate che offriva: una evidente calvizie lo faceva apparire più vecchio di quanto in realtà non lo fosse, facendolo risaltare tra i 22 presenti sul terreno di gioco.

Gli inizi furono nella squadra della sua città, dove diede vita a battaglie epiche nel derby con l'Almirante Brown in Primera B Nacional (la seconda divisione argentina). Di opportunità per il grande salto ne ebbe diverse, come quella clamorosamente sfumata nel 1996: in un'amichevole contro il Boca Juniors, 'Garrafa' diede letteralmente spettacolo ipnotizzando l'allenatore Carlos Bilardo, la cui voglia di ingaggiarlo si scontrò col rumore assordante di una moto sfrecciante in autostrada. Quella era proprio la moto di Sanchez, di ritorno a casa dopo la partita.

Forse era quello il suo compito, illuminare gli occhi dei tifosi in palcoscenici lontani dalle prime pagine dei giornali che comunque avrebbe meritato nel 1998, quando il 13 febbraio va in scena un'amichevole di preparazione ai Mondiali di Francia tra l'Argentina, guidata dal ct Daniel Passarella, e l'El Porvenir, squadra di terza divisione in cui 'El Garrafa' si è trasferito un anno prima. Si gioca a Ezeiza, casa dell'AFA, ma in pochi sanno che quel campo d'allenamento sarà il teatro di una vera e propria mattanza nei confronti dei pluridecorati campioni dell'Albiceleste.

El Porvenir è uno sparring partner classico dell'Argentina, che quindi si aspetta una sgambata senza troppi sprechi di energie: non è dello stesso avviso Sanchez, la cui foga agonistica finisce per travolgere gli increduli avversari. "Chi è questo vecchio?" è la domanda di Gallardo, tradito da quella testa pelata che fa sembrare 'El Garrafa' un pensionato, quando invece la carta d'identità dice che ha appena 23 anni. Lo stesso Simeone non riesce a spiegarsi da dove venga quel funambolo indiavolato che lo dribbla senza pietà alcuna.

"José sembrava ballare - le parole nel documentario dedicato a Sanchez di Ricardo Calabria, ex allenatore dell'El Porvenir morto nel 2017 - ed era impressionante vedere la facilità con cui dribblava Simeone e chiunque altro gli si avvicinasse. Era qualcosa fuori dall'ordinario".
"Era 'Garrafa' contro tutti - ha ricordato Diego Monarriz, ex compagno di squadra di Sanchez -, per noi giocare contro la Nazionale era tutto. Lui voleva dimostrare di essere forte. Mi disse: 'Sai che sono meglio di tutti questi ma sono felice qui?'. Aveva tutte le qualità per poter giocare in qualsiasi club".

Al triplice fischio, l'impresa è compiuta: El Porvenir 3, Argentina 1. Per Sanchez, migliore in campo per distacco, un goal e due assist. Passarella, che ne sa una in più del diavolo, non può però permettere che l'opinione pubblica venga a conoscenza di quella disfatta e dunque fa trapelare, alla stampa, un risultato completamente diverso e ovviamente a favore della sua squadra. Il giorno successivo, 'El Clarin' parla di un successo dell'Argentina per 4-2, con reti di Ortega, Raul Lopez, Riquelme e Gallardo. Nulla di più falso.

Chi era presente a Ezeiza sa benissimo come sono andate realmente le cose: tra questi anche lo psicologo Dario Mendelsohn, uno dei componenti dello staff di mister Calabria.

"Mai in vita mia, né prima né dopo, ho visto una simile esibizione, ad eccezione di Maradona".

I giornali non gli resero la giustizia che avrebbe meritato, ma Sanchez seppe trasformare in energia positiva la delusione: a fine stagione trascinò l'El Porvenir alla vittoria del campionato e, un anno più tardi, decise di volare in Uruguay per intraprendere un'esperienza con il Bella Vista. Qui rimarrà poco tempo, prima del ritorno in Argentina - per assistere il padre malato, morto poco dopo - in un club dove tutt'oggi è considerato una leggenda: il Banfield che fu, tra gli altri, la casa di Julio Ricardo Cruz, Javier Zanetti e Rodrigo Palacio, per fare qualche nome.

In biancoverde impiegò pochissimo tempo per lasciare il segno: alla prima stagione vinse subito il campionato di seconda divisione, inaugurando una risalita verso l'Olimpo del calcio argentino, culminata con le qualificazioni in Copa Sudamericana e, soprattutto, in Copa Libertadores, onorata al meglio nel 2005 con un cammino interrotto soltanto ai quarti di finale in una doppia sfida tiratissima con i ben più quotati rivali del River Plate.

I quattro anni trascorsi al Banfield resero Sanchez immortale agli occhi della tifoseria, un periodo importante per il futuro della società che nel 2009 si laureerà campione d'Argentina per la prima storica volta. Per chiudere il cerchio, 'Garrafa' scelse di concludere la carriera laddove tutto era iniziato, al Laferrere, rinunciando definitivamente all'idea di una chance in un lido più prestigioso, dell'ultimo grande step che avrebbe potuto regalargli un finale diverso e molte possibilità in più di migliorare un palmares non particolarmente ricco.

A chiudersi non fu però il cerchio sportivo ma quello della vita, con un tragico incidente in moto che se lo portò via per sempre. La notizia della morte arrivò l'8 gennaio 2006, due giorni dopo un fatale impatto causato dal wheelie, ovvero la classica mossa dell'impennata con il sollevamento della ruota anteriore tanto cara a Sanchez, grande appassionato di motori tra le altre cose. Una passione costatagli la vita, contraddistinta dall'amore per il calcio genuino di un tempo e dalla leggerezza con cui era solito affrontare i problemi quotidiani.

Il feretro di Sanchez fu posizionato al centro del campo del Laferrere, coperto dalla sua maglia numero 10 e dall'affetto dei tantissimi accorsi a rendergli omaggio con l'ultimo saluto. Il Banfield ha fatto di lui una bandiera, dedicandogli un settore dello stadio 'Florencio Sola' all'interno del quale è possibile visitare una statua con le sue sembianze e, soprattutto, col pallone ai piedi: lo strumento che - assieme alla Fiat Uno rossa in cui si isolava per ascoltare la cumbia prima degli allenamenti - lo ha reso una leggenda agli occhi di una piccola parte di Argentina.

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