E' percentuale e statistica, è realtà dei fatti fotografata da decine di casi. L'eccezione conferma la regola, e anche in quel caso questa è slabbrata e piena di ombre dalla testa ai piedi. I bimbi prodigio, gettati nella notorietà nel mondo delle pressanti aspettative, cullati dalla gloria effimera e forse la consapevolezza di aver già visto tutto subito, sotto i vent'anni, più di quanto novantenni non vedranno mai nella loro intera vita. Il caso eclatante del cinema (Macaulay Culkin di "Mamma ho perso l'aereo" il simbolo) raggiunge anche il calcio. Chiedere a Cesar Pellegrin.
E' nato nel 1979, ragazzino di Montevideo che sogna i grandi del passato e l'El Dorado europeo. Sotto il sole della bandiera dell'Uruguay e del paese sudamericano nasce la nuova stellina, figlia di un calcio che racconta Ghiggia e Schiaffino, troppo lontani nel tempo e dunque sull'altare della leggenda, a cui i giovani vengono sacrificati. Devono essere come loro, è ora che il passato del paese diventi presente. Giù di Forlan, giù di Chevanton, giù di Zalayeta, giù di Pellegrin. Una storia di record e promesse, di principi (non i reali) e talento non ingannevole, ma attratto dalle sirene.
Chi è il giocatore con più presenze nel Mondiale Under 20 in maniera consecutiva? Tin, tin, tin, si accende la lampadina. Sì, Pellegrin, che nel 1997 e il 1999 partecipa al torneo arrivando secondo e quarto. Sulla fascia però è sempre il primo ad accorrere in aiuto dei suoi compagni di difesa, a crossare per quelli in attacco. E' un terzino sulla corsia sinistra, al quale il dio del calcio ha donato il mancino. Fa faville, genera interesse. Chi può prenderlo sulle spalle ed incatenarlo a sè? Ovviamente Paco Casal, padre padrone dei giovani uruguagi negli anni '90. Il burattinaio del trasferimento alla Juventus.
Già, Madama. L'ha sedotto, da signora esperta. Il ragazzino è alle prime armi, vuole i piaceri della vita, vuole essere grande. E' grande, ma non è grande. Deve maturare, per evitare di perdersi nel limbo di chi poteva essere e non è stato, di chi si accorge che la vita va avanti senza di lui e tu, quarantenne, non ti accorgi del tempo passato e delle opportunità lasciate in soffitta. Ta una fotografia e una maglia impolverata. Nel 1997 è della Juventus.
E' della Juventus con l'amico Zalayeta, il Panterone Marcelone che nel gioco degli -one può anche acchiappare il titolo di sottovalutone. Senza dubbio. Entrambi sono di Paco Casal, entrambi vengono acquistati nell'autunno del 1997, ma si uniscono al team Lippi nel 1998. C'è Zidane, c'è Del Piero, l'idolo Montero, Pippo Inzaghi. Il primo impatto è vedere la storia e la classe, il secondo è l'obiettivo di scendere in campo. Peccato, rimarrà solo quello iniziale.
Con che cosa fa rima 1997/1998? Iuliano-Ronaldo, il Derby d'Italia, Ceccarini, Simoni. Ok non è una rima baciata, ma ne è la prolunga. Quando si parla di quell'anno, si parla di quello. Oltre, il calcio ha tanto da raccontare. Ha da raccontare anche Pellegrin, promessa del calcio uruguagio che dopo essere divenuto fenomeno al Danubio si toglierà la maschera per divenire bidone. E meteora. E non uno qualsiasi, ma uno di quelli dimenticati, rinchiuso nel titolo di bimbo prodigio, senza sregolatezza, senza droga, alcool e macchine sfasciate. Solo, nell'ingranaggio del sistema calcio.
Pellegrin è della Juventus, nell'apparato di Paco Casal e della sua unione con la società bianconera. Due al prezzo di uno, uno al prezzo di due. Almeno uno riuscirà a brillare, ma quale? Uno vale l'altro. L'altro rimarrà nel dimenticatoio. Cesar vivrà pochi mesi a Torino, con lo Scudetto in tasca, ma la consapevolezza di non poter essere protagonista avuta già nel 1997:
"Quando me ne sono andato dall'Uruguay seppi subito come stavano le cose. Uno dei membri del Gruppo Casal, in un incontro che abbiamo avuto, me lo spiegò molto chiaramente, mi ha detto che la Juventus stava scommettendo sui giovani per il futuro, ma che non avrebbero giocato. Fu chiarissimo".
La nave di Pellegrin attratta dalle sirene si frantumerà tra le rocce. Si è spinto verso il sole prima del previsto. Basta con i colegamenti epici. Sia Pellegrin che Zalayeta erano giovani in rampa di lancio con un futuro luminoso, ma il primo fu spalla, bruciata. Nel pacchetto, alla fin fine fu riempimento, Cesar. Le cose vengono messe in chiaro, devi correre prima di volare. Poi, ci sarà spazio anche per te. In realtà no. Zero presenze e finale di Champions contro il Real sfiorata: fu convocato, Lippi lo mandò in tribuna. E finì per la seconda volta consecutiva anche la speranza della Juventus, sconfitta in finale di Champions. Dopo il Borussia Dortmund, il Real. Altra storia.
La Juventus lo cede alla Ternana, in Serie B. E' un deja-vù, seppur meno ricco. E' Serie B, ma sono anche, nuovamente, zero presenze. Pellegrin ha un contratto di cinque anni, ma solo due con il gruppo Casal. Nel 1999 torna in Uruguay per le vacanze, poi lo aspetta Madama bianconera. Sbagliato. Non farà più ritorno. Coincidenza o complottismo? Qua si vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Scade il contratto con Paco, non quello con i bianconeri. Madama però non ha più spazio per lui. Torna in Uruguay, ha vent'anni. La sua carriera da futuro grande interprete della fascia, è già finita. Non lo sa, ma se ne renderà conto presto, invischiato in trasferimenti svariati e variegati, dalla Lapponia all'Iran, fino al Costa Rica.
I sogni del ragazzo prodigio sono infranti, il passo più lungo della gamba l'ha portato ad essere trascinato nel fascino attraente di Medusa, Juventus. La carriera si è trasformata in pietra e frantumata: ha vissuto la grande squadra, senza però farne veramente parte. A trent'anni l'ultima esperienza, ai Rampla Juniors di Uruguay. Poi, la vita. Quella con moglie e figli, a Montevideo. Vende automobili, non vende sogni. Ce chi l'ha fatto, c'è chi ci ha sperato. C'è chi si è fermato. Un peccato, ma il burrone è sempre quello. C'è chi si costruisce il ponte per superare la giovane età e chi non riesce a saltare.
