
Un'infanzia difficile, di povertà e indigenza, che lo costrinse a svolgere lavori umili per mantenere se stesso e la sua famiglia. Poi a 13 anni la fuga verso Campinas, per iniziare dopo qualche anno una carriera da calciatore professionista che lo vedrà raggiungere vette altissime.
Julio Cesar Da Silva è stato uno dei difensori centrali più forti della storia del Brasile. Molto potente fisicamente , essendo alto un metro e 85 centimetri per 78 chili di peso forma, era abile nei contrasti e nell'uno contro uno, aveva piedi da centrocampista, visione di gioco e un tiro potentissimo dalla distanza.
Esploso ai Mondiali di Messico '86, al termine dei quali è votato 'Miglior difensore' del torneo, si consacrerà in Europa con le maglie di Juventus e Borussia Dortmund.
L'INFANZIA A BAURU FRA POVERTÀ E LAVORI UMILI
La sua vita potrebbe essere utilizzata benissimo come scenografia di un film. Colui che diventerà un grande centrale difensivo nasce a Bauru, nello Stato di San Paolo, l'8 marzo 1963. Nel luogo dove il grande Pelé mosse i primi passi da calciatore, Julio Cesar trascorre in povertà la sua infanzia.
Il padre ha la passione per la storia romana e per la boxe, e così chiama il primogenito come il celebre console romano e il figlio più piccolo Cassius Clay. Ma il vizio dell'alcol lo travolge e abbandona presto la sua famiglia.
Tutto il peso di quest'ultima ricade allora sulla madre, Dona Leny, che lavora come donna di servizio e cresce i suoi due figli insegnando loro valori come l'umiltà e il sacrificio. Julio Cesar da buon figlio maggiore cerca di aiutare la famiglia svolgendo piccoli lavoretti: lustrascarpe, falegname (toglie la segatura dai mobilifici), custode di automobili, con annesso servizio di lavavetri, portaborse al mercato, infine manovale.
Questo non impedisce al ragazzo dalla pelle nero ebano di sognare un futuro diverso: inizia a giocare nelle Giovanili del Noroeste, la squadra di calcio della città, e quando va in campo la Prima squadra fa il raccattapalle e i suoi occhi si illuminano di speranza. Ma Dona Leny è irremovibile: non vuole che Julio faccia il calciatore.
Per tre volte gli fa saltare il provino con il Guarani, la squadra rivelazione del calcio verdeoro che nel 1978 ha vinto il titolo Nazionale brasiliano.
LA FUGA E L'ASCESA CON IL GUARANI
Raggiunta l'età di 13 anni, però, il giovane Julio Cesar prende una decisione drastica: scappa di casa e decide di inseguire i suoi sogni, raggiungendo Campinas. Ha un fisico statuario e una buona tecnica di base e il suo provino con il Guarani ha successo.
Il ragazzo di Bauru entra così nel Settore giovanile del Bugre e scala rapidamente le varie categorie. In virtù del suo fisico straordinario, a 13 anni gioca già con i ventenni e a 16 firma il suo primo contratto professionistico ed è già aggregato alla Prima squadra. Dopo esser stato utilizzato da mediano, a 19 anni debutta nel Campionato brasiliano e cambia ruolo, venendo dirottato al centro della difesa.
"Nel calcio, come nella vita, bisogna adeguarsi a ogni situazione", dirà, ricordando quegli anni.
Dona Leny, che presto resta vedova, lo raggiunge a Campinas, ma preferisce continuare comunque a lavorare, come aveva sempre fatto. A partire dal 1982 suo figlio compone con Gilson Jáder, Fernando Narigudo e Wilson Gottardo una linea difensiva di tutto rispetto, diventando presto il leader della squadra che ha in Antonio Careca il suo elemento più importante. Julio Cesar si confronta con lui in allenamento e con il futuro giocatore del Napoli nasce una bella amicizia.
L'attaccante lascia il club biancoverde nel 1983, mentre il difensore ci resta fino al 1986. Il suo allenatore è Zè Duarte, che diventa per il giovane calciatore di Bauru un secondo padre e gli trasmette la professionalità. Serio in campo e fuori, a differenza di molti suoi connazionali che amano fare vita mondana, Julio Cesar viene così ribattezzato 'Il Tedesco'.
AI VERTICI CON IL BRASILE A MESSICO '86
In virtù delle buone prestazioni, dopo aver disputato nel 1981 i Mondiali Under 20 (4 presenze per lui) è preso in considerazione anche per la Nazionale maggiore. Nel 1984 gioca con la Seleçao due amichevoli non ufficiali, la prima il 19 gennaio contro il Paraguay.
Davanti ha un monumento del calcio brasiliano come Oscar, e per l'esordio ufficiale bisogna attendere invece il ritorno da Commissario tecnico di Telé Santana e la primavera del 1986: l'8 aprile è lo stopper titolare a Goiania nell'amichevole contro la Germania Est, vinta 3-0. Alla vigilia dei Mondiali in Messico, Santana mette da parte Oscar e lo promuove titolare in coppia con Edinho.
Con la coppia difensiva Julio Cesar-Edinho la Seleçao fa percorso netto fino agli ottavi di finale: 9 goal fatti e 0 subiti, 4 vittorie su altrettante partite. 'Il Tedesco' sembra insuperabile per gli attaccanti avversari: il fisico statuario lo rende devastante nell'uno contro uno, e sfrutta i suoi mezzi tecnici e la visione di gioco per farsi valere anche in fase di costruzione del gioco.
Ma il sogno verdeoro svanisce ai quarti di finale allo Stadio Jalisco di Guadalajara: con gli spalti ricolmi dell'onda gialla dei tifosi sudamericani, al vantaggio di Careca la torcida esplode di gioia. Ma un'ingenuità collettiva della difesa costa l'1-1 di Platini al 41' del primo tempo. La partita è bellissima, con emozioni da una parte e dall'altra, ma al 75' Branco, imbeccato dal nuovo entrato Zico, è steso nell'area dei Bleus dal portiere Bats.
È rigore per il Brasile, il momento è topico e lo stesso Zico si incarica della trasformazione. Il Galinho però calcia a mezza altezza sulla sinistra, Bats intuisce e respinge. Niente da fare. I supplementari non cambiano la situazione e tutto si decide ai rigori. Fra i rigoristi c'è anche lui, Julio Cesar, che ha giocato una gran partita e, sebbene non al meglio per un piccolo infortunio, dopo l'errore di Platini è chiamato a segnare per mettere pressione alla Francia.
Il difensore centrale batte con violenza ma angola troppo: la palla si infrange incredibilmente contro il palo. Poi Fernández segna, la Francia vince 5-4 e vola in semifinale. Molti tifosi danno ingiustamente la colpa dell'eliminazione al difensore di Bauru.
"Sono andato sulla palla tranquillo - racconterà a caldo - e quando l’ho vista finire sul palo, volevo sprofondare. Mi vergogno di questo errore e non mi sento più degno di indossare la maglia della Nazionale, perché l’ho fatta troppo grossa. Credetemi non ho il coraggio di tornare a casa. Mai in vita mia ho provato una delusione così forte".
Nonostante la sfortunata gara contro la Francia, Julio Cesar alla fine dei Mondiali per le sue prestazioni è nominato dalla FIFA 'Miglior difensore di Messico 1986'.
Enter source name'IL TEDESCO' IN EUROPA: L'ESPERIENZA IN FRANCIA
I Mondiali '86 aprono al difensore brasiliano le porte dell'Europa. Non ancora dell'Italia, che in quelli anni preferisce importare dall'estero prevalentemente attaccanti e centrocampisti, bensì della Francia. Dopo il torneo messicano, infatti, Julio Cesar è acquistato dal Brest, che lo preleva dal Guarani per schierarlo in coppia con l'argentino campione del Mondo, Brown.
Il brasiliano gioca in biancorosso una sola stagione, che vede la squadra piazzarsi all'8°posto finale in Division 1, e in cui colleziona 32 presenze e un goal. Nel 1987 passa all'ambizioso Montpellier, neopromosso nel massimo campionato transalpino.
Il 1987/88 è per Julio Cesar l'anno del boom: segna 5 goal in 37 presenze, e con le sue prestazioni trascina la squadra al 3° posto finale. Gioca con gli arancioblu per altre due stagioni. Nel 1988/88 mette insieme 26 presenze e un goal (9° posto), l'anno successivo realizza 4 reti in 30 partite disputate in campionato (13ª posizione) e, soprattutto, si toglie la soddisfazione di vincere la Coppa di Francia.
Il Montpellier, che si affida alla coppia difensiva Julio Cesar-Blanc, supera 2-1 in finale il Racing Club Parigi e conquista così anche il diritto a disputare la Coppa delle Coppe nella stagione successiva.
L'ESCLUSIONE DA ITALIA '90 E L'ADDIO ALLA NAZIONALE
'Il Tedesco', dopo i Mondiali del 1986, resta in Nazionale fino al 1987, anche durante la gestione di Carlos Alberto. Parte titolare nella Copa America '87, ma una partita mal giocata, quella contro il Cile, vittorioso 4-0 sui verdeoro, porta il Ct. a fare scelte differenti per il pacchetto arretrato.
Julio Cesar, trasferitosi in Europa, continua a giocare su buoni livelli, tuttavia non viene preso in considerazione nemmeno da Sebastião Lazaroni. Il 20 dicembre 1989, tuttavia, quest'ultimo lo utilizza per un tempo nell'amichevole contro l'Olanda giocata a Rotterdam (0-1). Ma al momento di decidere i convocati per i Mondiali di Italia '90 lo esclude dall'elenco dei 22, preferendogli i vari Mozer, Mauro Galvão, Ricardo Gomes e Ricardo Rocha.
"La convocazione dei ventidue - dirà 'Il Tedesco' del calcio brasiliano - ha tenuto conto più degli aspetti politici che di quelli tecnici. Non ho pagato solo io, ma anche gente come Neto e João Paulo".
Per la Seleçao sarà un Mondiale da dimenticare, con l'eliminazione prematura agli ottavi di finale dall'Argentina di Maradona. Il difensore di Bauru torna in Nazionale soltanto nel 1991, quando il Ct. Falcão lo impiega a maggio nell'amichevole contro la Bulgaria (3-1 per i sudamericani). Decide per un periodo di concentrarsi sulla sua carriera in Europa.
Perché indossi di nuovo la casacca verdeoro bisogna allora attendere il 1993, quando il nuovo Commissario tecnico, Carlos Alberto Parreira lo chiama per disputare la US Cup, un torneo in America, propedeutico ai Mondiali di USA '94, con i padroni di casa, i campioni del Mondo in carica della Germania e l'Inghilterra.
È l'occasione perché il difensore della Juventus, che sta giocando ad alti livelli con la maglia bianconera, torni stabilmente nel giro. Ma accade un episodio extracampo che determinerà il suo addio definitivo al Brasile. Come racconta 'UOL Esporte', infatti, Julio Cesar viene derubato di catenine, orologi e una somma in contanti nell'albergo dove alloggia la Seleçao, mentre la squadra sta preparando una delle partite.
La CBF, la Federcalcio brasiliana, non si considera responsabile dell'accaduto e si rifiuta di rimborsare il giocatore per il danno subito. Il difensore decide così di abbandonare irrevocabilmente la Nazionale a 30 anni. "La Muraglia nera" perde in questo modo l'occasione di vincere i Mondiali di USA '94 con i compagni.
I due match amichevoli disputati da titolare contro Stati Uniti e Germania saranno così le ultime 2 presenze delle 13 ufficiali totalizzate in carriera.
"Non ho più giocato col Brasile per questo motivo - rivela nel 2013 a 'UOL Esporte' -. Ho subito un danno economico particolarmente grave e non sono stato risarcito. Non c'era più alcun motivo per restare, dopo quanto accaduto. Ma sicuramente avrei voluto giocare di più in Nazionale. Sono passati molti anni e non mi fa piacere ricordare queste cose".
LA JUVENTUS: DA MAIFREDI A TRAPATTONI
Prima ancora che si giochino i Mondiali di Italia '90, che lo vedono escluso a sorpresa, il centrale brasiliano corona il sogno di giocare in Italia. Pagato una somma irrisoria, se si considera il suo valore (850 milioni di vecchie Lire), il 'Miglior difensore di Messico '86' il 13 maggio 1990 sbarca a Torino fra l'indifferenza generale.
Luca Cordero di Montezemolo si affida a lui per guidare la nuova difesa della Vecchia Signora nell'anno della 'rivoluzione zonista', con il cambio di dirigenza e l'approdo in panchina di Gigi Maifredi. Ma la stampa, anche di marca bianconera, se ne accorgerà solo a luglio, quasi snobbandone l'acquisto.
Julio Cesar porta a Torino la fidanzata e la madre, Dona Leny. Serio e professionale come suo solito, l'unico svago extracampo che si concede è qualche partita a biliardo. Per il resto è concentrato fin da subito sulla missione non semplice che lo attende. È chiamato a giocare in linea e guidare un reparto arretrato che per il resto non ha grandi nomi, con gli ex bolognesi Gianluca Luppi e Marco De Marchi, oltre al veterano Dario Bonetti.
Le amichevoli estive lasciano molte perplessità e i tifosi criticano anche il giocatore brasiliano. Temono un 'Andrade 2' (il celebre 'Er Moviola' della Roma), sostengono che sia troppo lento per il calcio italiano. Le difficoltà di ambientamento sono tante, ma non fanno paura a chi da bambino ha svolto i lavori più umili a Bauru.
Fra chi lo difende c'è il giornalista-poeta Vladimiro Caminiti, che su 'Hurrà Juventus' scrive:
"Il suo apparire nella Juventus è stato accompagnato da critiche che definire cattive è davvero poco. C’era una punta, e comunque un’ombra di razzismo, in quei giudizi estivi, ed anche successivi alle prime partite in coppa e campionato. Era vero, invece, che Julio César stava ancora guardandosi in giro, si ambientava nella nuova maglia, cominciava appena a conoscere i nuovi compagni, era tutto nuovo per lui dopo gli anni, diciamolo pure, romanzeschi e pionieristici di Francia".
Se le prove estive avevano fatto sorgere dei dubbi, il debutto ufficiale è però addirittura disastroso. Il 1° settembre 1990 la Supercoppa Italiana vede il Napoli di Maradona, in una delle sue ultime grandi esibizioni in Italia, fare a pezzi la retroguardia bianconera. Nonostante schieri in attacco Baggio e Schillaci, eroi delle Notti magiche, la Vecchia Signora è travolta al San Paolo 5-1.
Parte anche la Coppa Italia, che vede i bianconeri affrontare il Taranto per il 2° Turno. L'andata a Torino (2-0) fa sorgere timidi sorrisi, che si rafforzano con il debutto positivo in Serie A il 9 settembre contro la matricola Parma (2-1), ma nel ritorno dello Stadio Iacovone riemergono i fantasmi.
Proprio un 'buco' del centrale brasiliano propizia il successo dei pugliesi, che per poco (2-1 il punteggio finale) non compiono l'impresa contro la Vecchia Signora.
"Qualcuno a novembre va via - tuona Maifredi -. In ritiro da domani".
Ma il mister difende il nuovo acquisto:
"lo abbiamo seguito a lungo e sappiamo qual è il rendimento che può offrire. È stato grandissimo ai Mondiali in Messico. Ha giocato bene nei quattro anni in cui è stato in Francia, anche se mi ha confessato che non vedeva l'ora di andarsene di lì. E' uno su cui puntare ad occhi chiusi. Io l'ho visto a Montpellier e dirigeva non solo la difesa ma tutta la squadra, non posso pensare che l' errore di Taranto sia dovuto all' incapacità di appoggiare un pallone indietro. Ha colpito male, succede. E Turrini ne ha approfittato. Il mio giudizio non può cambiare per un infortunio del genere".
In realtà non andrà via nessuno, e per la prima parte di stagione la squadra, che lentamente risale la china, sembra poter competere addirittura per lo Scudetto. La squadra torinese avanza anche in Coppa delle Coppe, dove il brasiliano segna il suo primo goal bianconero nel roboante 6-1 del ritorno del Primo turno contro lo Sliven.
In Serie A la Vecchia Signora ha un buon ritmo, e perde terreno soltanto nell'ultimo mese del 1990, quando Julio Cesar salta 4 gare su 5: le sconfitte con Bari e Milan, il pareggio interno con il Cagliari e un'unica vittoria sulla Fiorentina. Disputa unicamente il Derby della Mole, ma montano nuovamente le polemiche quando viene espulso al 27' per proteste dopo un fallo fischiato ai suoi danni.
"Non sono un cattivo - si difende il centrale brasiliano parlando con 'L'Unità' - dite che volete combattere la violenza in campo, ma io non sono violento Mai, prima di giocare in Italia, ero stato espulso".
Torna così nel 1991, ma dopo le prime gare positive, frutto anche di un adeguamento tattico, con l'aggiunta di un mediano davanti alla difesa, e 2 vittorie su Napoli e Pisa, il girone di ritorno sarà amaro di soddisfazioni e vedrà i bianconeri di Maifredi scivolare lontano dal vertice della graduatoria.
Il 20 gennaio nuovo k.o. col Genoa e nuovo errore di Julio Cesar, che si perde Skuhravy.
"Abbiamo preso un goal che non puoi vedere in Serie A", tuona Maifredi.
Invece se ne vedranno degli altri, con i torinesi che subiranno pesanti imbarcate anche contro Roma, Inter e Parma, non certo per colpa del difensore di Bauru, ma per una fragilità strutturale della squadra e dell'impostazione tattica, e chiudono settimi e fuori dalle Coppe europee.
Julio Cesar, 29 presenze e un goal su punizione al Parma (5-0) nella sua prima annata in Serie A, fa quel che può, ed è determinante soprattutto in Coppa delle Coppe, torneo in cui darà il meglio di sè con 8 presenze e 2 reti. La seconda rete personale la firma nei quarti di finale nell'1-3 in terra belga contro l'RFC Liegi.
I sogni juventini si spengono tuttavia in semifinale contro il Barcellona di Stoichkov e dell'ex Laudrup, che si impone 3-1 nell'andata del Camp Nou. Al ritorno però Julio Cesar è un muro, e con una prestazione sontuosa neutralizza praticamente da solo le offensive avversarie. Non solo, da una sua ripartenza palla al piede, fermata con un fallo al limite dell'area, scaturisce la punizione che trasformata da Baggio darà il successo (alla fine vano) per 1-0 alla sua squadra.
I tifosi, che inizialmente lo contestavano, lo applaudono e lo considerano una delle poche note liete di una stagione per il resto da dimenticare. Julio Cesar, che per tenere lontani gli infortuni, gioca con un patuá, amuleto fatto di ossa di gatto nelle mutande, diventa per tutti "La Muraglia nera"e per il suo impegno e la sua dedizione si guadagna anche gli elogi di Gianni Agnelli.
"Sembra un tedesco - dice l'Avvocato -, non un brasiliano. Eppure l’abbiamo comprato per un pezzo di pane".
"Forse qui in Italia molti pensano che tutti i brasiliani vivano ballando samba e bevendo Caipirinha. Mica è vero - dichiara lui -. Come non è vero che tutti gli italiani suonano il mandolino o mangiano la pizza. Del Carnevale di Rio so quanto voi, l’ho visto solo in televisione".
Il centrale di Bauru trarrà giovamento l'anno seguente dalla restaurazione societaria, con il ritorno in panchina di Giovanni Trapattoni e di Giampiero Boniperti come amministratore delegato. Sul mercato gli arrivi dei tedeschi veri, Jürgen Kohler e Stefan Reuter, rafforzano sensibilmente il pacchetto arretrato della Vecchia Signora. E anche se il secondo non riuscirà ad esprimersi al meglio, le cose per la squadra e per lo stesso Julio Cesar, spostato stabilmente nel ruolo di libero, andranno molto meglio.
A suon di disimpegni sontuosi e prepotenti accelerazioni palla al piede, diventa uno dei punti di forza della squadra, che è l'unica a contendere il titolo al Milan di Fabio Capello. Segna il suo secondo goal in Serie A alla Cremonese (0-2 il 15 marzo 1992) con un'altra violenta punizione, mentre va nuovamente in difficoltà nel Derby di ritorno. I granata si impongono 2-0 con doppietta del suo connazionale Casagrande, e lanciano il Milan verso il tricolore.
"Ogni tanto - commenta sconsolato l'Avvocato Agnelli - Julio Cesar si sente evidentemente come sulla spiaggia di Copacabana".
Alla fine sono 33 presenze e un goal in campionato, che i bianconeri chiudono al 2° posto, e 7 presenze e una rete il 4 dicembre 1991 all'Atalanta, nel ritorno degli ottavi a Torino (3-1).
"A Torino mi sono ambientato subito - assicura - la città la sento oramai mia; bella e storica, praticamente unica. La Juventus? Nessuno ha il fascino di questo club. Per non parlare, poi, dei nostri tifosi; in qualsiasi città o stadio d’Europa, anche il più piccolo e impensabile, non siamo mai soli. Ho modificato il mio modo di giocare, adattandomi al campionato italiano".
"Prima - aggiunge - cercavo di uscire dall’area di rigore con il pallone tra i piedi e di impostare una nuova azione, anche quando mi trovavo in una posizione difficile; adesso gioco sempre di prima, ma quando vengo assalito dagli avversari e la mia area di rigore è piena di giocatori, non ci penso due volte e lancio via il pallone".
Madama arriva fino alla finalissima con il Parma, tuttavia, dopo aver vinto la gara di andata 1-0, senza 'La Muraglia nera' in difesa è sconfitta 2-0 al Tardini e deve rinunciare al trofeo.
Getty ImagesIl 1992/93 è in assoluto la migliore stagione di Julio Cesar a Torino, la seconda con Trapattoni alla guida. Anche se di fatto salta quasi tutta la prima parte per un brutto infortunio: nonostante il 'patuá', infatti, dopo aver brillato già nelle prime uscite stagionali, sempre in coppia con Kohler, il 4 ottobre 1993si rompe la tibia in un contrasto con lo svedese del Napoli, Thern.
Il bianconero deve uscire in barella, ma mentre il medico sociale, il Dott. Bergamo lo sta portando fuori dal rettagonolo di gioco, e i tifosi, quelli veri, applaudono, è fatto oggetto di pesanti insulti razzisti e del lancio di bottigliette, agrumi, bulloni e sacchetti di sale dalla Curva partenopea.
"Ad un certo punto non sapevo più se usare le mani per ripararmi o per soccorrere Julio - dichiara il medico bianconero a 'L'Unità' -. È stato un episodio vergognoso, che mi riempie d'amarezza, anche perche sono meridionale e finora, quando sono andato a Napoli, ho sempre avuto la certezza di vivere un pomeriggio tranquillo".
Il Napoli invierà un telegramma ufficiale di scuse e lo stesso presidente Corrado Ferlaino condannerà duramente chi si è macchiato di quei gesti. Intanto Julio Cesar deve star fuori 5 mesi e per alleviare la sofferenza fa ritorno a Campinas. Si rivede solo a febbraio e le prime partite non sono all'altezza della sua fama. In particolare regala un goal all'Inter nel Derby d'Italia del 21 marzo, vinto 0-2 dai nerazzurri.
Ritrovato il vecchio smalto, la linea di demarcazione della stagione è segnata dalla gara con l'Ancona. Dopo aver sofferto a lungo l'intraprendenza dei marchigiani, i bianconeri si impongono con un sontuoso colpo di testa del centrale di Bauru. Il goal è una specie di liberazione e da quel momento in avanti il libero di Trapattoni torna grande protagonista in Serie A (16 presenze e una rete) e in Coppa UEFA (7 presenze).
Con lui in coppia con Kohler la Juventus in Europa elimina il Benfica ai quarti e il PSG in semifinale, per poi sollevare il trofeo grazie ad un doppio successo sul Borussia Dortmund nell'atto conclusivo (1-3 al Westfalen Stadion e 3-0 al Delle Alpi). Julio Cesar festeggia con i compagni la vittoria della Coppa UEFA, quella che resterà il suo unico titolo della sua avventura italiana.
Resta ancora nel 1993/94, stagione meno fortunata, e che lo vede nuovamente ai box per 6 mesi: nel ritorno del 2° turno di Coppa UEFA con il Kongsvinger gioca senza i parastinchi in fibra di vetro che ha dimenticato e si rompe nuovamente la tibia. Rientra di fatto solo ad aprile inoltrato. Il 1° maggio 1994 la vittoria per 1-0 sull'Udinese a Torino sarà l'ultima partita con la maglia della Juventus. Saluta i tifosi con 125 presenze e 6 reti complessive, ormai trentunenne e con due gravi infortuni alle spalle.
BongartsCAMPIONE DEL MONDO CON IL BORUSSIA DORTMUND
Nell'estate 1994 la Juventus fa una nuova rivoluzione, e stavolta anche 'La Muraglia nera' saluta. Per una cifra di poco inferiore ai 3 miliardi di Lire lo acquista il Borussia Dortmund, proprio la squadra sconfitta nella finale di Coppa UEFA del 1993, rimasta impressionata dalle sue prestazioni.
In giallonero precede il suo amico Kohler, con il quale, dal 1995 in poi, farà di nuovo coppia e otterrà grandi successi, togliendosi le soddisfazioni che nella prima parte di carriera non aveva avuto. Pur riducendo le sue apparizioni in campo, quando gioca si vede e dà affidabilità all'intero reparto arretrato della squadra.
Conquista 2 volte consecutivamente la Bundesliga (1994/95 e 1995/96), e altrettante volte la Supercoppa di Germania. Ma le soddisfazioni più belle della carriera arrivano nel 1996/97 con Ottmar Hitzfeld. Partecipa, con 4 presenze, pur saltando tutta la parte finale della manifestazione, alla vittoria della Champions League, assistendo da spettatore alla finale in cui i gialloneri prevalgono a sorpresa proprio sulla Juventus (3-1).
Soprattutto qualche mese dopo, il 2 dicembre 1997, a 34 anni, vince ancora da protagonista sul campo la Coppa Intercontinentale contro il Cruzeiro (2-0 per i tedeschi). Un successo che segna il riscatto definitivo di una vita che per lui era stata molto dura fin dai primi anni di vita.
Nel 1998 fa una breve parentesi in prestito al Botafogo (16 partite), poi torna a novembre per disputare le ultime 5 gare con il club tedesco. Saluta il Borussia Dortmund dopo 10 goal in 116 apparizioni complessive, ma i tifosi che lo hanno visto in azione non lo dimenticheranno e ancora oggi gli inviano gli auguri per il suo compleanno.
GLI ULTIMI ANNI E IL RITIRO
Alla soglia dei 36 anni 'La Muraglia nera' si trasferisce nel gennaio 1999 in Grecia per un'ultima esperienza europea. Gioca 3 gare con il Panathinaikos, quindi fa ritorno in Germania, divenuta la sua seconda patria, e colleziona 20 partite con il Werder Brema.
Gli ultimi contrasti della sua carriera gli spende in patria con la maglia del Rio Branco, con cui si ritira nel 2001 a 37 anni suonati. In Brasile ha fatto il consulente di mercato del Borussia Dortmund e per un periodo il Direttore sportivo del Rio Branco, diventando infine un procuratore.
Con il giallonero del Borussia Dortmund il difensore ha vissuto i momenti più belli della sua carriera calcistica, ma dal Brasile segue sempre anche la Juventus.
"Quando ripenso ai miei anni da calciatore - ha assicurato a 'TuttoJuve' - la Juventus fa parte dei miei sentimenti".
