GOALIl simbolismo applicato è, con ogni probabilità, una delle componenti più importanti dell’intero gioco del calcio, a partire da uno dei suoi fondamentali dialettici: lo scambio del pallone, traduzione pratica del dialogo empatico e silenzioso tra professionisti. C’è dell’altro, insomma, in ogni più semplice gesto.
L’immagine scelta da Hakan Calhanoglu (o dal suo social media manager) per annunciare il suo trasferimento all’Inter non si sottrae a un certo simbolismo tipico degli intrecci amorosi e proprio del senso di sfida che accomuna la delusione per una relazione andata e finita male alla sfacciata voglia di rivalsa per la stessa. Ostentazione di sicurezza, lo sguardo del turco restituisce l’inadeguatezza consegnata dalla visione di una composizione anomala per il nostro cervello: dopo averlo seguito con la maglia del Milan, gli organi percettivi e sensoriali ci hanno messo un po’ prima di rimettere insieme i cocci di un’idea distrutta e costruirne una nuova.
Sullo sfondo il nuovo logo dei nerazzurri, tutt’intorno la città di Milano sovrastata dalla sua figura: un fotomontaggio che lo ritrae con il completo della sua nuova squadra e con pennello e vernice azzurra. Trasposizione alterata di un’usanza diffusa fino a non molto tempo fa anche in Italia e che prevedeva il riutilizzo di certe immagini, sia pure foto, con la sola rimozione di uno degli elementi presenti: di solito il compagno o la compagna, reo o rea di aver tradito il progetto di vita prescelto.
Andrebbe aperto anche un capitolo sulla simbologia dei colori, giacché sostituire il blu, il colore del cielo, al rosso, quello della passione, riporta fedelmente e implicitamente una certa tendenza all’evasione, ma teniamo i piedi ben saldi al terreno: quella di Calhanoglu è stata una scelta consapevole, soprattutto dei rischi.
"Al Milan ho trascorso quattro anni buoni e là ho molti amici. Ci sono stati anche momenti difficili, ma le ultime due stagioni sono state migliori rispetto alle prime due grazie a Pioli. L’Inter è una bella squadra che ha vinto l’ultimo scudetto e più derby durante la mia esperienza rossonera. Ho scelto di venire qui perché nella mia carriera mi piace affrontare nuove sfide".
Sul passo finale dell’estratto dell’intervista rilasciata a fine settembre al Corriere dello Sport Calhanoglu ha ragione: la sua carriera è stata, fin qui, caratterizzata da sfide molto complesse e non lontane da polemiche. Il suo trasferimento al Bayer Leverkusen, ad esempio, si può sintetizzare nei saluti finali, con tanto di sigla di uno psicologo, con cui comunicava all’Amburgo la sua partenza motivata dallo stress causato dalle aggressioni dei tifosi e dal clima per nulla tranquillo con la dirigenza. Un altro step fondamentale della carriera del turco è lo stop di diversi mesi imposto dal Tribunale Arbitrale dello Sport per un accordo non rispettato con il Trabzonspor, che lo avrebbe portato a Trebisonda nel 2011. Insomma: ne ha passate.
Un segno tangibile di quanto il suo carattere sia stato temprato dal corso delle stagioni lo ha mostrato, a mo’ di cicatrice, nel Derby di Milano d’andata, quando con fare fiero ha deciso di sfidare la curva rossonera, la sua ex curva, dopo aver trasformato un calcio di rigore, portandosi le mani dietro alle orecchie. C’è di più anche in questa esultanza.
GettyC’è il peso delle aspettative del Milan sul suo conto, tradite da anni non semplicissimi e da gestioni scriteriate, ben lontane dal culmine dell’esperienza in panchina di Stefano Pioli (per cui Calhanoglu, comunque, è sempre stato un punto fermo, va detto): c’è persino la promessa rivolta al popolo interista, che lo avrebbe visto crescere nel corso della stagione.
Ecco, questo punto è probabilmente il più importante del capitolo relativo al giocatore turco e alla beffa che ne ha caratterizzato il destino: quella con l’Inter è stata la miglior parentesi in Italia sia in termini di soddisfazioni personali (e numeri), sia in quelli di peso specifico nelle gare. Ma non è bastato.
Si è trasferito in nerazzurro per vincere lo Scudetto, già cucito da molti suoi compagni sulla maglia che ha trovato, ma se l’è visto strappare con forza e determinazione dalla sua ex squadra: oltre al termine di “beffa”, facilmente utilizzabile, c’è quello di “inganno” proprio delle stanze degli specchi dei luna park.
Calhanoglu, partito per ingannare la sorte, ha infine ingannato se stesso, finendo nella camera sbagliata del multiverso: quella del “posto giusto o sbagliato (non importa) al momento sbagliato”. Senza tiri da fuori (tornati a essere letali) né goal olimpici pronti a cambiare verso a una partita già scritta in partenza da un calcio di rigore sotto la curva sbagliata, con cui avrebbe festeggiato lo Scudetto da Campione d’Italia.
Una piccola rivincita, però, Calhanoglu se l'è presa qualche mese dopo quando ha alzato al cielo di Riad la Supercoppa Italia proprio dopo aver trionfato contro i suoi ex compagni del Milan con un secco 3-0.
"Sono molto contento, grazie ai compagni e ai tifosi, è stato splendido e per me ancora di più. Preferisco sempre stare zitto, vedere certe cose per me è stato pesante, ma il karma torna. 3-0 e li abbiamo mandati a casa".
C'eravamo tanto amati, insomma. O forse mai.




