"Su indicazione della FIFA, in via transitoria per la stagione 2020/2021, è consentito il tesseramento di un calciatore per 3 club diversi in una sola stagione e al contempo la possibilità di giocare per tutte queste squadre".
Il 25 giugno del 2020, la FIGC annunciava una mezza rivoluzione. Mezza, appunto. E soltanto temporanea. Un piccolo stravolgimento legato al Covid, allo scombussolamento portato anche nel calcio dalla pandemia, allo slittamento di campionati e finestre di mercato. In sostanza: hai giocato un paio di partite di campionato con una squadra, agli sgoccioli del mercato estivo ti sei trasferito in un'altra e a gennaio hai cambiato nuovamente bandiera? Tutto legale. Almeno per una sola, transitoria, stagione. E così Patrick Cutrone ha giocato nella stessa annata nella Fiorentina, nel Wolverhampton e nel Valencia. Racchiudendo il discorso alla Serie A, Fabio Depaoli si è diviso tra Sampdoria, Atalanta e Benevento.
Prima del 2020 non si poteva. E non si può più nemmeno oggi. Una parentesi, appunto. Nella quale, più di due decenni fa, qualcuno si era già infilato. Perché ai tempi sì, era tutto lecito, tutto regolare. Nel 1997 lo sapeva Mirko Conte e lo sapevano pure le squadre che se lo sono passate di mano. Ovvero il Piacenza, il Napoli e infine il Vicenza. Tre maglie diverse tra Nord e Sud, tutte in Serie A, tutte nello stesso campionato. Fu il primo a farlo, Conte, e l'unico fino a Depaoli. Cambiò compagni, allenatori, tifosi. Passò dall'ultimo posto della classifica alla semifinale di Coppa delle Coppe. Come in un ottovolante.
In quel 1997, l'anno in cui la trottola impazzita prende vita e inizia a roteare su se stessa, Conte è un difensore onesto come ce ne sono parecchi. È nato terzino, col tempo è diventato un centrale. All'Inter, dov'è cresciuto, sembrava promettere un pochino di più di quel che in realtà dimostrerà. In Serie A, in ogni caso, può starci tranquillamente. Non è un mostro di tecnica, tutt'altro, però ha temperamento, grinta, non demorde mai. Rosso di capelli, in curva viene omaggiato per anni con uno striscione divenuto storico: “Col rosso non si passa”. In marcatura è a proprio agio, nelle aree avversarie meno: in A ha segnato una rete in tutta la carriera. L'ha fatto proprio nel '97, l'11 maggio, in un 3-1 tra il suo Piacenza e l'Atalanta.
Getty ImagesL'allenatore del Piacenza '96/97 è Bortolo Mutti. Che alla fine di quel campionato viene preso proprio dal Napoli, separatosi poche settimane prima da Gigi Simoni dopo aver scoperto che quest'ultimo si è accordato con l'Inter. Mutti arriva, osserva la rosa a disposizione e storce il naso. In particolare, la difesa non gli piace troppo. E non tanto perché sia un'accozzaglia di nazionalità diverse in un calcio (italiano) in cui lo straniero non è ancora passato con la libertà odierna. C'è Facci, c'è il francese Prunier, c'è il belga Crasson, c'è l'argentino Ayala. Mutti chiede proprio Mirko Conte, suo pupillo. E lo ottiene in cambio di tre miliardi e mezzo delle vecchie lire.
Il fatto che Conte sia già sceso in campo con il Piacenza alla prima giornata di campionato non è un problema. Contro il Milan è partito dalla panchina, subentrando a Tramezzani a un quarto d'ora dalla fine. E anche lui ha gioito per un 1-1 interno dal sapore della vittoria. Il Napoli, invece, ha perso a Roma contro la Lazio (2-0). Ma Conte non si fa troppi dilemmi nell'accettare il trasferimento. Chi alza la mano, in maniera neppure troppo silente, è proprio William Prunier. Il francese si presenta davanti alla stampa, usa Crasson come traduttore e critica in maniera tutt'altro che velata l'arrivo del “roscio”:
“Credo di interpretare anche il pensiero degli altri difensori: ho preso l'acquisto di Conte come un’offesa. Abbiamo abbastanza difensori e non credo che fosse necessario prenderne un altro. Ma dopo 10 anni da professionista so che nel calcio c'è spazio anche per queste cose: non mi sorprendo più di nulla”.
Mentre il Napoli multa Prunier, Conte tenta di smorzare gli animi, come riporta all'epoca la 'Gazzetta dello Sport':
"Ogni nuovo giocatore che arriva è sempre un vantaggio per la società e per la squadra. Magari tornasse Ciro Ferrara da queste parti. Comunque, non ho nessuna intenzione di replicare a Prunier. Sono convinto che lui quelle cose le abbia dette senza cattiveria. Avrebbe espresso il suo pensiero indipendentemente dal nome del nuovo compagno. A parte tutto, è importante che il Napoli faccia bene e che il gruppo cresca. Il resto si chiarisce".
Il bello (o il brutto, dal punto di vista di Prunier) è che la domenica successiva, contro l'Empoli di Luciano Spalletti, a giocare dall'inizio è proprio l'esordiente Conte. Mentre il francese paga le dichiarazioni polemiche di qualche giorno prima partendo dalla panchina. Però tutto sembra passare in secondo piano, perché il Napoli vince 2-1 e conquista la prima vittoria in campionato. L'ex piacentino gioca tutti i 90 minuti. E lo stesso accade una settimana più tardi, a Vicenza (pareggio per 1-1). Poi è proprio lui a perdersi l'ex Caccia, che il 28 settembre firma di testa la rete che consente all'Atalanta di espugnare il San Paolo (0-1).
Primi scricchiolii. Per Conte, ma soprattutto per il Napoli. Da lì in poi è una sequenza quasi inarrestabile di capitomboli, di figuracce entrate di diritto nella storia del club (2-6 a Roma contro i giallorossi, 1-5 contro il Bologna di Roberto Baggio) e di cambi di allenatore: a Mutti subentra Giovanni Galeone, a Galeone subentra Mazzone. Non servirà a nulla: quel Titanic è destinato ad affondare ancor prima di essere salpato verso l'oceano. Un campionato leggendario, ma al contrario. Un cammino nostalgicamente imbarazzante. Quello di Aljosa Asanovic e dell'altro flop José Luis Calderon. Il Napoli 1997/98, e chi se l'è scordato?
Mirko Conte, forse. Perché lui, in fondo, di quella débâcle è partecipe solo per un breve periodo. Tempo pochi mesi e la storia si ripete: nel gennaio del 1998il Vicenza bussa alla porta del Napoli, che accetta. Due miliardi e mezzo, stavolta, è il costo dell'operazione. Nuove valigie da riempire, nuovo spogliatoio in cui inserirsi, nuovi compagni da conoscere. È il secondo trasferimento in metà annata, la terza maglia da indossare. Tutto normale: ai tempi si può.
“In fondo vai dove servi – si giustifica Conte, come riporta 'L'Unità' – dove credi che il tuo apporto possa essere utile per raggiungere qualche obiettivo di rilievo. A Napoli mi sono trovato bene, mi ero ambientato alla grande. La retrocessione? Non sono andato via perché era ”meglio” cambiare aria, questo vorrei sia chiaro. La mia presenza avrebbe potuto dare una mano ad un gruppo di giocatori che lotta per non scendere di categoria. Quando i dirigenti napoletani mi hanno informato delle trattative con il Vicenza, io non mi sono tirato indietro ed ho accettato. In Veneto avrò lo stesso contratto che avevo in precedenza. Ossia: fino al 2002”.
Se qualcuno sostiene che un simile e continuo sballottamento sia dovuto a un paio di piedi non esattamente morbidi per un calciatore di Serie A, Conte sbotta:
“Questo è falso. Provate a girare la questione: Mirko Conte è un ragazzo interessante e, se possibile, bisogna prenderlo. Ho cambiato tre formazioni, è vero, ma è altrettanto vero che di categoria non sono sceso e godo della stima di più di qualche allenatore. Qualcosa avrò pure dimostrato di valere in questi anni giocati in Serie A”.
Piccolo dettaglio: se il Napoli ha l'acqua alla gola, in quella stagione il Vicenza è in Europa. Ovvero in Coppa delle Coppe, la defunta terza competizione a cui, fino alla fine dello scorso millennio, accedevano le vincenti delle rispettive coppe nazionali. Conte non è incluso nella rosa europea, ma si sente parte di un piccolo capolavoro. Un percorso che si spegne proprio sul più bello, in semifinale, contro il Chelsea di Gianluca Vialli e Gianfranco Zola, ma che nessuno ha mai scordato.
Poco male: a Vicenza l'ex azzurro inizia a mettere radici. Vi rimarrà due stagioni e mezza, il che in quel momento è una sorta di record. Nel 2000 conquisterà la promozione in Serie A con Edy Reja in panchina. Poi, di nuovo, il mercato lo chiama. Tocca alla Sampdoria, che diventerà una sorta di seconda pelle, tra una rete decisiva al Messina per allontanare lo spauracchio di una retrocessione in Serie C e una nuova promozione in A (2003, con Walter Novellino). Quindi proprio il Messina, quello dei miracoli e del triennio nella massima serie. E poi l'Arezzo, con in panchina l'altro Conte, l'emergente Antonio. In Toscana fa da chioccia a un giovanissimo Andrea Ranocchia, che qualche tempo dopo accuserà Mirko e Morris Carrozzieri di... nonnismo, suscitando lo stupore dei due.
Sono anni in cui collezionare almeno una presenza in A per tre squadre nella stessa stagione è già stato vietato da un pezzo. La FIGC ha preso atto del giro del mondo (o d'Italia) in 120 giorni di Conte e ha deciso di mettere una pezza al regolamento. Stop alla tripla maglia, da ora ne potete indossare al massimo due. La terza? Solo in allenamento, o in quelle amichevoli precampionato contro i dilettanti trentini o valdostani: mai in partite ufficiali. Una legge che tutti hanno preso alla lettera. Fino al 2020, fino al triplo salto mortale di Depaoli. Il Mirko Conte del terzo millennio.
