GOALEsistono calciatori destinati a dividere. Esistono calciatori che portano in dote la capacità di fare discutere, sempre e comunque. Li osservi, li studi e finisci inevitabilmente per schierarti: con loro o contro di loro. E’ in un certo senso la storia di Cristiano Doni, uno che, nel bene o nel male, non è mai rimasto impantanato nel guado dell’indifferenza. Da profeta in provincia a Re. Da Re di una città all’uscita di scena più triste. Un percorso fatto di ascese e cadute, di errori e redenzioni, chiamate a tessere la trama della storia calcistica di uno dei centrocampisti più forti apparsi su suolo nostrano nell’ultimo ventennio.
Romano di nascita, si trasferisce a Verona quando di anni ne ha solamente tre e all’ombra dell’Arena muove i primi passi calcistici nel settore giovanile del Crazy Colombo. Tempo due anni e le qualità emergono in maniera repentina. La chiamata del Modena è logica conseguenza e, in maglia canarina, percorre tutta la trafila del vivaio sino ad arrivare alla Primavera allenata da Sergio Buso. Qui, ad un bagaglio tecnico di primo grido, abbina già una fisicità importante che lo rende idealmente pronto per lo sbarco tra i professionisti.
Il grande passo si concretizza nell’estate del 1992, quella che sfocia nel prestito al Rimini in Serie C2: il primo anno in Riviera è vissuto da protagonista con 6 goal in 31 presenze e una C1 soltanto sfiorata dai biancorossi che chiudono a sole tre lunghezze dal sogno. Sogno che per Doni diviene invece realtà grazie al passaggio alla Pistoiese neopromossa. La parentesi toscana precede il biennio in rossoblù con il Bologna dove si afferma come specialista in tema di promozioni: dalla C1 alla B e dalla B alla A tra il 1994 e il 1996 segnando 11 reti complessive.
Sembra tutto apparecchiato per l’approdo tra i grandi ma il tormentato legame con il tecnico Renzo Ulivieri è un fattore che pesa e porta alla separazione. Doni prepara nuovamente le valigie e finisce al Brescia, sempre in cadetteria. Con le rondinelle riconferma il trend degli anni precedenti conquistando sul campo la seconda promozione consecutiva in A dove poi debutterà ufficialmente 31 agosto del 1997 subentrando nel corso di Inter-Brescia, risolto in favore dei nerazzurri dalla doppietta di un altro debuttante. Un certo Alvaro Recoba. Un esordio sfortunato al quale seguirà una stagione complessivamente negativa, macchiata da un grave infortunio che gli leverà progressivamente i gradi di titolare e, soprattutto, culminerà con il mesto ritorno in B dei lombardi.
Nell’estate del 1998 si confeziona il primo atto rivoluzionario della sua carriera: lascia il Brescia e passa all’Atalanta, rivale storica, anch’essa fresca di retrocessione. Dopo aver indossato quattro maglie differenti nel giro di otto anni, a Bergamo trova la tanto agognata stabilità e dà vita ad un quinquennio d’oro.
Il primo in nerazzurro è il proverbiale anno di costruzione: la Dea guidata da Bortolo Mutti è una creatura a tratti piacevole ma tremendamente altalenante, pareggia 19 partite su 38 e fallisce il salto. Doni, dal canto suo, raggiunge la doppia cifra per la prima volta in carriera grazie agli 11 centri distribuiti tra campionato e Coppa Italia. L’anno seguente è l’arrivo in panchina di Giovanni Vavassori a segnare la svolta: nello scolastico 4-4-2 inscenato dal tecnico bergamasco, il trequartista di vocazione trasloca sulla corsia di destra e i risultati sono a prova di bomba: segna 14 goal in 35 partite e trascina la Dea verso la massima serie.
All’alba dei 27 anni, Cristiano Doni si scopre giocatore fatto e finito e al banco di prova della Serie A non delude le aspettative griffando l’operazione salvezza con 7 reti alle quali si aggiungono altri 3 squilli in Coppa nazionale.
Nel mezzo, però, ecco spuntare le prime nubi all’orizzonte: l’accusa formulata nei suoi confronti è quella di aver “truccato” la partita tra Atalanta e Pistoiese dell’anno precedente in combutta con alcuni compagni e avversari. Inizialmente viene assolto ma dodici anni dopo sarà lo stesso calciatore ad ammettere il tentativo riuscito di combina. Sentenza che partorirà la sua celebre esultanza, divenuta ormai iconica dalle parti di Bergamo. Il rituale è molto semplice: pallone in rete e corsa con mano sotto il mento, a ribadire che lui, comunque vada, camminerà sempre “a testa alta”.
GettyPassata la tempesta – almeno per il momento – il numero 27 torna a far parlare il campo, suo habitat naturale, e la 2001-2002 rimarrà scolpita come l’annata della definitiva consacrazione.
La partenza sprint da 5 goal in 10 partite gli frutta l’esordio in Nazionale nell’amichevole di Saitama contro il Giappone, antipasto del mondiale che si sarebbe disputato poi a giugno. E’ il 7 novembre 2001, con l’Italia sotto 1-0 Giovanni Trapattoni fa debuttare l’atalantino nella ripresa. In campo con la maglia numero 19, Doni impiega appena cinque minuti per risolvere una mischia in area e fissare il risultato finale sull’1-1. Quella sera il Trap scopre di avere in casa una pedina importante in vista della rassegna nippo-coreana e i 16 centri totali in campionato gli riserveranno un posto speciale nella spedizione azzurra. Ai mondiali totalizza 46’ distribuiti nelle sfide della fase a gironi contro Ecuador e Croazia.
I goal, la vetrina mondiale e un appeal sempre più crescente. La provincia inizia inevitabilmente a calzare stretta e le voci riguardo un interesse della Juventus si fanno sempre più insistenti. Al termine di Atalanta-Perugia – ultimo match interno dei bergamaschi - il calciatore saluta il pubblico dell’Atleti Azzurri d’Italia con un giro d’onore che ha il forte retrogusto dell’addio. Lui e Luciano Zauri sono i candidati principali a vestirsi di bianconero ma in estate qualcosa non va per il verso giusto e il doppio trasferimento sull’asse Bergamo-Torino salta.
“La Juve con noi, con me e con Zauri, non si è comportata bene, ma forse avevano solo le idee poco chiare. – rivelò Doni alla Gazzetta dello Sport - Detto questo, incontrare i bianconeri non potrà che farmi bene. Bisogna guardare all' aspetto positivo delle cose e la speranza di rispondere con i fatti del campo a questa vicenda, a mio modo lo è”
Morale della favola, Doni rimane a Bergamo ma la sensazione diffusa è che il cavallo sia a fine corsa. La stagione 2002-2003 si rivela da subito complicata, viziata da continue noie fisiche che singhiozzano la sua capacità di incidere. Nonostante 10 palloni in fondo al sacco, il conto da pagare è salatissimo: la Dea retrocede in B finendo al tappeto nel doppio spareggio-dramma con la Reggina. Questa volta è davvero finita e le strade si separano.
Ritrovare il feeling si rivela complicato e a 30 anni suonati il passaggio alla Sampdoria – due anni anonimi – e la parentesi Mallorca hanno tutti i connotati del ridimensionamento.
"Sono arrivato alla conclusione che per me questa è una maglia davvero speciale, quasi magica. Forse la potrei scherzosamente avvicinare al costume che trasformava Clark Kent in Superman"
E’ con queste parole che Cristiano Doni celebra il suo ritorno all’Atalanta nell’estate del 2006. Bergamo è casa sua, il popolo atalantino lo venera e lui ritrova i superpoteri. Nella “vecchia” collocazione da trequartista continua a segnare come un attaccante: 13 reti alle spalle del tandem Ventola-Zampagna nel 2006-2007. Nel 2008 ne timbra 12 ed il sodalizio con il club e la città raggiunge l’apice. Il 4 maggio segna al Livorno e diventa il miglior marcatore in A del club, superando il precedente record di Adriano Bassetto che resisteva dal 1957. Esattamente sette mesi più tardi, è il primo calciatore a ricevere la cittadinanza onoraria. E’ un amore viscerale. Doni, l’Atalanta e Bergamo sono una cosa sola. E’ un matrimonio di ferro che, alla faccia della crisi del settimo anno, conduce verso il rinnovo del contratto. A vita.
Nel 2008-2009, per la prima volta, non raggiunge la doppia cifra in nerazzurro ma è un mero dettaglio e mette in cascina un’altra salvezza conquistata in carrozza. Decisamente più movimentata la stagione 2009-2010. Tensioni, veleni, l’avvicendarsi di ben quattro allenatori alla guida della squadra – Gregucci, Conte, Bonacina e Mutti - e, infine, il baratro della Serie B che presenta il conto cinque anni dopo l’ultima volta. Proprio con il tecnico leccese, capitan Doni arriverà alla fragorosa rottura maturata negli spogliatoi dello Stadio Picchi al termine di Livorno-Atalanta.
“Cristiano Doni è il leader della squadra, il capitano amatissimo dai tifosi. – si legge nella biografia di Conte intitolata ‘Testa, cuore e gambe’ - Un cosiddetto intoccabile. Mentre esce dal campo io non lo guardo, ma mi dicono che abbia applaudito ironicamente la mia decisione e detto: "Complimenti per la sostituzione". Per me la storia finisce lì”.
Ed invece al rientro negli spogliatoi…
“Io mi giro e do un pugno alla porta a mia volta. Come lui. E aggiungo: " Guarda che i cazzotti li sappiamo dare tutti". Lui si avvicina verso di me con il chiaro intento di cercare uno scontro. "Credi di farmi paura?", grida facendosi largo tra i compagni che cercano di trattenerlo . "E tu credi di intimorirmi con questi gesti?", replico senza problemi. I dirigenti e i giocatori si mettono in mezzo per riportare la calma”.
GettyIn un anno da dimenticare c’è comunque spazio per un nuovo primato: con la doppietta alla Lazio – tra l’altro unici goal del suo campionato – il totem orobico raggiunge il traguardo dei 100 goal con la maglia dell’Atalanta.
"Forse il mio rammarico più forte – ha commentato Doni nel giorno della consegna della targa celebrativa – è stato quello di andar via la prima volta dall’Atalanta. Ringrazio tutta Bergamo, il sindaco in particolare, i tifosi atalantini e permettetemi anche Ivan Ruggeri e la sua famiglia. Grazie a tutti, a chi mi permette di emozionarmi, anche a 36 anni”.
L’estate seguente porta in dote un passaggio di consegne epocale ai vertici del club nerazzurro: finisce l’era della famiglia Ruggeri e al timone torna Antonio Percassi, già presidente dal 1990 al 1994. Come all’epoca, l’imprenditore bergamasco eredita una squadra che vuole risalire dalle paludi della Serie B. La missione riesce al primo colpo e Cristiano Doni è ancora una volta in prima linea a guidare la truppa con fascia di capitano al braccio. La coppa “Ali della Vittoria” sollevata al cielo di Bergamo il 21 maggio del 2011 riporta in auge la Dea ma rimarrà il suo ultimo frame a tinte nerazzurre. Dietro l’angolo, infatti, c’è il precipizio.
I fantasmi tornano a bussare, prepotentemente. In estate Cristiano Doni finisce un’altra volta nel vortice del calcio scommesse, indagato nell’operazione “Last Bet”. Il primo verdetto (ne seguiranno altri) è un colpo durissimo: viene formulata l'accusa di associazione a delinquere e illecito sportivo. Con l'arresto, prima della squalifica di tre anni e mezzo (che arriveranno a cinque anni e mezzo) che spegne definitivamente la sua carriera. A tutto questo, però, nel corso degli anni seguono nuovi verdetti dal Tribunale: in primis l'assoluzione per mancanza di prove, avvenuta nel dicembre del 2016, quindi l'estinzione dell'accusa di partecipazione ad associazione a delinquere, avvenuta nel luglio del 2019.
Resta che comunque Doni chiude con 323 presenze e 112 goal, con una macchia indelebile nel rapporto con una città che lo ha accolto, venerato ed incoronato. Da eroe ad antieroe, appunto. Il Re è nudo.


